Un nuovo, importantissimo riconoscimento per Madeleine Thien. Dopo aver raggiunto la finale del Man Booker Prize, il suo ultimo romanzo Do not say we have nothing ha vinto il prestigioso Giller Prize, il principale premio letterario canadese, consistente in un assegno di 100.000 dollari.
Questa la motivazione della giuria: “Do not say we have nothing ha incantato i membri della giuria con il suo dramma sofisticato e ricco di dettagli storici su un gruppo di musicisti classici e il loro tentativo di sopravvivere a due delle più grandi mostruosità del XX secolo: la Rivoluzione culturale di Mao Zedong e il massacro dei manifestanti di piazza Tiananmen, nel 1989 a Pechino. Do not say we have nothing affronta temi da sempre centrali nella letteratura: come può l’amore per l’arte, per gli altri e per noi stessi sostenerci individualmente e collettivamente di fronte a un genocidio? Un meraviglioso omaggio alla musica e allo spirito umano, Do not say we have nothing è insieme triste e capace di riempire il cuore di gioia nel suo racconto di perdita e resilienza in Cina e in Canada”. Il Giller Prize, istituito nel 1994, nella passate edizioni è stato vinto tra gli altri da Margaret Atwood, Alice Munro, Michael Ondaatje, Austin Clarke e Joseph Boyden.
66thand2nd, che di Madeleine Thien ha pubblicato nel 2014 L’Eco delle città vuote, pubblicherà Do not say we have nothing nel settembre 2017
Dal catalogo 66thand2nd
Madeleine Thien
L'eco delle città vuote
Janie ha lasciato la Cambogia a undici anni. In Canada, ad attenderla, c’è il suo futuro: l’adolescenza con la madre adottiva, gli studi di Elettrofisiologia, e poi l’incontro con Navin, il marito, e la nascita di Kiri. I genitori e Sopham, il fratello minore, li ha seppelliti insieme alla sua vecchia identità, la bambina che i khmer rossi chiamavano Mei. E con loro Phnom Penh, «la città alla confluenza dei fiumi» con i suoi templi luccicanti, una città vuota dopo il 17 aprile 1975, congelata nel tempo dall’assenza di vita; i campi di lavoro, dove l’Angkar li aveva confinati privandoli anche dell’identità; l’interminabile traversata via mare verso la Malesia e l’istante fatale in cui la sua mano ha lasciato quella di Sopham, per sempre. Ma le innumerevoli anime che un uomo si porta dentro, il pralung, talvolta possono rientrare da una finestra aperta, possono essere restituite al legittimo proprietario, e quando Hiroji – il collega, l’amico – le chiede di aiutarlo a ritrovare James, il fratello scomparso in Indocina mentre infuriava la guerra, per Janie arriva il momento di riappropriarsi di una parte di sé. La Cambogia – terra di una bellezza violenta, amara – è il punto di partenza e di arrivo, il crocevia dove vanno a confluire i destini dei protagonisti in un viaggio a ritroso nella memoria, personale o collettiva.
Madeleine Thien è nata a Vancouver nel 1974, anno in cui i suoi genitori si sono trasferiti in Canada dall’Estremo Oriente (il padre è cino-malese, la madre di Hong Kong). Nel 2001 esce il suo primo libro, Simple Recipes, una raccolta di racconti che le vale l’elogio della connazionale Alice Munro e l’inserimento nella short list del Commonwealth Writers’ Prize, seguito a pochi mesi di distanza da The Chinese Violin, libro per bambini illustrato da Joe Chang. Il successo internazionale arriva con Certezze (2006), uscito in Italia per Mondadori e tradotto in sedici lingue. Il quarto romanzo della Thien, L’eco delle città vuote, è stato pubblicato da McClelland & Stewart nel 2011 e successivamente da Granta Books (2012). Il suo nuovo romanzo, Do Not Say We Have Nothing, uscito quest'anno, è nella shortlist Man Booker Prize.
Nessun commento:
Posta un commento