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lunedì 12 febbraio 2018

Un killer multietnico

di Marco Moretti 



La stanza è piccola, un cubo con base di venti metri quadrati.
Le pareti bianche riflettono la luce del neon, amplificandone il candore. Contrastano col nero delle anime che vi transitano abitualmente.
Lo specchio, al di là del quale stanno  detective e profiler dell' FBI,  restituisce l'immagine del tavolo fissato al pavimento.
Al tavolo siedono due persone. La divisa rossa, DOC sulla schiena, le mani ammanettate al tavolo; di fronte siede Frank Blackwood. A dispetto del cognome è un sessantenne bianco, pallido e con la barba lunga.
Frank è considerato il massimo esperto di serial killer, un volume vivente.
Nemmeno per lui questo è un interrogatorio di routine.

La notizia è rimbalzata su tutti i network del paese: cadaveri in avanzato stato di decomposizione, adolescenti maschi e femmine, uccisi con brutalità, con rabbia. E poi mutilati.
Li hanno rinvenuti nel giardino della villetta dopo segnalazioni dei portalettere e dei netturbini. Tutti conoscevano quel terreno così ben curato. L'accusa è di dieci omicidi, ma gli scavi stanno proseguendo e le  vittime potrebbero essere più numerose. La tragedia ha sconvolto la piccola città di provincia. 
C'è un altro motivo, per cui questo è un interrogatorio speciale, per Frank Blackwood: anche lui abita in quella cittadina. Vive solo, da oltre venti anni. Da quando sua moglie Ann l' ha lasciato.
Frank è stimato per quello che fa, è il migliore e mi ripeto, ma nessuno vorrebbe raccogliere quello che ha scavato in trent'anni di lavoro. Forse neppure lui. Per questo, quando conduce gli interrogatori, indossa una maschera. Non tradisce emozioni e non rivela  le sue intenzioni.
-          Hai un bel giardino, non posso negarlo - dice con voce  calma;  le giuste pause, senza alzare il tono.
Frank ha le mani sul tavolo, le dita intrecciate. Non ha messo ostacoli tra sé e la persona da interrogare. Conosce il linguaggio del corpo, sa affrontare il buio, anche sotto forma di assassini  freddi o distaccati.
Ma ha davanti il buio totale, un buco nero.
Il presunto killer non risponde e mantiene lo sguardo fisso, senza emozioni. Non arrossisce, non suda, non muove un dito ne' fa una smorfia: una maschera analoga a quella che indossa lui. Fredda, impersonale.
-          Gradisci acqua o un caffè ? Uno snack?
Nessuna risposta, verbale o corporea. Frank sente che nella stanza c'è solo il suo odore: un profumo secco, con aroma di sandalo. La persona davanti a lui non emana nulla, invece. Calore, odore, emozioni, suoni, movimenti. Il profiler ha capito cosa manca, tutto.
-          Coltivi da sola le tue piante o ti aiuta qualcuno?
Lei rimane in silenzio. Bionda, circa trent'anni, magra, fisico asciutto e  mani curate, senza graffi o calli. La bocca carnosa, due cuscinetti invitanti,  senza rossetto. Ovviamente anche sul viso non c'è trucco, tuttavia le ciglia sono lunghe e curate. La divisa del carcere lascia intuire le curve, il corpo tonico.
Frank detesta ammetterlo, ma ricorda Ann in modo angosciante: è bella e sexy come lei, peccato per  quel viso gelido.
-   E' un lavoro pesante, curare un giardino. Richiede lavoro continuo, bisogna spostare pesi, usare attrezzi, salire e scendere dalla cantina.
La maschera non mostra cedimenti: Frank versa dell' acqua in un bicchiere e lo porge alla donna.
Al di là dello specchio, dietro un vetro invisibile, il detective Monetti e lo psichiatra forense Berckovitz assistono all'interrogatorio, mentre una telecamera filma tutto.
-   E' incredibile. Non mostra coinvolgimento. Quei ragazzi morti non contano...
-  Dottore, ciò che conta è che il colpevole confessi e spieghi il movente. Il resto è contorno.
-  Ma questo è un caso da pubblicare, un' eccezione! Voglio vedere fino a che punto  riuscirà a spingersi.
Oltre lo specchio, l'investigatore continua il  monologo per aprire una crepa nella maschera di marmo dell’omicida.
-   Anche io ho un giardino, sai?  Grande, con piante da frutto, siepi e fiori. E' multicolore. A me piace chiamarlo multietnico. Ti dice nulla? -  si insinua, il serpente che cerca una fessura.
L'età delle vittime andava da quattordici a diciassette anni; frequentavano scuole diverse, e non si conoscevano. Tre bianchi, tre ragazze di colore, due asiatiche e due ispanici.  Quasi tutti avevano fatto diversi lavori part-time, in nero, per mettere via qualche dollaro o concedersi una vacanza alla fine degli studi.
Un killer multietnico, come il giardino.
Frank guarda  lo specchio e parla,  osserva se stesso e la donna.
-          Non sembri stanca o affamata, eppure non hai dormito, ne' mangiato. So che ti tengono isolata, per evitare che i detenuti comuni ti aggrediscano. So che lasciano la luce accesa tutta la notte.
La donna non dà segnali, il corpo congelato. Resta seduta con la schiena dritta e le mani bloccate al tavolo.
Frank sente un brivido di stanchezza. Ha le labbra asciutte, un crampo gli contrae lo stomaco. Anche lui non mangia e non dorme da trentasei ore. Vuole finire il lavoro iniziato da altri con la scoperta dei cadaveri nel giardino, ma la situazione è pesante, difficile. Non riesce a trovare un pertugio per infilarsi dentro la testa del killer.
In ogni caso si rende conto che lui inizia a cedere, mentre l’altra rimane cristallizzata nella sua immobilità. Lo fissa, lo guarda, ma non dice nulla.
-   Sai perché hanno cominciato ad avere sospetti? Il tuo giardino è sempre stato ben curato, con la terra ricoperta dal prato all' inglese e fiori bellissimi. Poi qualcuno ha notato che c'erano zone senza erba e senza piante. Erano scomparsi quei ragazzi, è nato un sospetto. Ma non bastava, ci volevano indizi più gravi per indirizzare le ricerche.
Le risposte di Frank sembrano rivolte a se stesso: non c'è contraddittorio, nessuna risposta verbale o fisica. Il profiler si alza, gira intorno al tavolo e passa dietro la donna. Si ferma davanti allo specchio e lo fissa in silenzio.
Dall'altra parte Monetti e Berkovitz sentono un brivido. Per favore,silenzio in sala, nessuno fiati, niente pubblicità.
Frank fa un lungo sospiro, poi tira fuori dalla tasca della giacca una foto dello splendido giardino. L'erba curata in modo maniacale, le piante disposte in alternanza di colori.
-   Tutti qui, erano. Ragazzi giovani, alla ricerca di un lavoro. Hai offerto loro di darti una mano in giardino e poi...
-  Dr. Berckovitz, sta succedendo qualcosa -  sussurra Monetti dietro lo specchio.
La voce del profiler è cambiata, anche se di poco. Frank appare nervoso, questa è una novità. Lui, famoso per la freddezza, inizia a mostrare una traccia di emozione.
-   Ma tutto questo non puoi averlo fatto tu, da sola. Hai qualcuno. Un uomo, compagno o amante. Non ha importanza, conta solo che vi frequentate, conoscete tutto l'uno dell'altro. Gusti e abitudini, ritmi di vita, preferenze sessuali.
Silenzio. L' aroma del profumo di Frank sta lasciando spazio all' odore acido del sudore, la calma cede alla rabbia.
-         Detective Monetti, Frank sta per esplodere. Potrebbe diventare violento!
-         Che importa?  Vogliamo una confessione o no?
Frank naviga nervosamente intorno al tavolo; si ferma,  un pugno sul ripiano e un grido.
-          Dillo! Come è andata, eh? Ti facevi quei ragazzi e lui era geloso? Non ti bastava un uomo, avevi bisogno di carne fresca!
Il volto di Frank sfiora quello della donna. Nella furia delle accuse  gocce di saliva colpiscono le guance levigate di lei. Ma non si muove di un millimetro, la pelle del viso non si increspa in una ruga.
Frank cede di schianto. Allarga il braccio e la colpisce al volto con uno schiaffo.
La testa della donna rotola in terra con un rumore lieve, attutito. Il suono che producono trecento grammi di silicone cadendo sul pavimento.
Il viso della donna in plastica non è cambiato, lo sguardo fisso e il sorriso sintetico sono gli stessi che Frank ha scelto dodici mesi prima nel catalogo on-line.
Lei è la donna ideale, sempre consenziente, sempre disponibile. Tutte le ore, tutti  i giorni. Per fare sesso, sì, certo. Ma anche per una colazione in giardino o un film insieme. Per ammirare dalla veranda i fiori colorati che Frank piantava e curava per lei. E poi assomigliava in modo incredibile a sua moglie.
Il ricordo di Ann per un attimo lo blocca,  subito la rabbia riemerge.
Dietro lo specchio Monetti e Berckovitz sonoglassati. Non muovono un muscolo,  Frank si calma, guardando la testa della bambola. Inizia a parlarle piano, lascia libere le lacrime.
-          Tu non c'entri, cara. E' stata colpa loro… E' stata colpa di quei ragazzi, che non capivano. Non facevano altro che guardarti, quando ti lasciavo a prendere il sole in topless. Non capivano perché te ne stessi lì, immobile. Qualcuno ha fatto domande. Troppe domande. Qualcuno dei maschi si è avvicinato per guardarti, per toccarti. Le ragazze  invece... Non lavoravano bene, non sapevano curare il giardino! Ma io volevo che stavolta fosse tutto perfetto, tesoro. Io, tu e il nostro giardino. Hai sofferto troppo e adesso che eri tornata, adesso che eri di nuovo con me, non dovevi avere pensieri; solo riposare e goderti il sole. La mia compagnia e i nostri fiori. Quei ragazzi non potevano capire.
Il detective Moneti prende il cellulare.
-          Louis, vieni a prendere il fermato, ha confessato -  ordina e chiude.
Il dottor Berkovitz sembrava confuso.
-          Non riesco a capire, Monetti. A cosa si riferiva Blackwood?
-       Non lo sa dottore ? La moglie di Frank era una donna bellissima. Ne parlavano tutti, al lavoro. La adorava. E' morta per una grave malattia, in pochi mesi.
-          Quando è successo?
-         Vent'anni fa. L' ha accudita tutti i giorni, sino alla fine. Piantava anche  fiori bellissimi e colorati per lei in giardino.
Il killer viene portato via in manette, loro che rimangono in silenzio, fissando un agetnte che raccoglie la testa della bambola per aggiungerla alle prove contro Blackwood.
-          Ecco dottore, sta tutto in quella faccia smorta.
-          Cosa intende, Monetti?
-        E' una maschera, come quella che portava Frank da una vita.  La sua non si vedeva,  era indossata sopra l'anima. 




1 commento:

  1. Liberamente ispirato a Criminal Minds...con un profiler appena più problematico!
    Marco Moretti

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