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sabato 27 giugno 2015

Ritorno a Saturn Bay

di Annalisa Petrella


Aveva lasciato l’automobile in un angolo del parco, all’inizio del viale alberato, e si era avviata di buon passo verso la villa illuminata a giorno. Erano le 23 di una domenica di luglio; in quella notte stellata la luce lunare scivolava sulla seta dell’abito, creando un gioco ardito di chiari e scuri che sottolineavano la sinuosità del suo incedere sui tacchi sottili. 


La maschera sul volto di Julia le conferiva un che di misterioso e, quando entrò nella villa, pur nella confusione dei duecento invitati, fu subito notata e avvicinata da uomini eleganti. Lei però cercò di evitare quei corteggiamenti perché aveva un preciso obiettivo. Riuscì a defilarsi e decise di bere un analcolico per mantenersi perfettamente lucida. 
Si sedette in disparte sulla terrazza e gettò lo sguardo verso l’immensa distesa di verde che si stendeva sulle colline, oltre i cancelli della tenuta. Erano posti incantevoli che la riportavano a un’infanzia gioiosa, lontana, ormai completamente archiviata.

Sussultò, vedendo all’improvviso una persona al suo fianco:
- Posso presentarmi? Esteban Muñoz, ¡encantado!
- La ringrazio – sussurrò Julia – ma sto aspettando qualcuno.
- Mi scusi, non volevo importunarla, ma non l’ho mai vista alle feste di Spot e…
La donna accennò un sorriso, scosse la lunga chioma nera che le scendeva fluente sulle spalle, si alzò ed entrò nel salone laterale. Dopo essersi introdotta furtivamente nella biblioteca dove non c’era anima viva, si fermò a guardare i libri della sezione giuridica, aspettando. La biblioteca, ben rifornita e organizzata, aveva una vasta sezione dedicata alla politica, ma anche al diritto civile e penale era riservato uno spazio che poteva competere con quello del suo studio di San Francisco.
Guardò l’orologio. Lui l’aveva vista arrivare dal giardino un’ora prima e aveva rispettato gli accordi. Le aveva fatto un breve cenno di saluto da lontano e aveva continuato a conversare con alcuni ospiti al bordo della piscina, tenendola d’occhio e seguendo i suoi movimenti verso la terrazza. L’attesa le trasmetteva un’ansia profonda ma controllata; aveva avvertito nel petto un balzo vertiginoso e soffocante soltanto tre giorni prima, nel preciso momento in cui, davanti al museo, se l’era trovato davanti in tutta la sua imponenza. 
Gli anni erano stati clementi con lui, poteva ancora essere definito bello e affascinante, ma lo sguardo aveva nel fondo una durezza implacabile e il sorriso celava a mala pena un che di rapace, tipico degli uomini politici di successo. Uno scambio di battute su Renoir aveva creato un ponte immediato tra loro e la conversazione era continuata anche durante la visita all’intera mostra che, in orario serale, era pressoché deserta. L’uomo, visibilmente colpito dalla preparazione artistica da lei esibita ma soprattutto catturato dal suo fascino e dalla sua indiscutibile bellezza, l’aveva quindi coinvolta in un prosieguo di serata rivelatosi poi perfetto.
Julia aveva cronometrato ogni attimo, la conversazione era stata fluida e rilassata, gli sguardi sempre più accesi, le negazioni avevano animato ancora di più il desiderio e l’uomo si era lasciato andare completamente, soggiogato dall’attrazione che lei esercitava consapevolmente su di lui. 

Finalmente Martin entrò con passo sicuro nella biblioteca e le si avvicinò alle spalle. Anche lui indossava una maschera che copriva soltanto una piccola parte del viso. La donna si voltò e gli sorrise, la sua maschera stilizzata a forma di farfalla luccicava intorno agli occhi neri. Gli si avvicinò fino a sfiorarlo: voleva inebriarlo con il suo profumo. Accettò la coppa di champagne che l’uomo le aveva portato e fecero un brindisi:
- Al nostro incontro!
- Quando ti ho vista arrivare mi sono trattenuto a stento dal correrti incontro per abbracciarti, sono proprio felice che tu sia venuta alla festa. Ieri eri così evasiva…
- Ti ho spiegato che voglio soltanto essere prudente per evitare complicazioni. La mia separazione me ne ha già create troppe.
- Va bene, capisco… È che ti ho incontrato per la prima volta soltanto mercoledì sera e il desiderio di poterti rivedere per conoscerti meglio è stato immediato… mi hai semplicemente folgorato! Non ridere, ti prego, lo so, parlo come un ragazzino incosciente…
- Martin, tu capisci, vero, che se sono qui è perché anch’io lo desidero fortemente e ti ho spiegato che, venendo al ricevimento, ho rischiato. Lui potrebbe avermi seguito e, di colpo, potrebbe uscire allo scoperto, facendomi una scenata. Anzi, mi scuso in anticipo dell’orrenda situazione che si verrebbe a creare!
- Oh! Julia, non scusarti, ti prego, ti voglio come non ho mai desiderato una donna in vita mia, e i rischi non mi spaventano! 
L’uomo l’avviluppò in un caldo abbraccio e la baciò. Julia si staccò subito da lui e disse:
- Non perdiamo tempo qui. Mi avevi promesso qualcosa di sensazionale nel parco…
- Certo, tesoro, vieni, ho organizzato tutto: Philip mi sostituirà nei saluti finali e ora noi possiamo sgattaiolare via furtivamente senza che nessuno se ne accorga. Voglio farti vedere un posto speciale che, al di fuori della mia famiglia, nessuno conosce…
La donna annuì, la lunga frangia nera ondeggiò sugli occhi, si lasciò prendere per mano e, attraverso la porta a scomparsa, nascosta dai libri, lo seguì lungo un corridoio che pareva interminabile e portava alle cantine e, infine, dopo numerosi svincoli, sbucava direttamente nel parco sul retro della tenuta. 
Il latrato insistente dei cani attirò l’attenzione di Martin che si voltò per vedere a cosa fosse dovuto. I suoi dobermann abbaiavano soltanto per motivi reali; erano stati perfettamente addestrati da Jorgen, per cui doveva esserci qualcosa di anomalo che i cani volevano segnalare. Chiese a Julia di aspettare qualche minuto sulla panchina di pietra dietro il labirinto di pitosfori e si allontanò. 
  
Nell’attesa Julia s’incamminò verso il dosso che portava alla recinzione meridionale della tenuta. Da lì si poteva vedere la strada che portava verso l’immenso parco naturale di Saturn Bay e che lo attraversava in due punti. Lo sguardo di Julia individuò la doppia curva di Stilton Passage. Era sempre lì, non era cambiato nulla da allora: un angolo di paradiso naturale attraversato dall’inferno della sua vita. Rivide il padre di spalle, la tuta blu, il volto sorridente girato verso una bambina di undici anni in pantaloncini da jogging, il ritmo della corsa ben cadenzato, gli ultimi avvertimenti prima del passaggio pericoloso, poi un violento colpo sordo, un grido soffocato, il corpo straziato in una posizione accartocciata, sbattuto sul bordo della strada, la voce della bambina che non vuole uscire dalla bocca spalancata in un grido muto, gli occhi ipnotizzati da un coupé bordeaux in fuga di cui è visibile solo la prima cifra della targa. 

L’uomo ritornò e le accarezzò le spalle:
- Scusami Julia, mi pare tutto a posto, forse sono innervositi dal vociare degli ospiti in lontananza. Andiamo!
La donna infilò sotto la spalla la borsetta da sera che tenne stretta con la mano sinistra, si lasciò prendere di nuovo per mano e s’incamminò nella notte rischiarata dalla luna. I passi trovarono un ritmo concorde: lui la teneva stretta e le narrava la storia della tenuta e le sue curiosità, la donna sentiva la forma della rivoltella, che aveva caricato la sera prima, attraverso la seta della pochette. 
La cadenza della passeggiata nel parco le faceva rivivere alcuni attimi del suo passato: il funerale, la madre sempre più sconfortata dalle notizie sulle indagini, la sua testimonianza resa al poliziotto nel tentativo di descrivere l'automobile in fuga, ma che non aveva portato a nulla di fatto - se non alla scoperta che anche la moglie del senatore Spot ne possedeva una simile, ma per quella sera aveva un alibi perfetto. Il coinvolgimento dei giornali sul caso e poi, di colpo, il silenzio stampa e l’archiviazione dell’indagine per l’impossibilità di trovare il colpevole: un ennesimo caso irrisolto. 
Le parole di Martin la sfioravano appena, riusciva a mala pena a coglierne il senso, gli sorrideva, ma nella sua mente frullava un turbinio di pensieri. La decisione di cercare giustizia per l’omicidio obbrobrioso del padre, punto di partenza e di arrivo della sua esistenza. La prova fornita incredibilmente da Meg, la sorellina che al momento della tragedia aveva cinque anni e che, pochi anni dopo, svuotando il cassetto dei suoi tesori in occasione del trasloco, aveva esibito il fazzolettino di seta bianca, trovato nel prato in mezzo ai fiori, a pochi metri dal luogo dell’omicidio. Il riaccendersi della speranza e l’aiuto di Walter, l’unico vero, fedele amico nella ricerca della verità. Julia s’inteneriva pensando a lui. Walter Mc Guire, ex poliziotto in congedo, colori da irlandese e sorriso da bambino buono, che l’aveva seguita nei suoi progetti impossibili e l’aveva protetta come si fa con una figlia. 
- È una brutta storia, Julia, un immenso buco nero nel quale rischi di sprofondare. Senza una prova certa, come sai, non se ne esce e possiamo contare soltanto su noi due. Dobbiamo muoverci con cautela per non destare sospetti, per cui, anche se nello studio sei tu il capo, posso darti il mio aiuto a condizione che tu accetti le mie regole. 
E così si erano avventurati insieme, in via riservatissima, alla ricerca del colpevole. Poi, ogni tanto, Mc Guire spariva in “missione segreta”, così la chiamava lui scherzando, e soltanto un mese prima, era riuscito finalmente a contattare la signora Spot, rinchiusa da anni in una clinica psichiatrica di lusso.  

Quando giunsero al cottage abbandonato, soprannominato da generazioni di Spot “la casa dei fantasmi”, si presentò uno spettacolo fiabesco: la costruzione antichissima tutta in legno era ricoperta da un rampicante fiorito e si ergeva misteriosa nel mezzo di un’ampia radura attraversata da un ruscello lucido come seta. Tre salici piangenti affiancavano la casa proteggendola con i loro lunghissimi rami cadenti. Sulla loggia antistante un grande tavolo col piano d’olivo era affiancato da due panche rustiche intagliate a mano. In un crescendo di emozioni Julia s’impose di controllare rigorosamente parole e movimenti. Tutto doveva apparire normale: un uomo è improvvisamente attratto da una donna sconosciuta, la corteggia serratamente, la conduce in un luogo esclusivo e la travolge in una notte d’amore. 
Ma lei, che aveva saputo aspettare tanto, ora finalmente poteva raggiungere il suo scopo e agire senza indugi. Controllò per l’ultima volta che nella borsetta di seta ci fosse la rivoltella pronta. Si fermarono sulla loggia, lui l’abbracciò con un fervore sempre più avido, lei si tirò indietro di scatto, tolse la maschera, lo guardò negli occhi e, con assoluta fermezza, gli puntò la canna dell’arma sul cuore.
- Ma cosa fai? Non capisco! ...E’ uno scherzo? - disse l’uomo allontanandosi di qualche metro.
- Stai fermo. Se ti muovi t’ammazzo! 
Julia, immobile, lo teneva sotto controllo con la pistola puntata, piantandogli negli occhi uno sguardo furioso. 
- … Ma… chi sei? Non capisco, dimmi cosa vuoi…
- Togliti quella maschera disgustosa che hai portato per vent’anni!
- Ma io… non so di cosa parli…
L’uomo si scoprì il volto e si concentrò sul viso della donna, ma non riusciva ad associare quei tratti a nulla che lo riguardasse. Era completamente disorientato. 
- Richard Preston è un nome che ti dice qualcosa? Sono passati ventidue anni, ma sono sicura che non puoi aver dimenticato. Una vita falciata via con il disprezzo della verità e della sofferenza. Una famiglia annientata dalla disperazione. Sai cosa significa combattere contro muri di omertà e vigliaccheria? Dimmelo, se mai lo puoi sapere!
- Tu… sei… Preston… fammi pensare… sei sua figlia? Non può essere! Tu… sei Julia Preston… ma ti sei presentata come Osborne? 
- È il cognome di mia madre, la donna alla quale hai distrutto l’esistenza. Sul suo letto di morte ho giurato che avrei fatto giustizia! Fermo o ti ammazzo!
- Non posso crederci! Guarda che ti sbagli, Julia. Abbassa la rivoltella, capisco il dolore di una figlia, di una famiglia…

- Taci, Martin! Tu non puoi capire cosa sia la sofferenza perché non hai un’anima! 
La voce che pronunciò queste parole fece sussultare Martin e Julia per lo sorpresa e lo spavento: bassa, monocorde con note stridenti. 
La donna uscì dall’ombra e avanzò sulla loggia, era alta, sottile, indossava una tunica quasi monacale e il riflesso della luna scintillava sui suoi capelli candidi. Lentamente si avvicinò all’uomo con movimenti lievi e impercettibili. Era come se scivolasse nell’aria anziché camminare; indossava guanti chiari che facevano risaltare per contrasto la piccola Browning che teneva nella mano destra. Guardò l’uomo con fierezza in una sorta di sfida e gli puntò l’arma contro. 
Il volto di Martin si trasformò in una maschera di rabbia e odio, l’uomo si ritrasse bruscamente, ma lei mirò al viso e intimò:
- Siediti Martin! E lei si sposti, per cortesia, non vale la pena che la sua vita venga sprecata per un mostro di tale fatta! La questione riguarda noi due! 
- Helen! Tu sei pazza, lo sanno tutti… come hai fatto a uscire e a venire qui?!
Martin si lanciò su di lei con un movimento brusco per disarmarla, ma partì un primo colpo sparato al piede dell’uomo che gli strappò un grido di dolore e lo fece immediatamente ripiegare su se stesso. Un secondo colpo alla mano lo fece urlare senza ritegno, un terzo al ginocchio lo fece crollare definitivamente. Il grande senatore Martin Spot annaspava, era annientato e singhiozzava, chiedendo pietà.  
Julia assisteva impietrita alla scena. 
- Taci, Martin Spot, mantieni almeno un briciolo di dignità e guardami in faccia, ascoltando bene quello che ti dico. Tu sei un vile, un millantatore, il tuo denaro ti ha sempre protetto perché sei il senatore più corrotto della storia della California! Io ti condanno per tutto il male che hai fatto a Richard Preston e alla sua famiglia. Ti condanno anche per il male che hai fatto a me, soverchiandomi con la violenza più brutale e impedendomi con tutti i mezzi possibili di testimoniare la verità su quella maledetta sera! Sei colpevole di omicidio con tutte le aggravanti del caso: omissione di soccorso e abbandono della vittima, falsificazione delle prove, intimidazione e corruzione di pubblici ufficiali.
 Hai fatto uso del tuo potere per insabbiare la verità e per chiudermi la bocca per sempre, ma ora te lo grido con la poca voce che mi è rimasta: - Tu hai ucciso Richard Preston, tu guidavi la mia Pontiac quella sera, tu eri ubriaco, come al solito, e io seduta al tuo fianco ho visto tutto… Julia, mi creda, la prego, le giuro con tutte le mie forze che lui mi ha impedito di scendere, di soccorrere suo padre e poi… tutto il resto. 
Helen Spot guardando Julia scosse il capo lentamente, senza perdere di mira per un solo attimo l’uomo accasciato per terra, e con un esile filo di voce aggiunse:
- Non oso chiedere il suo perdono, so di non meritarmelo. Ma ero terrorizzata al punto che sono precipitata nella depressione più profonda. Queste non vogliono certo essere giustificazioni, sono soltanto meschine spiegazioni…
Si rivolse infine verso l’uomo agonizzante, parlandogli con tono implacabile:
- Credevi di avermi annientata e poi sepolta, ma non ce l’hai fatta! Ti maledico e ti mando all’inferno… per sempre…
La donna prese di nuovo la mira e, deliberatamente, uccise l’assassino di Richard Preston. 
Il corpo di Martin ebbe un ultimo sussulto e poi s’immobilizzò in posizione fetale, immerso in una pozza di sangue.
Guardando Julia con sguardo muto, la donna si accasciò sulla panca e le consegnò una lettera. 
- Chiami pure la polizia. Ora finalmente le crederanno!

Julia si mosse lentamente come un automa e, allungando il braccio, prese la busta in silenzio. Provò a parlare, ma la voce non volle uscire. Si sentiva completamente dissociata dal suo corpo, vedeva se stessa e tutto ciò che era accaduto nell’arco di pochi minuti da una visuale esterna, come se la situazione le fosse mostruosamente estranea. Di colpo fu assalita dalla volontà di fuggire, di allontanarsi dall’orrore di quella scena e si mise a correre sul sentiero con tutte le sue forze sempre più velocemente mentre la luna illuminava i suoi passi e quello squarcio di morte. Quando Walter arrivò trafelato davanti a lei, si lasciò andare stremata, cadde tra le sue braccia e la voce finalmente eruppe in un grido disperato. 
L’eco dell’ultimo sparo non li sorprese.

- Mandate subito qualcuno, qui ci sono due morti! - disse l’uomo alla centralinista. 



24 commenti:

  1. Fantastico! L'ho divorato perché è avvincente e con tante sorprese. Clelia

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  2. Adoro i racconti dove si consuma una vendetta giusta e qui c'è molto di più. I miei complimenti. Vera Ferrari

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    1. Anch'io sono attratta da storie che ristabiliscono gli equilibri e un senso di giustizia. Annalisa

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  3. Un racconto che concentra in poche righe la storia di un romanzo e fa lavorare l'immginazione dei lettori: bellissimo. Sonia (redattrice)

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    1. È vero che la storia offre materiale per un romanzo. La ringrazio. Annalisa

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  4. Bravaaaaaaaaaaa come sempre, anzi di più. Vittorio

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    1. Sei davvero incoraggiante e ti ringrazio. Annalisa

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  5. Annalisa, hai colpito ancora Splendido!
    Miriam

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  6. Bravissima è sempre un piacere leggerti!
    Ludmilla

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    1. Grazie, è per me un piacere ritrovare i tuoi commenti. Annalisa

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  7. La moglie che appare nella notte è magica. Filippo

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    1. Volevo infondere nel personaggio un che di "ultraterreno" e tu l'hai colto perfettamente. Grazie

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  8. La storia ha qualcosa di misterioso che piace anche per l'atmosfera. L. P.

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  9. Non solo una brava commentatrice, ma una brava scrittrice!!Continui così....C.V.

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  10. Intrigante e con una suspense in crescendo fantastica! Carlo

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  11. Ben costruita la storia che si anima ulteriormente per un "coup de théatre"inserito al momento giusto. Certo che il senatore ne esce con tutte le ossa rotte ... meglio non sottovalutare le signore! Brava!

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    1. Le donne hanno un'energia e una sensibilità speciali. Ti ringrazio. Annalisa

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