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giovedì 22 dicembre 2016

"LA FOLLIA DI ADOLFO" VISTA DA MIMMA ZUFFI

recensione di Mimma Zuffi

Nella vetrina di una libreria è esposto il libro "La follia di Adolfo" (pubblicato da Mondadori).
Subito mi viene in mente l'espressione "Sieg Heil!" (saluto nazista che con il braccio a 30 gradi scatta in avanti a 180) e il pensiero va alla mania di grandezza di Adolf Hitler. "Perchè mai italianizzare il nome del dittatore?". Poi noto che l'autore è Carlo A. Martigli, dove la A. sta per Adolfo. Molto incuriosita decido che deve essere mio.
Letto in poco tempo mi rendo conto che il libro è la cronaca di una storia, quella della famiglia Martigli.
Sipario. S'apre la scena, Adolfo l'occupa subito.
Abituata da Carlo A. Martigli a rivivere la Storia, questa volta l'autore incastra in modo quasi magico le complesse vicende vissute dalla sua famiglia. È una storia dai molteplici intrecci, una sorta di cattedrale gotica fatta di parole che dà un impatto come solo la musica sa fare.

Si capisce che l'autore porta nell'animo i segni dei tempi che gli è toccato vivere e ai quali si è dovuto adattare.
Carlo A. Martigli, affermato autore di romanzi storici (ultimo "La scelta di Sigmund", pubblicato da Mondadori), ci ha sempre descritto eventi del lontano passato; in queste pagine ha creato una sorta di contenitore di tante storie personali che s'intrecciano tra loro e il teatro della vita è lo strumento per esprimere sensazioni e fatti.
L'abilità dell'autore sta nel fatto di captare umori e odori e di farcene far parte. Spazio e tempo si misurano nella costruzione narrativa della forma e del linguaggio. Non a caso i capitoli sono brevi e incisivi sia nella presentazione dei protagonisti e degli ambienti sia nelle dinamiche dei rapporti tra i diversi personaggi.
Si vede sullo sfondo la Toscana, la guerra di Libia, Venezia, le Ardenne, Caporetto, si assiste alle mire espansionistiche dell'Austria sui Balcani.
Adolfo, il cui nome significa nobile lupo, termina la narrazione con questa frase "d'altra parte una vena di follia, in famiglia, c'è sempre stata".
Ma il libro prosegue con un capitolo intitolato "Dramatis Coquinae" dove si possono "degustare" una sessantina di ricette della cuoca Finimola, nome buffo appioppatole dal padre alla nascita, perché ultima di una schiera di figlie femmina.

Citazione (pag. 129):
"Non sapremmo che cosa sia la felicità se non provassimo dolori qualche volta."

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