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sabato 18 luglio 2015

Marilyn Monroe dialoga con....

di Giovanna Rotondo Stuart

Dialogo tra Norma Jeane e sua madre


Una donna e una bimba camminano lungo un viale alberato, ci sono delle panchine ai lati. Ne scelgono una. La donna appare stanca e affatica. La bimba, di otto anni, forse nove, si tiene fortemente stretta a lei, tanto da impedirne i movimenti:

- Sediamoci,  Norma Jean,  mi sento un poco stanca e vorrei riposare.
- Sì, mamma.
- Ecco, qui va bene. Siamo al sole. Abbiamo proprio bisogno di qualche raggio di sole. 
- Voglio stare vicino a te. 
- Siamo molto vicine, cara.
- Ancora di più, stringimi forte, mamma.


Stanno in silenzio per qualche momento, la bambina si raggomitola nel grembo della mamma, quasi volesse ritornarci, sorride:
- E bello stare qui con te, mamma. Vorrei rimanerci sempre.
- Anch’io vorrei bambina mia, ma non posso. Presto dovrò tornare al lavoro. Non pensiamoci, adesso. Con questo sole tiepido, piacevole, mi sento già meglio.
- Vederti è stato un bellissimo regalo di compleanno! 
- Mi racconti qualcosa della scuola Norma Jean, ne parliamo così poco! 
- Mi piace tantissimo cantare. Ma anche leggere.
- Anche a me piaceva cantare e leggere. Raccontami una favola che hai letto ultimamente.
- Ho letto una storia. Una storia vera. Di una bambina che va a cercare la sua mamma.
- E la trova?
- Sì.
- E’ proprio una bella storia Norma Jean, molto commovente.
Silenzio per qualche tempo. La luce si affievolisce. Si sente la donna cantare piano “Happy Birthday”, con voce dolce,  a volte solo il tono.

Dialogo tra Marilyn e Joe di Maggio


La scena si svolge in un ampio soggiorno, arredato con eleganza: un uomo e una donna in piedi, la donna è appoggiata al camino,  l’uomo guarda fuori dalla portafinestra che dà sul giardino.  Lei è bionda, non molto alta, senza dubbio appariscente.  Lui è di statura al di sopra della media e ha l’aspetto di un atleta.

- No, non posso vivere così.
- Perché, Joe? Che cosa ci manca?
- La nostra vita!
- Lo sapevi quando ci siamo conosciuti che ero un’ attrice, che ero ambiziosa e non avrei smesso. Ne abbiamo parlato. 
- Pensaci, Marilyn…  non riusciamo quasi a vederci. Non abbiamo un momento di intimità. Tu sei all’apice del successo. Hai mille impegni di lavoro e di presenza. Non puoi che andare avanti per la tua strada.
- Non possiamo farlo insieme? Rimani al mio fianco, in questi momenti per me così importanti, ti prego. Me l’avevi promesso quando ci siamo sposati.
- Non lo nego, ma non posso Marilyn, non pensavo di diventare la tua ombra. Non era questo il mio sogno.
- Pensavo che il tuo sogno fosse stare con me. Non  chiedermi di rinunciare alla mia carriera. Mi è costata sacrifici oltre ogni dire. Anche tu sei un mostro sacro del baseball, un mito! Hai persino lavorato nel cinema. Conosci l’ambiente, sai com’è: un mondo duro. 
- Si, ma non è il mio. Io non cerco una vita di celluloide: sempre sotto i riflettori, sempre in mezzo alla gente. Ci tengo alla mia privacy e la difendo. 
- Non è facile per una diva al culmine del successo avere una vita privata. Oltre al lavoro ci sono obblighi pubblicitari e mondani a cui devo presenziare.
- Dì che ti piacciono molto! Puoi essere una professionista seria e famosa pur non apparendo a ogni evento. 
- Mi stai chiedendo di abbandonare… 
- No, non ti sto chiedendo nulla. E non funzionerebbe, comunque.  Non rinunceresti certo alla tua carriera e alla tua vita per amor mio.
- Non potrei. Mi piace tutto ciò che faccio, voglio essere libera di conquistare il mio pubblico senza impedimenti, stare con gli amici, uscire a tutte le ore.
- Hai creato il tuo personaggio con intelligenza, ma non riesci più a distinguere tra realtà e finzione.
- Sei ingiusto nei miei riguardi: sono generosa con il mio pubblico e mi concedo senza fare calcoli. 
- Lo capisco. In Giappone hai interrotto la nostra luna di miele per andare in Corea. Ci eravamo appena sposati.
- E’ stato molto bello, per me. L’ho fatto con convinzione e passione. Mi dispiace che tu ti sia risentito.
- No, non mi sono risentito. Ho capito ciò che avevi in mente, ho compreso il tuo desiderio di dare un contributo e ti ho ammirata. Ero preoccupato per la tua incolumità.
- E’ stata un’esperienza reale, vera. Quei ragazzi hanno dimenticato per qualche momento l’orrore della guerra, ho sentito la loro gratitudine: lo rifarei anche in condizioni più difficili.
- Non sono questi gli episodi che ti rimprovero, ma la vita frenetica che conduci. Mi sono illuso che l’amore potesse essere più forte e duraturo di qualsiasi altro coinvolgimento.
- Ma si tratta della mia carriera!
- Tu sei un simbolo. Tutti ti desiderano, ti amano, ti invidiano. Sei brava e lo diventerai ancor di più. Non sarò io a limitare il tuo successo.
- Diamoci un’altra chance, Joe. Tentiamo ancora. Non voglio lasciarti. Sei una persona tenera, riservata, anche se un po’ orso, tuttavia la più affidabile  intorno a me. 
- Durerebbe solo per alcune ore, non riusciamo a comunicare.  A volte ci troviamo nella stessa stanza e io faccio fatica a parlarti,  mi sento pieno di rancore, prigioniero dei miei sentimenti. Tu diventi insofferente, litighiamo. Come negli ultimi giorni. No, non ha senso continuare così.
- Dimmi  che cosa possiamo fare. Ti prego, Joe!
- Solo lasciarci,  ci penso da molti giorni e molte notti. Sono geloso della tua immagine, di quanti ti guardano. Non mi piacciono le parti che ti fanno recitare, non mi piace come ti vesti. Vorrei stare con te, sempre. Non sono disposto, pur amandoti molto, a dividerti con il pubblico, con il tuo lavoro, i tuoi amici. Vederti quando capita.
- Joe, non sono pronta a rinunciare a tutto questo. Non ancora. Forse un giorno. Ho bisogno di loro, ho  bisogno di te.
- Desideravo una famiglia, Marilyn.  La mia era povera,  ma molto affiatata, eravamo in tanti, ci volevamo bene, ci aiutavamo.  Avrei voluto creare una famiglia  con te, per te. 
- Anch’io vorrei una famiglia, dei figli. Era il sogno della mia adolescenza. Ma voglio anche il successo. Il riscatto di tanti anni di umiliazioni. E non posso interromperlo ora. 
- Era il mio desiderio, non è mai stato il tuo. Tu hai  bisogno di un guardiano fedele ed è un ruolo che non mi appartiene. 
- Mi stai attribuendo il fallimento del nostro matrimonio, e forse è così. Ti ho sposato per amore e ti amo tutt’ora. 
- Me ne rendo conto con dolore, ma è il tuo momento, non il nostro. Ci siamo incontrati nel periodo sbagliato, non c’è posto per me nella tua vita di oggi. 
- Ma c’è nel mio cuore! 
- Speravo di svegliarmi al mattino, preparare  la colazione.  Passeggiare con te al parco, abbracciati come due amanti.  Saresti diventata la mia luce.
- Ti prego, non voglio piangere.
- Non piangere Marilyn. Potrai contare su di me, sempre!
- Se questa è la tua decisione, non mi resta che accettarla.  Addio Joe. 
- I love you, my dear.


Dialogo tra Marilyn e il suo psichiatra


Uno studio, arredato come un salotto. Una grande scrivania e, di lato, un lettino, quasi un sofà su cui è  sdraiata una donna dall’aspetto sofferente e sciupato. Un uomo, seduto accanto a lei, le stringe una mano.
- Che cosa succede, Marilyn?
- Mi sento strana. Ho un malessere intenso dentro di me, un tremolio diffuso, non riesco a calmarmi, non c’è nulla che mi calmi, che mi rilassi. Ho bisogno di aiuto. Sto male, sto sempre male.
- Bevi troppo. Ti fa male. Devi smettere di bere, lo sai.
- Si, e prendo anche troppe medicine, lei me le prescrive.
- Se  tu non le prendessi, staresti peggio, il tremolio si noterebbe vistosamente.
- Mi sento ebete! Gli psicofarmaci m'impediscono di vivere. Mi fanno sentire una bambola rotta, buttata via.
- E’ tempo che tu decida della tua vita,  Marilyn. Se continuerai a vivere in questo modo, ti distruggerai.
- Norma mi aiuterà, lei non è fragile come Marilyn.
- Norma non esiste, esiste solo Marilyn.
- Io sono Marilyn e Norma insieme. Tutt’e due sono dentro di me.
- Norma non c’è più: vive solo nella tua mente, devi liberartene! 
- Norma è la parte migliore di me, la mia coscienza, mi tiene sveglia.  
- Sii fiera di te stessa. Norma Jean è diventata Marilyn Monroe: una splendida creatura. 
- Che tutti vogliono e nessuno ama!
- Amare è ancora più importante.
- Non posso amare con questo malessere dentro di me.
- Devi uscirne: è un percorso molto faticoso,  non ce un’altra via. Hai bisogno di un lungo ricovero. Sola, non ce la farai mai.
- Ho provato. Era terribile!
- Lo so. Dovevi resistere. E’ stato un errore interrompere la terapia.
- Non c’è un modo meno crudele per tirarmi fuori da tutto questo? Joe, il mio ex marito,  ha detto che devo smettere di bere e prendere barbiturici. Soprattutto cambiare giro di amici,  ma non ci riesco. Non ho le energie per farlo! Lei è il mio psichiatra, dovrebbe consigliarmi.
- Posso trovarti una buona clinica che ti aiuti a disintossicarti, ma tu devi volerlo  fortemente. Non sarà una passeggiata, ci vorranno molti mesi.
- Ci penserò alla fine dell’estate. Volevo vedere l’uomo che amo, ma a lui non interessa vedermi. Almeno, non tanto quanto me.
- Intendi il Presidente?
- No, ero invaghita di lui e non si può non esserlo: è bello come il sole, ma non è lui a cui penso e lei lo sa. 
- No, non lo so e non è necessario che io lo sappia.
- Mi hanno trattata come una Diva. Una bambola che suscita piacere, ammirazione e poi si accantona. Ho bisogno di tenerezza, di tanto amore, ho bisogno di sentirmi  amata… devo essere più importante di qualsiasi scandalo!
- Ciò che dici è molto grave. Sei irrazionale come una bimba piccola.
- Ma è vero! Desiderano la mia immagine, non me. Non possono usarmi come un loro  passatempo. 
- Parlane con la persona che dici di amare.
- Ho tentato,  per farmi coraggio devo bere.
- Cerca di farlo da sobria.
- Tremo, non riesco a combinare il discorso. Se prendo le pillole è ancora peggio, non so neanche come mi chiamo.
- Il punto è sempre quello: non puoi pretendere che ti si ami in queste condizioni. Devi curarti, non hai altra scelta. Se non lo farai, soccomberai.
- Ho tentato tante volte, senza successo!
- Non devi tentare, devi volerlo! devi essere tu e solo tu. Gli altri possono aiutarti dandoti pillole. Nient’altro.
- Anche questo è un abuso.
- Sei tu che abusi di te stessa, solo tu Marilyn.
- Ma lei non può aiutarmi? La pago per questo. E anche bene!
- Mi sono illuso di poterci riuscire, mia cara. Il mio obiettivo era di aiutarti a uscire dalla dipendenza da barbiturici e alcool: un insieme che ti sta uccidendo. Sono troppi anni che vivi così.  Posso solo  prescriverti dei sedativi per farti stare meno male, ma non risolvono nulla,  sono solo dei palliativi. 
- Allora perché mi permette di prenderli?
- Te l’ho spiegato più di una volta: staresti  peggio se non li prendessi.
- Mi farò ricoverare. Mi farò disintossicare. Mi scelga una clinica che non sia troppo violenta.
- Non sarà la clinica ad essere violenta. E’ la lotta per liberarti dalla dipendenza  che sarà dura e violenta.
- Le sue parole mi spaventano. Come farò con il  lavoro?
- Non sei in grado di far fronte ai tuoi impegni, comunque, in queste condizioni, lo sai. Devi renderti conto della situazione in cui ti trovi,  per accettarla e combatterla.
- Lo farò presto… ho bisogno di qualche giorno ancora per decidere. Devo pensare. Siamo ancora in estate, io amo l’estate. 
- Non aspettare troppo, Marilyn. 
- Chi mi starà vicino? Chi mi verrà a trovare? Chi si occuperà di me?
- Io ti aiuterò, per quanto  mi sarà possibile.
- Ma lei non potrà aiutarmi come qualcuno che mi ama. Lei è solo il mio psichiatra, la pago per curarmi!
- Farò del mio meglio.
- Sì, andrò alla fine dell’estate…

Dialogo tra Marilyn e Norma Jeane


La stanza è in penombra, s’intravede un letto, una figura femminile sdraiata, immobile. Sembra dormire. Si odono dei mormorii strascicati:

- Ho freddo, ho tanto freddo. Non posso muovermi, Norma dove sei?
- Sono qui con te, bambina mia, come sempre.
- Mi sento male, ho i brividi...
- Vuoi parlare un poco?
- Sì, mi sento così sola… 
- Farei qualsiasi cosa per aiutarti, Marilyn, lo sai.
- Lo so Norma, tu sei la mia coscienza e io non ti do mai ascolto. 
- Non dovevi diventare Marilyn, dovevi rimanere Norma Jean. Oggi saresti una signora piacente, un po’ sovrappeso forse, magari con dei marmocchi.
- Sarebbe stato bello! 
- Sì, solo che ero io a volere dei bambini...
-       Norma, ci ho provato anch’io…
- Ho qualche dubbio che tu ci abbia provato per davvero, ero io quella che voleva avere dei figli e una famiglia.
- Aiutami, per favore, sto male. 
- Ma guardati, l’hai fatto ancora! Questa volta non avrai scampo.
- Devi telefonare subito al mio medico, chiamarlo…
- A che scopo? Per farti dare delle altre pillole? Ne hai già prese tante! 
- Non mi tormentare. Ho fatto del mio meglio, anzi, di più, c’è stato un momento in cui ho pensato di poter essere felice.
- Sì, hai lavorato tanto e studiato tanto. Lo meritavi! Ma dentro di te sei rimasta Norma Jean. La tua insicurezza è devastante.
- Che cosa dovevo fare? Non riesco ad essere ciò che non sono. E mi sento braccata. Sempre! E adesso? Dimmi, adesso cosa posso fare?
- Nulla, non ho consigli da darti. Puoi soltanto morire! Sì, mi sembra un buona via di uscita. Molti ti rimpiangeranno. Ti ricorderanno bella,  bella e patetica nella tua infinita solitudine. E lo eri.
- Perché usi il passato? Non sono più bella?
- Il tuo aspetto fisico è terribile: i tuoi capelli sono secchi e radi, la tua pelle grigiastra e piena di rughe. Troppe pillole e troppo alcol ti hanno devastata.
- Ma sono sempre Marilyn!
- Sì, benché tu non ci sia più, la tua immagine c’è ancora, ma non ci sei più tu. Impasticcata e ubriaca dalla mattina alla sera. Per la maggior parte del tempo non sai quello che fai, né ciò che dici. Ci vuole un esercito per metterti in piedi.
- Non essere crudele con me. Non avevo scelta se volevo andare avanti. Perché sono schiava di tutte quelle pillole?
- E l’alcol dove lo metti? Persino quando sei andata a ritirare Il Golden Globe eri ubriaca, così ubriaca che non è stato possibile trasmetterti mentre ritiravi il premio. Mi sono vergognata terribilmente.
- Anch’io mi sono vergognata. Ero terrorizzata da tutto quel pubblico. Mai avrei pensato di arrivare a tanto successo: bevevo per farmi coraggio.
- Uno dei riconoscimenti più importanti al  mondo, dopo tutta quella fatica che abbiamo fatto per arrivarci. Povera, povera Marilyn.
- Non rimproverarmi, sono già stata punita abbastanza.
- E anch’io con te, non ci hai mai pensato a me, vero?
- Non avevo tempo, dimmi che cosa devo fare, Norma, me l’hai sempre detto, questa volta ti ascolterò.
- Meglio farla finita. Prima che lo facciano gli altri. Tu hai incominciato a farlo tanti anni fa, non opporre resistenza, rilassati.
- Vorrei un po’ di tenerezza, un po’ di amore. Norma tu lo sai, sei la mia parte migliore, ti porto dentro di me, ti parlo. Ho sempre avuto amore e tenerezza nel mo cuore.
- Sono io che ho sempre avuto amore e tenerezza, Marilyn, tu eri troppo ambiziosa per lasciarti andare. Ero io che non ci tenevo a diventare una celebrità.
- Se qualcuno potesse accarezzarmi, scaldarmi, mi sentirei meglio. Sto male, tanto male, Norma. Sento di essere alla fine.
- Chiudi gli occhi piccola mia, pensa a qualcosa che possa aiutarti a star meglio. 
- Ricordo  quella volta che la mamma mi portò al parco. Era una  bella giornata di sole, lei mi prese tra le braccio e mi accarezzò a lungo, con dolcezza, e mi strinse a sé tutto il pomeriggio. Se chiudo gli occhi sento ancora le sue carezze. 
- Si, mi ricordo di quel giorno, fu l’ultima volta. Aveva l’aria così affaticata, ma io ero troppo felice di vederla per rendermene conto: era il mio compleanno! Mi strinsi a lei tutto il pomeriggio. Anche lei era sola e malata.
- E’ stata la causa maggiore delle miei paure, dei miei complessi. Doveva darmi in adozione.
- Ha fatto tutto ciò che ha potuto, non riusciva a pensare di non vederti più.
- Tirarsi fuori da quella vita randagia non è stato facile, tutte quelle famiglie che mi hanno ospitato… 
- Non lo dimentico, tuttavia sei stata brava: eri bella e determinata. Hai studiato, sei diventata  famosa. 
- E infelice. Nessuno mi ha veramente amato, per quale ragione?
- Hanno tentato. Il successo non l’ha permesso. L’alcol e i barbiturici non l’hanno permesso e tu stessa non l’hai realmente voluto.
- Non ricordo l’inizio...
- Hai incominciato presto a impasticcarti. Oggi non ce la fai più a rispettare i tuoi impegni di lavoro.
- Tuttavia ho sempre lavorato tanto. 
- Dovresti lavorare adesso. Raccogliere quello che hai seminato. Ma non sei più professionale: sempre in ritardo, sempre ubriaca.
- Ti prego, Norma, ti prego non infierire. Ero insicura, paralizzata dalla timidezza e dalla paura. Non riuscivo a farcela da sola e avevo bisogno di aiuto.
- Lo so e hai scelto l’aiuto peggiore: la dipendenza. Mi meraviglio come tu abbia retto tanti anni in quelle condizioni. Sei intelligente, sensibile. Avresti potuto essere un mostro di bravura. 
- Volevo essere colta, all’altezza delle situazioni. Avevo paura di sbagliare, soprattutto qualora avessi dovuto parlare in pubblico, recitare. Per quello mi impasticcavo e arrivavo in ritardo: non riuscivo a muovermi. 
- Quando hai cantato: “Happy Birthday, Mr President”, eri intensa e bellissima. Avresti dovuto accontentarti! Hai avuto il desiderio e l’ambizione di voler far parte di un mondo che non ti apparteneva.
- Ma non sono io che l’ho cercato, quel mondo è venuto a cercarmi.
- Dovevi incassare il tuo successo. Essere discreta. Curarti. Cambiare stile di vita. Dovevi essere tu a volerlo per riuscire. Ti sei logorata e sei andata avanti per la tua deriva. Una deriva amara.
- Tu non capisci, io ci ho creduto veramente, ma loro non mi hanno voluta. Non mi hanno ritenuto all’altezza. 
- Te l’ho detto tante volte: dentro di te sei rimasta Norma Jean. Io ero una ragazza fragile, insicura, romantica e avrei desiderato tanto avere una famiglia. Per diventare Marylin hai dovuto prendere pillole per tutto: dormire, lavorare, svegliarti. Anche per far l’amore.
- Sì, mi sono trovata al centro di un mondo scintillante. 
- A cui non hai voluto rinunciare neanche per amore.
- E’ vero!
- Non sei stata in grado di scegliere il marito o l’amante giusto, neanche  il medico o la donna di servizio.
- Né il marito né l’amante e neanche lo psichiatra… Perché? Eppure non sono peggiore di altri.
- No, non lo sei, mia povera Marilyn.
- Ho sperato che funzionasse con Joe e poi con Arthur…
- Non hai lottato abbastanza, con Joe hai preferito la tua  carriera, lo sai, te l’ho detto tante volte. Lui ti amava davvero, non voleva dividerti con mezzo mondo. Io sarei rimasta con lui per tutta la vita. Mi avrebbe protetto, amato. Ero felice quando l’ho sposato e non avrei mai divorziato.
- Sì, Norma Jean, tu lo eri, ma non io. Con Miller ci ho creduto, volevo avere un figlio da lui.
- Era troppo diverso da te, da me. Un intellettuale, non ha capito le tue difficoltà. Neanche io capivo lui.
- Se avessi avuto un figlio da stringere al cuore… 
- Ma non l’hai avuto, almeno sei sicura che non sarà stato infelice.
- Sarebbe stato bello e l’avrei amato tanto. Ho freddo, Norma, tanto freddo. Mi sento così rigida, non riesco a rilassarmi, forse dovrei… coprirmi.
- Addio, Marilyn. 


Dialogo tra Marilyn Monroe e Andy Warhol


I due camminano lungo una strada senza fine tenendosi per mano. Lei cammina a piccoli passi su un paio di scarpe dai tacchi altissimi, gli occhi socchiusi, un sorriso splendente, i capelli biondi, perfetti. Lui, molto magro, di aspetto ricercatamente sciatto, indossa mocassini e capelli color platino.

- Andy, sei un grandissimo impostore. Guarda cosa sei riuscito a combinare! 
- Nulla, non ho combinato proprio nulla. Ho dato loro quello che volevano… 
- Hai fatto di me una persona che vivrà per sempre, bella e luminosa.
- In effetti, mi sei riuscita bene. 
- Io che ero diventata brutta e pelata, sarò come  tu mi hai raffigurato per l’eternità.
- Si, finché esisterà l’eternità sarai come la Coca Cola e la minestra della Campbell!
- Non essere sarcastico, non puoi paragonarmi a una bottiglietta o a una lattina.
- Tu sei un oggetto di consumo, esattamente come lo sono le lattine e le bottigliette.
- Non pensi che ci fosse qualcos’altro, dentro di me?
- Questo non interessa più! Noi dobbiamo scegliere, tu hai scelto di essere quella, per sempre.
- Ma chi l’ha detto?
- Non l’ha detto nessuno, sei tu, con le tue azioni che l’hai determinato.
- Non è vero, sono stata una vittima fin dall’infanzia. Se avessi avuto una famiglia normale, sarei stata più felice.
- Si, senza dubbio, ma poi hai scelto, come me, anzi, più di me, di essere un personaggio pubblico. 
- Io volevo studiare, non volevo rimanere un’oca.
- E perché non l’hai fatto?
- Mah, me lo chiedo, ogni tanto… 
- Dì che ti piaceva essere famosa, desiderata: un sex symbol!
- Sì! E sono contenta della nicchia che mi sono conquistata, anche grazie a te e al fatto che sono morta giovane.
- Ma ti sei uccisa per davvero?
- Bella domanda: non lo so neanch’io. Mi sono impasticcata e ho bevuto come al solito… ed eccomi qua! 
- Vuoi dire che non sai che cosa ti sia successo in seguito?
- Proprio per niente
- Furbetta!
- Come te, ci hai propinato le tue riproduzioni fotografiche come autentici capolavori: hai un ottimo senso degli affari!
- Bé, come te, amo il lusso. I miei erano poveri e allora ho aguzzato il mio ingegno creativo e, credimi, ne avevo una buona dose. 
- Sì, ho visto le tue “Ossidazioni”. Vere creazioni di sedute urinarie, esposte nelle più grandi gallerie d’arte! Ma, dimmi, non puzzavano? 
- Finché le tele non si asciugavano, il fondo era trattato in modo particolare.
- C’erano indicazioni sul numero dei partecipanti?
- No, si potevano eseguire in gruppo o singolarmente. Chi c’era, c’era.
- Presumo che ci fossero molti getti incrociati.
- Presumi bene. Ci siamo divertiti, lavorando. Tuttavia è stato solo un periodo, abbiamo creato molto altro.
- Avresti vissuto qualche anno in più?
- E perché mai avrei dovuto?
- Tante opere che avresti potuto creare e produrre.
- Che differenza avrebbe fatto?
- Ma non rimpiangi nulla?
- Che domande banali!
- Be', di banalità ce ne hai vendute tante… 
- Anche tu! I miti vendono bene. 


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