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mercoledì 22 maggio 2024

Una vita di racconti, Alice Munro

 (a cura di Mimma Zuffi)

 Una grande scrittrice appena scomparsa: un piccolo omaggio alla sua bravura, un atto di gratitudine sincero perché spesso i libri degli altri, le parole che non abbiamo editato personalmente, nutrono i nostri pensieri e mettono in evidenza legami insospettabili con il nostro lavoro.


Ho saputo della morte di Alice Munro e, appena tornata a casa, sono andata ai suoi libri allineati sullo scaffale. D’impulso ne ho presi due: Danza delle ombre felici Uscirne vivi.


Il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega di una scrittrice che ha messo la longevità al servizio di un percorso artistico di assoluta imperterrita grandezza.

Tradurre Alice Munro è quello che ho fatto quasi ininterrottamente per circa dodici anni; è stata la mia vita per circa dodici anni. Come per altri può essere fare ogni giorno il pane, visitare pazienti, costruire case, suonare il violoncello. Il mio mestiere per tanto tempo è stato questo: tradurre Alice Munro. A me sembra una cosa strabiliante.
Susanna Basso, traduttrice di Alice Munro, sul sito di Einaudi.

Perché Alice Munro è così importante
e cosa c’entra con i nostri libri che parlano di cultura gastronomica?


Nel 2013 Alice Munro ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Quando è successo, era a letto. Aveva già 82 anni e non era mai stata una persona particolarmente interessata agli eventi mondani.
Il comitato del premio aveva provato a contattarla telefonicamente ma alla fine era stato costretto a lasciare un messaggio in segreteria. La figlia di Alice, sentendo l’annuncio, era corsa a casa della madre a svegliarla!


In qualche modo, questa scena sembra decisamente appropriata per una scrittrice come Alice Munro, le cui storie ruotano attorno a momenti intimi di vita domestica.

La sua scrittura non è solo immersa nel mondo domestico ma è da lì che ne trae la vita e la forma.
 

Nel 1994 fu intervistata per la Paris Review. La giornalista la descrive così.

Alice Munro era in cucina, stava preparando una cena semplice con le profumate erbe aromatiche locali. Le pareti della sala da pranzo sono rivestite di libri da terra fino al soffitto; da una parte c’è un piccolo tavolo con una macchina da scrivere manuale. È qui che lavora.
The Paris Review, Interviste, vol. 2, Fandango, 2010

Quando è in cucina a preparare i pasti, il suo lavoro non è mai lontano. Non c’è da meravigliarsi quindi che le due cose siano collegate, nelle sue storie come nella vita.

Scrive da sempre?
Da quando avevo dodici o tredici anni.
 


Era già una vera scrittrice quando andò al college?
Sì. Non avevo alcuna possibilità di fare altro perché non avevo soldi. Sapevo di poter frequentare l’università solo per due anni perché le borse di studio all’epoca non duravano di più. Fu una breve vacanza della mia vita, un momento meraviglioso. Mi ero occupata delle faccende domestiche da quando ero un’adolescente. L’università è stato l’unico momento della mia vita in cui non ho dovuto fare i mestieri di casa.


In effetti, Alice Munro usa spesso il cibo per descrivere contesto e personaggi.
A volte l’attenzione è rivola a pasti ordinari e semplicialtre volte ci sono occasioni in cui il cibo è più stravagante e insolito: è così che crea un’istantanea del Canada in una certa epoca, della vita quotidiana dei personaggi e del loro status sociale.
 


Nella sua raccolta prevalentemente autobiografica, La vista da Castle Rock, nel racconto intitolato Lavorare per vivere, Alice Munro descrive il pranzo preparato per il padre, a quei tempi guardiano notturno in una fonderia.

Su una mensola a muro, fra attrezzi, una manichetta di gomma, valvole e vetri spaiati, c’era la colazione che gli preparavo ogni giorno tornando da scuola. Riempivo il thermos di tè molto carico e poi mettevo un panino integrale con burro e marmellata e una fetta di torta, se c’era, più tre grossi sandwich di carne con ketchup. La carne era mortadella o qualche altro insaccato dei più economici in vendita.
La vista da Castle Rock, Einaudi, 2007
 

La povertà della sua famiglia era innegabile, accompagnata da un senso costante di malinconia e sconfitta.
 
Non avevo un grande interesse per il lavoro di mio padre alla fonderia. Non che mi fossi mai aspettata di diventare ricca con l’allevamento di volpi, ma diversa dagli altri e indipendente almeno, sì. Quando immaginavo mio padre in fonderia, mi pareva che avesse subito un’enorme sconfitta. Mia madre la pensava allo stesso modo.


La cosa che più scombussolava mia madre era ricevere il Cestino di Natale della Fonderia, pieno di frutta, noci e caramelle.

Non tollerava l’idea di trovarsi dalla parte di chi riceve e non di chi distribuisce, e la prima volta che accadde fummo costretti a montare in macchina e a precipitarci in fondo alla via, a casa di una famiglia che lei aveva selezionato come adatta alla circostanza.
 
Entro il Natale successivo la sua autorità in casa si era indebolita e io mi accaparrai il cestino, dichiarando che i dolci facevano gola a noi come a tutti gli altri. Lei si asciugò qualche lacrima per il mio tono scortese, e io mi mangiai il cioccolato che era vecchio e friabile e di un colore grigiastro.
 
Nei suoi racconti le donne sono descritte e capite in modo sorprendente ed è anche per questo che le sue storie funzionano come calamite per il lettore. Del resto, avete mai pensato a cosa succede quando si prepara il cibo? Come si sente chi guadagna il denaro per comprarlo e quali emozioni prova chi lo serve? È possibile esercitare il potere attraverso le convenzioni alimentari? In che modo i ruoli si intrecciano con il cibo e il potere?

Ecco, le storie di Alice Munro spalancano enormi porte da cui osservare il mondo con uno sguardo rinnovato: forse i luoghi che descrive, il Canada degli anni Sessanta e Settanta, e le persone non sono esattamente gli stessi di oggi ma i suoi racconti lasciano un segno indelebile nel panorama letterario mondiale.

La sua ricerca di autenticità ha trasformato Alice Munro in una cronista senza eguali sia che si tratti di attrazione sessuale, innamoramento, inganno, povertà o vita domestica.
 

Margaret Atwood, un’altra grande scrittrice canadese, ha dichiarato che “pochi scrittori hanno esplorato tali processi in modo più approfondito e spietato di Munro: mani, sedie, sguardi – fanno tutti parte di un’intricata mappa interiore disseminata di filo spinato e trappole esplosive, e percorsi segreti attraverso i cespugli”.

Nell’estate del 1941 la madre di Alice Munro partì con un baule pieno di pellicce di visoni e volpi di cui avevano un allevamento a un passo dalla rovina: aveva intenzione di venderle ai turisti americani per tirare su un po’ di soldi. A occuparsi della casa arrivò la nonna paterna.

“Infornò pane e dolci, e seppe sfruttare al meglio le verdure dell’orto, le uova fresche, il latte e la panna della mucca di razza Jersey”.

In chiusura di questa newsletter un po’ particolare, vi proponiamo alcuni titoli dal nostro catalogo che ci hanno fatto pensare al cibo che compare nei racconti di Alice Munro o che ci hanno richiamato alla memoria quei luoghi che lei ha descritto per tutta la vita.
 

Trovate
La mia casetta in Canada
Erbe per il giardiniere gourmet
Fino all’ultima briciola
Sono nell’orto
Delizie di latte


nella vostra libreria di fiducia, negli store online sul nostro sito.

Fotografia di Alice Munro: Getty Imagess

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