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mercoledì 4 marzo 2015

BALTO, il cane eroe, e IDITAROD, "the Last Great Race"

(di Mimma Zuffi)


Come già detto nell'articolo dedicato a Ararad Khatchikian (pubblicato l'1 marzo), Ararad ha scritto il libro "Sulle orme di Balto", ma chi era Balto? Ecco la sua storia… Nel mese di gennaio del 1925, un' eroica staffetta di venti corrieri postali con slitte trainate da straordinari cani trasportò da Nenana (l’ultimo villaggio raggiungibile in treno sulla rotta per Nome nello Stato di Alaska – USA) in poco più di cinque giorni, un pacco cilindrico contenente l’antitossina difterica per salvare i bambini e la Comunità di Nome sul Mare di Bering sita a più di 1000 km di distanza! Una letale epidemia di difterite aveva colpito la piccola cittadina che era stata posta sotto quarantena per evitare la diffusione del morbo. Solo grazie al coraggio di quegli uomini e dei loro eccezionali cani, è stato possibile evitare una catastrofe. 


Tra i 160 e più quattro zampe che formavano le venti mute che si passarono il prezioso pacco di medicinale, ce n’era uno il cui nome sarebbe diventato il simbolo di quello straordinario gesto di solidarietà tra uomini e animali. Si chiamava BALTO, era un sanguemisto e assieme a Foxy guidò l’ultima muta di tredici cani condotta da Gunnar Kaasen che effettuò la vitale consegna all’Ospedale di Nome in una gelida notte di febbraio.

Nel 2003, il “musher “ (in gergo il conducente di slitte trainate da cani) cantautore - chitarrista italo – armeno ARARAD KHATCHIKIAN, ha ripercorso l’intera pista da Nenana a Nome con la sua muta di 12 cani per rivivere quell’incredibile episodio, incontrare i suoi testimoni-superstiti e rendere onore a tutti i partecipanti (sia uomini sia cani) di quella sfide, raccontandola con le sue canzoni, storie e video.

Giunti a leggere fin qui la storia di Balto e di questo moderno eroe delle distese di neve, vale la pena raccontare, seppur brevemente, qualcosa in più sull'Iditarod.  
Proprio in questi giorni prenderà il via l'edizione 2015 di questa entusiasmante "last great race".


  
Partenza!
La partenza di questa gara offre uno spettacolo unico e indimenticabile: la neve candida, le montagne imbiancate che dominano le moderne costruzioni di Anchorage, la moltitudine delle persone che, incuranti di una temperatura abbondantemente sotto lo zero, si accalcano vicino allo striscione di partenza, le slitte e soprattutto i cani che latrano, tirano, impazienti di partire per quella folle corsa nel gelo dell'estremo Nord. Alla partenza il musher non deve tanto incitare i cani quanto tenerli a bada fino al "via!" La definizione di musher deriva dalla parola "mush" che si ricollega all'epoca dei primi cacciatori di pellicce francesi nelle foreste del Canada settentrionale che ordinavano ai lori cani "march!", avanti marciate! Gli inglesi imposta la loro dominazione sul Canada nel 1763, trasformarono poi questo comando in "mush", che poi venne a designare i "mushers", i conducenti di slitte trainate dai cani, protagonisti oggi dell'attività sportiva nota come "sledog".
Secondo la tradizione che risale al 1925 la gara parte da Anchorage. A questo punto ci ricolleghiamo alla Storia di Balto.

Monumento a Balto

Il monumento eretto al Central Park di New York per ricordare l'avvenimento ha come  protagonista Balto,  il cane che,  alla testa della muta,  trainava la slitta giunta in città col  vaccino dopo aver superato una terribile tempesta di neve. In effetti, quello che conta veramente è il cane da slitta inteso come simbolo di salvezza.

L'amore per i cani lo troviamo nelle pagine di uno dei capolavori di Jack London "Il richiamo della foresta" (1903): come è noto, il libro narra la storia di Buck, un cane eccezionale passato dalla California alla dura vita dei campi dei cercatori d'oro dello Yukon, che, dopo tanti maltrattamenti e sofferenze, decide di tornare libero tra i suoi fratelli lupi. Una storia commovente per l'amore indescrivibile che lega l'uomo al cane.

"Buck prese tra i denti una mano di Thornton. Thornton lo scosse avanti e indietro. Come animati da un comune impulso, gli spettatori di trassero a rispettosa distanza; e non furono più tanto indiscreti da turbarli."

Questo è solo un romanzo, frutto di fantasia. Eppure è possibile provare sensazioni altrettanto stimolanti anche oggi, all'Iditarod che si svolge annualmente in uno scenario tra i più belli  del mondo, sempre che le tempeste di neve non siano tali da nasconderlo.




Sosta al check-point
di Anvik

Iditarod, immagine aerea



























Durante il percorso si devono affrontare e valicare due catene montuose e si sfiorano le Kayuh Mountains mentre si corre lungo il fiume Yukon fino ai ghiacci della Baia di Norton. La pista attraversa città fantasma, abbandonate dai tempi della corsa dell'oro, e piccoli villaggi, si snoda per aspre montagne e lungo chilometri e chilometri di tundra disabitata e spesso desolata, come nel caso di Farewell Burn, una zona di quasi 1.500 chilometri quadrati devastata nel 1977 da un incendio durato oltre due mesi. Poi, una volta superato l'ultimo check-point dal nome augurale di Safety, la corsa  prosegue lungo la costa meridionale della penisola Seward.
Una sosta a Shaktoolik in attesa che
il blizzard consenta alle slitte
di riprendere la marcia
    

Il traguardo è vicino! 
È Nome, la "Golden City" che agli inizi del secolo scorso era affollata da una moltitudine di cercatori d'oro.
Al caldo dei saloon i concorrenti discutono e festeggiano il vincitore. Orgogliosi comunque di aver preso parte a una grande avventura, la sfida alla natura, cominciano a pensare all'Iditarod del prossimo anno.


Iditarod: l'arrivo


  




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