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martedì 9 agosto 2016

UN BUON DIAVOLO IN AIUTO DEL POPOLO, di Carlo A. Martigli

"Carlo A. Martigli, autore di best seller internazionali come "999 L'Ultimo Custode",   "L'Eretico" "La Congiura dei Potenti" (tutti pubblicati da Longanesi), e da poco tempo "La scelta di Sigmund" (pubblicato da Mondadori), ci ha regalato questa interessante spiegazione."
Mimma Zuffi

Un demonio, Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Tra la gente comune si usa ancora l’espressione “è un buon diavolo”. Come riporta il Dizionario Hoepli dei modi di dire, questa locuzione è riferita “a chi ha qualche difetto che comunque gli si perdona, o a una persona limitata e modesta ma buona”. Quindi un’espressione benevola, gentile nei confronti di qualcuno che siamo tranquilli non farà mai del male a noi o ad altri. Ma allora perché usare accanto a “buon” la parola “diavolo”? 


Eppure quest’ultima dovrebbe significare peccato, corruzione, disonestà, malvagità, bruttezza e terrore. E’ in questo modo che ci appare nelle pitture, come nel mangia persone cornuto e di colore cobalto acido del Demonio di Giotto eternato (come è giusto che sia in quanto demonio) nella Cappella degli Scrovegni. O in quello simile di Michelangelo nella Cappella Sistina o in quelli quasi ridicoli nelle loro abbiette forme caricaturali, nei vari trittici di Hieronymus Bosch. La risposta ha solide basi antropologiche, sociali e culturali: la differenza sostanziale tra quelle raffigurazioni e l’espressione “buon diavolo” nasce infatti dalla diversa concezione che dell’angelo caduto, dell’avversario di Dio, ne avevano i nobili, il clero e i principi da una parte, e dall’altra la gente comune, i servi della gleba e i poveri e i derelitti in generale. Tale interpretazione non è nuova, ma è rimasta nascosta, apocrifa sarebbe il caso di dire correttamente, al fine di non turbare le coscienze. In sostanza, a partire dall’alto Medioevo, il Dio adorato nelle chiese è visto come colui che ai potenti dona impunità e ricchezze. Gli stessi sacerdoti, nelle loro omelie, sostengono che sia opportuno mantenere lo status quo per evitare disordini. Affermano che il ricco, bontà sua, esiste per aiutare il povero, e garantiscono come la vera vita non sia su questa terra, ma nell’altra, dopo la morte. Vita nella quale si otterranno i più grandi premi e la felicità eterna, a condizione di soffrire il più possibile, patendo fame, ingiustizie e soprusi: la sofferenza come viatico per il Paradiso. Tanto, dopo, non ci sarà nessuno a controllare che le cose siano effettivamente così. Sono i nobili, che in quel periodo, forgiano la frase “il lavoro nobilita l’uomo”: il che vuol dire che se lavori, diventerai simile a me, che non faccio nulla e vivo in pace e gaudio in quanto sono nobile. Uno slogan efficace, uno straordinario mezzo di distrazione di massa. Quindi, al povero, al misero che accetta di chinare sempre la testa e metterla sul ceppo, che non vuole che il suo signore si sollazzi con la moglie e con la figlia, e che dovrà perfino ringraziare di tanto onore, non rimane che rivolgersi al Diavolo. Il Ribelle per eccellenza, l’unico che possa prendere le sue difese e che non lo prenda in giro con vane promesse di vita eterna, ma che gli possa donare un minimo di dignità di vita su questa terra. E’ questa la figura di Lucifero, che come dice San Tommaso, amava a tal punto gli uomini da disobbedire a Dio. Lucifero, che dal punto di vista etimologico altro non è che il Portatore di Luce. Impossibile non fare il paragone tra Lucifero e Prometeo, il dio antico, il Titano che sfidando gli dei olimpici, portò agli uomini il fuoco. Il primo portatore di luce, il secondo del fuoco, e così amato dagli uomini che nell’antica Atene gli furono dedicate grandi feste pubbliche, le Prometheia, appunto. Questi due che possiamo chiamare eroi dal punto di vista umano, furono puniti per lo sgarro contro chi, Dio cristiano o dell’Olimpo, voleva mantenere l’umanità soggiogata e ignorante. Incredibile a dirsi se ci si riflette: è pura domanda retorica chiedersi quale padre non vorrebbe che il figlio gli assomigliasse o che fosse migliore di lui. Non così, incredibilmente, sostiene il Dio che scaccia Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre per aver voluto essere come Lui, per sete di conoscenza, e li danna per l’eternità. Ed ecco che, ritornando all’inizio del nostro discorso, nella cultura popolare, anche senza una chiara coscienza che poteva diventare pericolosa se espressa pubblicamente, nasce la figura del “buon diavolo”. Uno che ha rinunciato a se stesso, un generoso, che si è fatto condannare per l’eternità per avere troppo amato. Lucifero e Prometeo, perdenti, ma in potenza, tirannicidi.     

4 commenti:

  1. Carlo Martigli è sempre un grande e una garanzia.
    Antonella

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  2. Grande Carlo, eccezionale diagnosi di saggezza e cultura. Grazie,Juanito.

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  3. Carlo Martigli, come con i suoi libri, anche qui ha saputo coinvolgere il lettore. Bravo l'autore ma bravi anche voi ad averlo pubblicato.
    Marinella

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