domenica 17 novembre 2024

LA SINDROME BIPOLARE

di Marisa Vidulli



Quando il suo sorriso sembra malinconico si chiama Monna Lisa. Quando sembra allegro, Gioconda. E’ la prima opera d’arte bipolare.

(Fabrizio Caramagna)

   

Marina guardava sconsolata come si stesse rapidamente esaurendo il flacone del suo profumo preferito dal nome strepitoso, La vie est belle di Lancôme. Lo aveva comprato nel magico periodo della sua malattia bipolare, l'euforia per ricordarsi della bellezza della vita quando fosse ritornato il periodo buio, la depressione che arrivava puntuale come la morte, inesorabilmente dopo sei mesi di felicità esagerata, anche se non è mai troppa la felicità! Ora era in euforia, dormiva poco e non vedeva l'ora che spuntasse il giorno per riempirlo di gioia, musica, colori e progetti a volte irragionevoli. Lo capiva da sola quando girava per casa ululando: "Con i miei quadri farò il botto!". Al contrario, in depressione, dormiva sempre, non voleva svegliarsi mai, sperava piovesse o almeno in una giornata grigia, perché il sole le dava anche fastidio. Questo alternarsi dell'umore aveva un nome: la Sindrome Bipolare. “Su e giù per le scale” l'aveva scherzosamente denominata sua sorella, che non ne capiva la gravità e non sapeva che strazio dell'anima fosse per lei e anche per chi le stava accanto. Nessuno capiva, né poteva aiutarla, solo aspettare che finisse.

 

Il figlio maschio teneva il calcolo dei mesi e non sbagliava mai, nel frattempo le diceva: “Poi passa”. Non sapeva il ragazzo, poi fattosi uomo adulto, che la madre cercava i ponti più alti della città da cui buttarsi e sfracellarsi, né aveva idea che la madre cercasse la pistola che il marito, finché era andato ad allenarsi al poligono col suo amico, teneva nascosta tra le lenzuola riposte nell'armadio grande e una volta era caduta in testa a sua madre che cercava nella biancheria. Insomma, la depressione era un inferno per lei soprattutto, ma anche per gli altri che tuttavia vi avevano fatto l'abitudine, loro lei no. Individuati tre ponti buoni per l'insano gesto, ma a lei sembrava sano, il problema era come recarvisi. Non guidava, quindi doveva andarci in taxi, poi scendere, pagare e dire: “Vada pure, che mi devo solo ammazzare, sarà un attimo, nessuno da portare indietro”. Insomma, farneticava e non ne veniva a capo. Al contrario, in euforia affermava ai suoi familiari e amiche: “Mi tengo su, faccio il possibile, mangio bene, tanta ginnastica, un po' di yoga, cerco di riempire il bicchiere che prima vedevo solo mezzo vuoto, una grande passione riempie di gioia le mie giornate, scrivere, ho buone amicizie, poche ma vere, figli bravi e tanto amore, tanto, e pienezza che mi ha insegnato mia sorella. E ringrazio ogni giorno che viene, ringrazio la vita affrontando gli inevitabili problemi, uno alla volta, come mi ha insegnato mio marito che è sempre con me notte e giorno”. In euforia mi alzo la mattina allegra, scendo dal letto e penso: “Che bello, quante cose intorno da fare”, mentre in depressione vorrei dormire fino a sera, penso: “Che schifo di giornata, speriamo piova, se c'è il sole urlo di rabbia o mi sparo”.

 

Era soprattutto la notte il momento più fecondo, anche nel sonno la mente non quietava, elaborava piani, strutture, pensieri, migliaia di idee per progetti nuovi per i suoi quadri, la poltrona su cui sedeva per vedere la tv spesso sbatteva contro il muro provocando danni al delicato rilievo di gesso, pensava: “Chi se ne frega, tanto l'anno prossimo sarò morta” e giù a dondolarsi e scrostare il prezioso rilievo del muro di cui poi amaramente si pentiva nel periodo euforico e si sarebbe data pugni in testa a vedere quel bel muro rovinato.

 

L’ultima volta, nel 2023, era in euforia, ben sei meravigliosi mesi di gioia pura, quadri a bizzeffe e due premi anche, vinti all'ultima mostra allestita, si ripeteva: “Ma bon, mi manca niente, faccio la vita del michelasso, mangio, bevo, dormo, dipingo e vado a spasso”.

 

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