di Vincenzo Zaccone
Lucian Freud – L’arte alienata e abusante
Ho visto di recente le
locandine di una mostra alla National Gallery – una mostra che sono andato a
vedere perché in quelle locandine c’era qualcosa che mi appariva affascinante e
al tempo stesso disturbante. Non conoscevo nulla dell’artista, ma il suo
cognome è molto famoso: Lucian Freud, nipote del celeberrimo psicoanalista.
Le mostre, spesso, sono
suddivise in sezioni, per tematiche, e queste seguono, più o meno, un ordine
cronologico. A me è parso che i temi fossero principalmente due che hanno a che
fare con l’alienazione e l’abuso…
1.
Un’arte introspettiva e
alienata
In questi quadri gli
occhi dei protagonisti giocano un ruolo di rilievo: possono essere grandi,
socchiusi, sporgenti, ma in ogni caso sempre stanchi, vinti, spettatori non partecipanti
di uno scenario che si dispiega lì davanti, ma non ai nostri occhi.
Nel quadro “John Minton”
un uomo è ritratto con occhi grandi, sporgenti e anche ingombranti nella totalità
del suo volto; un volto scarno, emaciato. E se gli occhi sono lo specchio
dell’anima, qui pare che l’anima dell’uomo, atterrita, abbia avuto la meglio
sul corpo, prevaricando e riempiendo gli spazi più di quanto faccia il corpo
stesso.
John Minton
I due quadri “Girl with a
kitten” e “Girl with roses” sono quasi contemporanei e raffigurano la stessa persona.
In entrambi, ancora una volta, la protagonista ha uno sguardo allucinato; noi
presenti a lei e lei assente da tutto ciò che la circonda.

Girl with a kitten Girl with roses
In “Girl with a kitten”
la donna tiene per il collo un gatto che guarda nella nostra direzione. La
presenza del gatto incuriosisce, perché sembra a prima vista una stramberia, ma
poi viene il dubbio che racconti qualcosa della donna, ne rappresenti qualcosa,
dicendoci qualcosa in più che il suo sguardo non ci può dire. Molto simile
“Girl with roses”: stessa donna, stessa postura, stesso sguardo perso, ma qui
la donna ha una rosa in mano, il bocciolo sporge da un lato, il gambo con le
spine dall’altro. Suggerisce che sotto quella mano, nel pugno chiuso, ci siano
altre spine, che lei stringe. Accanto alla rosa, un’altra recisa. Forse troppo
presto. In questo quadro, riflesso nella pupilla della donna c’è una finestra,
alla quale lei guarda.
Particolare di “Girl with roses”
Sembra a noi che lei
guardi fuori, che si perda in un altrove che non appartiene né a sé né a noi. È
interessante che la donna raffigurata sia Kitty Garman, il cui nome richiama il
micio (kitten in inglese) che lei tiene in mano nel primo quadro. Quel kitten
non può che essere Kitty stessa e, per sovrapposizione, quella rosa spinata
che stringe nel secondo quadro, in un gioco di stratificazioni di simboli,
quindi di senso, per cui ciò che di lei rimane nella stanza è stretto nel pugno,
mentre lei si è persa fuori da quella finestra.
Appartengono a questo
periodo anche “Girl on the quay,“Self-portrait with a hyacinth pot”, “Man with
a thistle”, “Man with the feather”, tutti realizzati tra il 1941 e il 1948.
Girl on the quay

Man with the feather
Oltre allo sguardo
desolato, un altro elemento che si ripete è la disproporzione tra i protagonisti
e l’ambiente circostante; tutti questi personaggi sembrano intercalati in un
contesto con cui non si integrano – come ritagliati e appiccicati lì, in un’opera
di découpage; con elementi di surrealismo (“Man with a thistle”, “Self-portrait
with a hyacinth pot” per l’ambientazione) e di cubismo (le ciocche di cappelli
in “Self-portrait with a hyacinth pot”, “Man with a thistle”). “Man with the
feather” e “Girl on the quay” sono pervasi da un senso di alienazione ancora più
forte degli altri, perché i personaggi si trovano in contesti “usuali” quale lo
stare in piedi di fronte a un palazzo o al porto con un’imbarcazione sullo
sfondo, ma il personaggio è scollato dal contesto, del tutto sproporzionato.
Anche qui la presenza degli occhi è molto forte, evidente, e così determinante
nel sottolineare un’assenza.
Forse non è un caso
vedere dei quadri del genere, percepire un senso di alienazione così evidente
in un artista che è stato costretto a scappare dalla Germania nazista all’età
di 11 anni. Un’età abbastanza matura da percepire lo strappo, la discontinuità,
l’interruzione di
un’appartenenza, la disomogeneità tra il sé e ciò che c’è intorno.
2.
Lo sguardo abusante
dell’arte
Tra i primi quadri di
questa sezione c’è “Bella and
Esther”: il pittore ritrae due delle sue figlie su un divano. Le
posizioni sono insolite, scomposte, le due sorelle non sono in dialogo, i corpi
sembrano accatastati l’uno sull’altro e l’altro sul divano, con la testa, le
braccia, le gambe, adagiate a caso, prive di un’intenzione. Stupisce la
prospettiva, uno sguardo dall’alto che appare intrusivo, interessato a prendersi
qualcosa più che a condividerlo.
Bella and Esther
È un tipo di prospettiva che si ripete in molti
quadri di questo periodo (1966-83). In
“Naked Child Laughing”, ritrae un’altra delle sue figlie,
Annie. Lei è nuda, ma la scena è quasi tenera, sembra ritrarre la naturalezza
della quotidianità, con lei che appare divertita, sorridente, ride tra sé e sé,
vergognandosene, pare, con le gambe di traverso che nascondono il sesso, mentre
una ciocca di capelli nasconde un capezzolo, un braccio l’altro.
Naked Child Laughing
La testa è inclinata verso il basso come in un
gesto di vergogna; ride ma non partecipa del mondo circostante – forse una
risata di disagio? Non lo sapremo mai.
Poi c’è il quadro “Bella”: ancora una delle sue figlie; qui la situazione è diversa: lei completamente nuda e in mostra: il sesso, i seni.
Bella
Una mano adagiata sulla pancia, l’altra solo abbandonata
sul fianco; tutto il corpo appare in una posa innaturale, le spalle sono
sollevate, contratte. La scena rimanda a un’idea di disagio, dalla postura,
alla nudità esposta all’occhio esterno più che esibita, al viso rivolto da
tutt’altra parte, con gli occhi che appaiono fissi su un punto preciso della
spalliera del divano come per distrarsi da una situazione disturbante. Ritorna
la prospettiva dall’alto, lo sguardo di chi non si pone allo stesso livello per
condividere la scena, ma guarda dal di sopra, rapace.
Appartiene allo stesso genere di quadro “Naked
girl”.
Naked girl
Qui c’è un’altra ragazza nuda, completamente esibita
allo spettatore, con il sesso in evidenza. Tutto nel quadro richiama un senso
di martirio: la testa inclinata su un lato, gli occhi supplicanti di chi
patisce, le labbra socchiuse, il corpo ossuto, le mani accartocciate; la
prospettiva racchiude la giovane in una forma triangolare, tanto da ricordare il
Cristo in croce, visto dal basso, mentre si dissangua, con i chiodi ancora nelle
mani. Se fosse una pietà sarebbe la Rondanini – essenziale, scarna, drammatica
nell’immediatezza del suo dolore, non filtrato, né
imbellito.
La qualità di quello sguardo sembra esplicitarsi e
forse raccontarsi in “Reflection with two Children”
Reflection with Two
Children
Qui Freud ritrae sé stesso, in piedi, in una
prospettiva vertiginosa che osserva da molto alto, osserva di tre quarti con gli
occhi estremamente bassi, non empatici, come a fissare qualcosa di minuscolo
apparso tra le fessurazioni del battiscopa. Lì in fondo ci sono due bambini,
immortalati come meri margini del quadro, mentre uno ridacchia, l’altra ha uno
sguardo vagamente triste. Ma, ancora una volta, non c’è rapporto tra chi guarda
e chi è guardato, i due bambini addirittura non fanno nemmeno parte del quadro,
ma la loro sagoma si staglia ai margini, su una finta cornice del quadro stesso.
Altro quadro che merita attenzione è “Large
interior, W9” – evidentemente ambientato in una stanza nella zona di Paddington,
al codice postale W9 di Londra (dove l’artista aveva il suo studio), il quadro
ritrae la compagna e la madre Lucie. Le donne sono in relazione solo perché
condividono lo stesso luogo e lo stesso atteggiamento (entrambe pensose), ma
occupano spazi diversi - la compagna sul letto, la madre in una poltrona – e hanno
lo sguardo perso in direzioni diverse.
Large interior, W9
Il quadro ci racconta come le due donne rappresentino
aspetti sovrapponibili della stessa figura emotiva - la loro rappresentazione ha
a che fare con l’immaginario dell’artista (le due donne non hanno mai posato
per questo quadro) e vive in due connotazioni diverse (nuda/carnale vs
vestita/simbolica), seppur condividendo lo stesso spazio emotivo per Freud (il
suo studio, fonte della sua creatività). Nonno Sigmund avrebbe di sicuro molto
altro da dire su questa tela…
Il pezzo più coinvolgente e destabilizzante è forse
“Large interior, Paddington”
Large interior,
Paddington
Qui lo spazio vuoto è più abbondante di quello
pieno, forse contenendo però tutto ciò che è assente in altri quadri simili: ritroviamo
una ragazza nuda, con lo sguardo diretto altrove, forse da nessuna parte
precisamente. La ragazza sembra una bambina/adolescente – le sue dimensioni
rispetto al vaso accanto a lei e il resto della stanza sembrano suggerirlo – ha
una canotta addosso, sollevata sul ventre, le gambe piegate, poggiate a terra
su un fianco, chiuse, con una mano in mezzo, appoggiata sulla coscia. Sembra abbandonata
lì a terra, come tramortita, come se qualcosa fosse stato subìto, con il viso e
lo sguardo in una direzione casuale, come se fosse barricata in un mondo
interiore che si è voluto allontanare dalla stanza, da noi. Lasciata a terra
come le foglie morte della pianta lì accanto – e di nuovo sembra esserci una
sovrapposizione di senso. Sovrasta la scena la presenza incombente di un
cappotto appeso al muro, la presenza di un adulto, pare, che è sparito/ non
appare ma tuttavia è percettibile. Altro elemento sovrastante, ancora una
volta, lo sguardo dell’artista/ la prospettiva che ci fa percepire di scrutare quella
ragazza senza lasciarci coinvolgere.
La mostra includeva molti altri quadri, dai
ritratti di persone di potere (inclusa la Regina Elisabetta II) ad altri nudi,
alla rappresentazione di altre relazioni apparenti – cioè persone che sono in
relazione (un letto condiviso, una mano sulla gamba dell’altro) ma non in
dialogo l’uno con l’altro: i personaggi sono assenti l’uno all’altro, a volte
dormono, a volte guardano in direzioni diverse, spesso hanno gli occhi chiusi.
Naked man with his friend
And the bridegroom
Nella migliore delle ipotesi, sono entrambi vigili ma
lui guarda verso di lei mentre lei sembra del tutto ignara della presenza di
lui:
Hotel bedroom
Premetto che non sono tra chi pensa che l’arte
debba essere moralizzata o moralizzante, cioè tra chi per esempio pensa che i
dischi di Michael Jackson o i film di Roman Polanski debbano essere boicottati -
le emozioni che veicolano hanno un valore di per sé, a prescindere dalle
personalità che le hanno partorite.
Una volta tornato a casa ho fatto delle ricerche
sull’artista, perché avevo lasciato la National Gallery con un senso di disagio
e con la percezione che quel disagio provenisse da quello che i quadri tacevano,
che in realtà intimavano sulla linea invisibile ma percettibile di una violenza
agita, anche se non del tutto raffigurata nei quadri. Come se molti di questi
lasciassero trasparire delle tensioni mute ma terribili.
La biografia di Freud parla di una persona
eccessiva, violenta, dedita ai vizi (sesso, alcool, gioco d’azzardo), che ebbe
circa 14 figli da donne diverse, comprese alcune di quelle che posarono per lui.
Spesso l’arte nasce dall’eccesso, dal disagio, da
un trauma mai elaborato, da una compulsione che intossica l’anima, da personalità
complesse ed egotiche che non riconoscono né i propri confini né dove inizino
quelli degli altri; in un gioco di equilibri per il quale tendono a circondarsi
di persone che i propri muri non li sanno alzare e non riescono ad arginare
l’intrusione di chi quei confini non li vede o non li rispetta.
Freud stesso dichiarò di essere stato un padre
assente, dedito alla sua arte più che alle vite che da lui dipendevano (la
famiglia).
La figlia di Lucian, Annie, raffigurata nuda dal
padre all’età di 14 anni in “Naked child laughing”, dirà poi “C’è stata una
forma di danno fatto, non intenzionalmente, e nulla aveva a che fare con il
sesso – forse è stata più un’intrusione della mia innocenza. Per lui era facile
dire che era tutto a posto ma nessun’altro lo pensava veramente” – Una
frase che suggerisce un’idea di abuso, così come alcuni quadri; abuso che non deve
essere per forza sessuale per essere definito tale: abuso come oltraggio, come l’arbitrario
uso del proprio potere, utilizzarlo per ottenere da qualcun altro ciò che si
vuole, quando ciò che si vuole ignora le esigenze dell’altro. Nasce anche, a
volte, dall’impossibilità di proteggere chi ci sta intorno perché scompare
oltre la linea d’ombra della propria libertà e volontà. Nel caso dei bambini o
degli adolescenti, succede perché una coscienza di sé ancora manca, mentre
quella dei genitori/adulti è a volte troppo egocentrata per fare gli interessi
dei bambini, salvaguardarli e proteggerli.
Forse nel caso di Freud, successe che il padre
diede priorità alla sua arte, mentre le loro figlie non si sono negate alle
richieste per quell’istinto che hanno tutti i figli di guadagnarsi l’amore dei
genitori. Ma per lui è stata arte, per loro una violazione.
Non c’è una reale vittima e un reale carnefice, ma
solo vita che accade nel bene e nel male.
Quello che rimane è un disagio di sottofondo, la
percezione di una sopraffazione, di un inganno che si sedimenta nell’animo, e
si tramanda di generazione in generazione. Nel migliore dei casi rimane anche
arte, come quella di Lucian Freud; ma spesso solo tristezze.
La figlia Annie è diventata una poetessa, e negò al
padre Freud la possibilità di dipingere sua figlia di 6 anni per uno dei suoi
quadri, facendo infuriare Lucian.
La figlia Rose Boy ha
pubblicato il romanzo “Rapporto Sessuale”, in cui parla di una relazione
morbosa tra figlia e padre, intrisa di tensione sessuale; disse di se stessa: “Sono
stata estremamente anti-sociale. Stavo in giro tutta la notte e mi drogavo”.
Bella, invece, prima di diventare
una stilista, era dipendente da oppio, dicendo: “Era fantastico. L’oppio, nonostante
tutte le sue colpe, era una droga piacevole; molto delicata”.
È difficile stabilire se il dolore
e le difficoltà di queste vite valgano l’arte che sottendono. Resta un dato di
verità ciò che Ippocrate disse e che venne ripreso per chiudere la mostra: “La
vita è breve, l’Arte duratura”
Good comment
RispondiEliminaGrazie, Ele!
EliminaArtista a me sconosciuto, mi ha colpito la sua arte ben raccontata dalle tue parole e analisi. Grazie, Vincenzo.
RispondiEliminaGrazie mille del bel commento
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