!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

mercoledì 2 gennaio 2019

Ladakh: viaggio al confine del cielo


Appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera


Il Ladakh, detto anche Piccolo Tibet, è una provincia dello stato indiano di Jammu e Kashmir, di cui ho già accennato nel mio precedente articolo. Questa regione himalayana, che si sviluppa tra i 3.000 e i 6.000 metri s.l.m. è un luogo unico, magico e mistico.
Abitata in maggioranza da buddisti, tra le sue valle incantate, le montagne e i numerosi templi si respira ancora un’aria antica e si vive una vita fatta di tradizioni tramandate da secoli.
 
Arrivo in Ladakh via terra, percorrendo una delle strade più pericolose al mondo e, dopo aver trascorso qualche giorno nel Kashmir, mi accorgo subito che qui tutto è completamente diverso. Dalle verdi montagne siamo passati a un deserto in alta quota, dominato da rocce e alti picchi innevati, e i monasteri buddisti hanno preso il posto delle moschee musulmane.
Anche le persone sono molto diverse, i profili affilati e gli occhi verdi dei kashmiri sono stati sostituiti dai visi tondi dei tibetani, con occhi e carnagione più scuri.
Due mondi completamente diversi che convivono a fatica, come ci dicono molte volte gli abitanti. In Kashmir pensano che gli abitanti del Ladakh sono scansafatiche e senza iniziativa, viceversa in Ladakh ci raccontano che i loro vicini sono troppo furbi e attaccati ai soldi, e di non fidarsi dei loro modi gentili. Avete presente la storia dei pisani e livornesi? Ecco, qui è un po’ più complicata, perché ci si mettono di mezzo molti fattori, tra cui l’origine della popolazione, la religione, il territorio…
Monastero in Ladakh (foto di Marina Fichera)
Le maggiori attrazioni del Ladakh, oltre naturalmente ai meravigliosi e vari paesaggi himalayani, sono i numerosi templi buddisti. Spesso costruiti su rocce a strapiombo o su cucuzzoli di montagne, svettano bianchi, solitari e dominanti. Sono quasi tutti piccoli villaggi all’interno dei quali le comunità monastiche, tutte maschili e in larga parte appartenenti all’ordine dei berretti rossi – ci spiegano che le circa 500 monache dell’ordine si trovano tutte in Nepal – lavorano, pregano, vivono.
Il monastero di Likir, Ladakh (foto di Marina Fichera)

All’interno del monastero di Likir assisto a una cerimonia a cui prendono parte molti monaci vestiti con bizzarri cappelli neri e sfarzosi abiti di seta colorata. Noi turisti siamo tutti seduti con le spalle alle belle pareti affrescate e dobbiamo tenere le gambe incrociate, anche se dopo un po’ sono indolenzite, perché allungarle sarebbe molto maleducato. Passa un monaco che ci offre un tè bollente in una tazzina che sembra non sia stata lavata da decenni, vabbé il calore disinfetta, penso.
I monaci sono al centro della sala, alcuni hanno strumenti a fiato o a percussione e tutti cantano strane melodie con la tipica tecnica tibetana del canto difonico, che permette di intonare gli armonici naturali della voce e cantare contemporaneamente due o tre note diverse. L’atmosfera è ipnotica e mistica. 
Monaci buddisti, monastero di Likir, Ladakh
(foto di Marina Fichera)

Due cose mi colpiscono dei monasteri buddisti, oltre alla bellezza dei luoghi: l’altissimo numero di monaci bambini e la loro spensieratezza. Spesso vedo questi bimbi con i capelli rasati e vestiti con un telo rosso o poco più ridere a crepapelle per piccolissime cose.  È così bello vedere la loro innocenza, la capacità di divertirsi con quasi nulla. Sono soli al monastero, vedono la famiglia d’origine raramente, lavorano, studiano, patiscono il freddo d’inverno eppure ridono con le loro risate cristalline di bimbi. Sull’Himalaya in effetti mi sembra che tutti i bambini che ho incontrato fossero così: timidi, educati, contenti con niente o poco più.
 
Piccolo monaco buddista (foto di Marina Fichera)

Il capoluogo della provincia del Ladakh è Leh, una cittadina di circa 30.00 abitanti cresciuta troppo in fretta, che si sviluppa in un’ampia valle a 3.500 metri. Il corso principale di Leh, pedonalizzato, è un susseguirsi di moderni negozi per turisti, ormai tutti in mano agli intraprendenti commercianti kashmiri musulmani. Sono talmente potenti che hanno fatto costruire proprio sul corso un’enorme moschea bianca e verde, quasi a ricordare alla popolazione locale il loro potere economico. L’unico negozio ancora tradizionale è tutto di legno e non ha muri esterni. Vende di tutto, dai bulloni ai peperoncini, dalle giacche alle pantofole di lana multicolore fino alle sciarpe buddiste, ed è gestito da due simpatici vecchietti. Entro e inizio a comprare di tutto, una bella giacca tradizionale smanicata di pura lana per circa dieci euro, delle sciarpe e del peperoncino. I due gestori sono stupiti e quasi commossi.
Il negozio tradizionale a Leh, Ladakh (foto di Marina Fichera)

Tutti i negozi della via sono gestiti esclusivamente da uomini. Le donne qui possono solamente vendere la frutta e verdura dei loro orti su teli stesi per terra. Scatto numerose fotografie fino a quando due signore più curiose mi fanno un cenno e mi fanno capire di aver piacere a vedere le foto che ho fatto loro. In poco tempo si crea un piccolo gruppetto che ride insieme alla vista delle immagini. Pur non parlando la stessa lingua ci unisce il linguaggio universale del rispetto e del sorriso.
           Incontri a Leh, Ladakh

Per andare nella Nubra Valley, a nord di Leh, si devono attraversare montagne alte oltre 6.000 metri. La strada si snoda tra centinaia di tornanti fino ad arrivare al passo del Khardung La, quello che è pubblicizzato dagli indiani come il passo carrozzabile più alto al mondo. Il cartello infatti indica 18.380 piedi, cioè 5.600 metri, ma in realtà è a poco più di 5.350 metri. È il giorno di Ferragosto e nevischia, penso a tutte le mie amiche che sono in spiaggia con un cocktail in mano e mi domando se ho tutte le rotelle a posto.
     Il passo di KhardongLa, Ladakh (Foto di Marina Fichera)

Quando scendiamo nella nuova valle, a circa 3.600 metri, ho la conferma che la scelta di essere lì e non in spiaggia è quella giusta per me. La Nubra Valley è un vero paradiso terrestre. Un fiume la percorre tra vette altissime, boschi di abeti, rocce e dune di sabbia bianca, è incredibile quanti ambienti così diversi tra loro racchiuda la valle. Visitiamo un antico monastero che si arrampica su uno sperone roccioso e poi ci dirigiamo verso un piccolo villaggio. Qui tutto è semplice, tradizionale, silenzioso, lento. Un luogo davvero meraviglioso, da dove ammiro anche un luminoso cielo notturno, percorso dalla splendida Via Lattea.
Nella Nubra Valley, Ladakh (foto di Marina Fichera)

La Via Lattea dalla Nubra Valley, Ladakh
(foto di Marina Fichera)

Per andare da Leh fino a Delhi percorriamo quasi 500 km di strade sterrate, tra strapiombi, fiumi verde smeraldo e paesaggi lunari. Intorno a noi solo roccia, sabbia, acqua e cielo.
In Ladakh l’aria è talmente rarefatta e pulita che il cielo è di un blu così intenso da sembrare quasi irreale.
Per tre giorni siamo circondati dal nulla o quasi. Ogni tanto lungo la strada s'incontra un minuscolo villaggio – poche baracche e tende - perso tra la terra e il cielo, battuto dal vento, ricoperto di polvere.
 
                                      Verso Delhi - Ladakh (foto di Marina Fichera)

Quando sostiamo in uno di questi villaggetti entriamo in una delle grandi tende, gestite da donne di età indefinibile, che funzionano da cucina, sala da pranzo, sala da tè e anche da camerata per la notte. Una sorta di motel e autogrill di alta quota.
Qui ho fatto quattro risate con una benestante famiglia di Delhi, in vacanza nelle valli himalayane, che mi ha raccontato di aver visitato le Alpi Svizzere nel 2016. Abbiamo convenuto insieme che in quel momento eravamo a bere un tè a più di 4.500 metri, cioè ben oltre il picco di quasi tutte le più alte vette alpine, e abbiamo riso insieme.
Poi sono andata a chiedere a una donna che gestiva una di queste tende se potevo fotografarla. Non voleva, ma io ho insistito un po', e per cercare di convincerla le ho detto "Here it's beautiful" (Qui è bellissimo). Lei mi ha guardata solo per un attimo, ma con uno sguardo penetrante, e mi ha risposto "This is not beautiful!" (Questo non è bellissimo). Mi sono sentita un po’ stupida e ho percepito tutta la durezza di quella vita in alta quota, in mezzo al nulla.
 
                          “Autogrill” a oltre 4.000 metri, Ladakh (foto di Marina Fichera)

I tre giorni di viaggio verso la pianura sono molto faticosi, ma mi permettono di vivere senza  troppi “traumi” il distacco da questa regione incantata. Torno dal Ladakh con gli occhi e il cuore colmi di panorami, colori, sorrisi meravigliosi. Ho il Mal d’Himalaya, ormai ne sono certa!

Non puoi viaggiare su una strada senza essere tu stesso la strada.
Buddha


14 commenti:

  1. Grazie sognaparole! Grazie Marina! Quale modo migliore per iniziare l'anno? Con il reportage di un viaggio in un Paese lontano!

    RispondiElimina
  2. Grande Marina. Dove ci porterai la prossima volta?
    Adriana

    RispondiElimina
  3. Grazie! Sono indecisa tra Africa o ancora India...

    RispondiElimina
  4. Interessantissimo articolo, complimenti Marina!

    RispondiElimina
  5. Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre, ma nel trovare nuovi occhi
    (Marcel Proust)
    ecco il segreto del viaggiatore, come Marina!

    RispondiElimina
  6. Bellissima descrizione di luoghi e sensazioni. Ci volevo andare qualche anno fa. Ora mi spaventa un po' la quota....

    RispondiElimina
  7. Bellissimo come tutti i tuoi racconti di viaggio, Marina. Grande la tua capacità di cogliere l'essenza... Anche attraverso le tue incredibili foto. Ti abbraccio, Stefania

    RispondiElimina
  8. Complimenti Marina, articolo molto interessante e , come sempre, accompagnato da bellissime foto.
    un abbraccio
    Patrizia ed Alice

    RispondiElimina