di Sandra Romanelli
Efisio, il nonno di Gavino aveva un
carro. Nel secolo scorso, in Gallura, era una grande fortuna possedere un
carro e un giogo di buoi, perché costituiva la garanzia di un reddito per tutta
la famiglia. I carrettieri, detti “carrulanti” o “carradoris”, o ancora “ carrettoneris”, a
seconda della provincia da cui provenivano, guidavano questi carri, che
servivano per il trasporto di varie merci. I carri a buoi venivano utilizzati
per trasporti molto importanti.
Il temporale
Gavino, da piccolo, aveva paura del
temporale e si spaventava quando lampi, tuoni, fulmini e saette l’ annunciavano.
-Non piangere! Non senti che è il carro del nonno! - gli diceva la
mamma per rassicurarlo. Ma la paura del
temporale era comune a molti bambini e per esorcizzarla gli adulti raccontavano
loro delle storie.
Un’antica leggenda sarda ,“Su carr’e
Nannai”, narrava che Nannai fosse un Dio, padrone delle tempeste. Veniva da
lontano, su un carro sgangherato, pieno di pietre e sassi che sbattendo tra loro provocavano un terribile fracasso,
simile a quello del tuono.
Un’altra versione raccontava invece
che fosse un vecchietto (nannai nel dialetto campidanese è il nonno) a guidare
quel carro malridotto, sulla strada sconnessa, per tornare a casa.
Dall’antica leggenda era nata una
filastrocca che non tutti conoscono e che aveva lo scopo di richiamare tutti i
bambini, per evitare loro il pericolo del temporale e recitava così:
Ohia momia, est su carru ‘e Nannai!
Chi ‘enit a sdorrocai totu s’aposentu!
Sa mama ‘e su bentu si cojat a de noti
Cun-d unu Momoti po dd’anninniai!
Ahi mamma mia, è il
carro di Nannai!
che viene a far tremare tutta la stanza!
La “Mamma del vento” si sposa di notte
Con un Uomo-nero per cantargli una ninna nanna
La paura del temporale è un’emozione frequente in ogni
bambino, per questo vorrei ricordare
anche una favola, molto carina e rassicurante, scritta da Gianni Rodari, per raccontare ai piccoli il fenomeno della
pioggia, dal titolo: “L’omino della pioggia”.
C’è un omino che vive sulle nuvole e
quando vuole, o si rende conto che la siccità sta bruciando i campi, saltando
da una nuvola all’altra, apre i rubinetti della pioggia.
Così piove… e piove... fino a quando
lui non decide di richiuderli tutti.
Gavino, dai carri ai motocarri
Aveva sette anni quando, insieme al padre, al nonno e agli altri
familiari, comprese le donne di casa, andava nelle foreste per assistere al
taglio della legna. Prima di questo evento importante, suo compito e di altri
ragazzini, era quello di portare i buoi
al pascolo, negli stazzi vicino al fiume perché il lavoro di questi animali era
notevole e dovevano essere ben nutriti. Gavino lo sapeva e si accingeva a
svolgere questo incarico con diligenza.
All’imbrunire i buoi, ben pasciuti, tornavano verso la loro fattoria guidati
dai cani, e a volte anche da soli.
Nella foresta i carri a buoi erano numerosi.
I taglialegna accumulavano in un luogo adeguato, una piazzola, o comunque in
uno spiazzo grande, i materiali che dovevano essere trasportati in
paese: legna, carbone, ma anche sassi e pietre.
Il
carro di nonno Efisio era in condizioni abbastanza buone, però le strade
sconnesse e i sentieri impraticabili rendevano spesso difficile il lavoro
dell’uomo e del bestiame, soprattutto se
la coppia di buoi stava insieme
da poco tempo. Se i buoi erano stati domati e accoppiati da tempo,
allora, in quel caso, anche il lavoro dell’uomo risultava più facilitato.
Nel percorrere le strade sconnesse,
i carri facevano veramente un gran fracasso, simile a quello del tuono. Questo
era dovuto anche al fatto che avevano un cerchio di ferro intorno alle ruote,
mentre i raggi erano in legno.
Gavino, crescendo, si era abituato
al fracasso del carro, e per questo, quando arrivavano tuoni, lampi e fulmini, lui non si spaventava più come i fratellini che la mamma
tranquillizzava anche recitando loro l’antica filastrocca del carro del nonno.
I carri, comunque, erano destinati a far parte della vita di Gavino non solo da fanciullo, ma anche più tardi, nel tempo. Infatti, quando fu più grandicello, suo padre decise che doveva iniziare a imparare un mestiere e così stabilì di mandarlo da un Mastro carraio.
Gavino fu molto felice di andare da un artigiano per apprendere l’arte di
realizzare quei mezzi di trasporto, tanto utili nella sua regione. Del
resto, i carri lo avevano affascinato
fin da piccolo. Iniziò a imparare a costruire le parti più semplici; invece,
per mettere mano alle ruote, essendo la parte più pregiata del mezzo di locomozione, occorreva essere molto pratici
del mestiere.
Il ragazzo aveva una discreta manualità, ma soprattutto una buona
volontà e metteva tanto impegno nel fare tutto ciò che gli veniva insegnato. Il
Mastro carraio era così soddisfatto dell’allievo che Gavino riuscì a diventare
il suo migliore apprendista.
Qualche anno dopo, il padre di Gavino
decise di lasciare la Sardegna ; grazie a una sorella che abitava a Torino,
aveva trovato un buon lavoro in quella città; quindi si trasferì in Piemonte
con tutta la famiglia. Al ragazzo dispiacque molto lasciare la sua isola per il
continente, però sapeva bene che altrove le prospettive di lavoro erano
migliori e lui, essendo ancora molto giovane, aveva tutto il tempo per imparare
un nuovo mestiere. Del resto, le prospettive per il lavoro che aveva imparato e
per il quale si stava perfezionando, non
avevano un gran futuro. I carri a trazione umana e animale che
all’inizio del secolo erano gli unici mezzi di trasporto, nella sua terra, pian
piano vennero sostituiti con mezzi più tecnologici, a trazione meccanica, come
motocarri e trattori.
Nel
continente trovò lavoro in Val d’Aosta, nella valle del Lys, in un albergo di
Gressoney - Saint Jean, una località turistica alquanto rinomata, non molto lontana da Torino, città dove si
era trasferita la sua famiglia. Il paese era bellissimo,
l’albergo si affacciava su una vista stupenda: il massiccio del monte Rosa con
i suoi ghiacciai. Nei primi tempi del suo arrivo, durante le ore di intervallo
dal lavoro, faceva lunghe passeggiate per conoscere meglio quel luogo
incantevole; poi pensò di fissare quelle
immagini meravigliose su un foglio. L’abilità manuale che aveva esercitato a
lavorare il legno, ora si manifestava anche nel disegno perché con carta e
matita poteva inserire pure un suo punto
di vista su ciò che vedeva. Ma la cameretta che gli avevano riservato aveva un
tavolo molto piccolo, non adatto ad esercitare il disegno, per questo chiese e
ottenne di potersi fermare, qualche volta, durante il suo intervallo, in un
tavolo appartato della hall dell’albergo, naturalmente se ciò non avesse recato disturbo ai clienti.
Non aveva materiali appropriati per
il disegno, ma con la matita cercava di riprodurre in chiaroscuro, ciò che
aveva visto. I paesaggi erano i suoi preferiti, ma riproduceva anche nature
morte e oggetti che colpivano la sua attenzione.
Un giorno, un cliente che lo aveva
notato spesso a quel tavolo, si fermò a
osservare i suoi lavori.
- Bravo! I tuoi disegni sono
davvero belli, ma perché usi solo la matita?
- Non ho altro...- disse Gavino,
vergognandosi un poco-.
- Ma tu trascorri così il tuo tempo
libero? A disegnare qui, nella hall?
Il ragazzo fece un segno
affermativo.
- Ah, bene, ne parlerò con il
padrone dell’albergo.
Gavino non disse nulla, ma cominciò
a preoccuparsi. Temeva che il proprietario, informato dal cliente, potesse
decidere di revocargli il permesso e magari pure di licenziarlo. Del resto, lui
aveva chiesto al direttore il permesso di fermarsi lì a disegnare, in quell’angolo strategico della stanza, dove
non dava fastidio a nessuno e poteva osservare, oltre la vetrata, la strada che
conduceva a quella montagna immensa con le cime innevate.
Passarono giorni e settimane, il
cliente che aveva osservato i suoi
disegni, ogni tanto continuava ad avvicinarsi al tavolo dove il ragazzo
trascorreva la maggior parte del suo tempo libero e sembrava apprezzare i suoi elaborati sempre
di più. Gli faceva anche qualche semplice domanda sulla sua famiglia, sulla sua
vita prima di partire dalla sua isola. Un
giorno gli comunicò che le sue vacanze a Gressoney erano finite e lo
salutò molto cordialmente. Dal giorno
seguente non lo vide più.
Dopo la sua partenza, il
proprietario dell’albergo lo mandò a chiamare, con la precisa richiesta di
presentarsi da lui con i suoi disegni.
In un primo momento, Gavino pensò
che volesse rivedere le sue mansioni nell’albergo, magari proporgli qualche
cambiamento. Avevano bisogno di altro personale, quindi il temuto
licenziamento non era possibile, non
capiva però perché avesse richiesto di portare i suoi disegni.
- Tutti i miei collaboratori sono
contenti di te. Mi hanno detto che lavori con impegno e sei sempre disponibile.
Mi hanno detto pure che disegni molto bene e osservando i tuoi
elaborati devo dire che hanno proprio ragione. Questi disegni sono notevoli,
pur essendo a matita dimostrano la tua
capacità e predisposizione al disegno; poi sai utilizzare il chiaroscuro in
maniera eccellente. Complimenti! Chissà cosa potresti fare, adoperando anche il
colore!
- Grazie- rispose Gavino
meravigliato, seppure un poco incredulo di fronte a un apprezzamento tanto
evidente-. Però questo è per me solo un passatempo. Poi non posso permettermi di acquistare altro
materiale. Devo risparmiare per inviare i soldi alla mia famiglia. Ci siamo
trasferiti da poco a Torino, abbiamo tante spese. I miei fratelli sono tutti
più piccoli di me, solo mio padre porta a casa uno stipendio.
- Certo, comprendo la tua
situazione, ma io ti ho fatto chiamare per questo motivo- disse il proprietario accennandogli
un pacco posto sulla sua scrivania-
Gavino non capiva.
- Ricordi quel cliente che si fermava
spesso a guardarti disegnare? È un mio
amico. Prima di partire mi ha pregato di consegnarti questo pacco. Aprilo è
tuo.
Il ragazzo aprì subito il pacco:
conteneva una valigetta. Aprì anche quella e non poté trattenere un oh!… di
meraviglia. Dentro c’era tutto l’occorrente per disegnare: matite di diversa
consistenza, penne, pastelli, pennarelli, inchiostro, tempere, acquerelli e
fogli, tanti fogli!
Ma la sorpresa fu ancora più grande
quando l’uomo aggiunse:
- Vicino alla cucina ci sono due
stanze attigue, una più grande e una più piccola che utilizziamo come
magazzino, se tu vorrai metterle in ordine, posso concederti l’uso di una di
esse, così potrai ricavare uno spazio per te, per disegnare in tutta
tranquillità, nei momenti liberi.
Gavino non credeva alle sue
orecchie! Non solo non voleva licenziarlo, ma, addirittura, gli concedeva una
stanza tutta per sé. Si congedò da lui con mille ringraziamenti. Il
proprietario aveva aggiunto al suo lavoro il compito di tenere in ordine le
stanze del magazzino, in cambio dell’utilizzo di una parte di esso.
Era molto felice di lavorare in
quel luogo e in quell’albergo, dove, oltre al lavoro, continuò a esercitare
anche il suo hobby. Spesso gli altri lavoranti gli chiedevano di regalargli i
suoi disegni, a volte i clienti gli offrivano di pagarglieli, ma Gavino non
volle mai accettare compensi da nessuno.
Per lui quello non era un lavoro, rappresentava solo il modo di esercitare la
sua passione.
Restò a Gressoney per due anni, poi
lasciò quel luogo incantevole e quelle persone tanto gentili, per un altro
lavoro.
Oggi Gavino ha raggiunto l’età e i
requisiti per andare in pensione, ma esercita ancora i suoi hobby: le passioni
non si esauriscono mai; anzi ora, per lui, diventano lo scopo più importante
per continuare a esercitare la propria creatività.
Così si impegna a costruire oggetti in legno che
risultano di vera utilità o di semplice bellezza e disegna ancora, ma il tutto
sempre senza un obiettivo di lucro, solo per la gioia di realizzare oggetti che
suscitano l’ammirazione altrui e per esprimere il suo fertile genio.
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