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domenica 12 marzo 2023

Lucian Freud - L'arte alienata e abusante, di Vincenzo Zaccone

 di Vincenzo Zaccone

Lucian Freud – L’arte alienata e abusante

Ho visto di recente le locandine di una mostra alla National Gallery – una mostra che sono andato a vedere perché in quelle locandine c’era qualcosa che mi appariva affascinante e al tempo stesso disturbante. Non conoscevo nulla dell’artista, ma il suo cognome è molto famoso: Lucian Freud, nipote del celeberrimo psicoanalista.

Le mostre, spesso, sono suddivise in sezioni, per tematiche, e queste seguono, più o meno, un ordine cronologico. A me è parso che i temi fossero principalmente due che hanno a che fare con l’alienazione e l’abuso…

1.    Un’arte introspettiva e alienata

In questi quadri gli occhi dei protagonisti giocano un ruolo di rilievo: possono essere grandi, socchiusi, sporgenti, ma in ogni caso sempre stanchi, vinti, spettatori non partecipanti di uno scenario che si dispiega lì davanti, ma non ai nostri occhi.  

Nel quadro “John Minton” un uomo è ritratto con occhi grandi, sporgenti e anche ingombranti nella totalità del suo volto; un volto scarno, emaciato. E se gli occhi sono lo specchio dell’anima, qui pare che l’anima dell’uomo, atterrita, abbia avuto la meglio sul corpo, prevaricando e riempiendo gli spazi più di quanto faccia il corpo stesso.

                                           



John Minton


I due quadri “Girl with a kitten” e “Girl with roses” sono quasi contemporanei e raffigurano la stessa persona. In entrambi, ancora una volta, la protagonista ha uno sguardo allucinato; noi presenti a lei e lei assente da tutto ciò che la circonda.

 Girl with a kitten                                                                                                                                Girl with roses



In “Girl with a kitten” la donna tiene per il collo un gatto che guarda nella nostra direzione. La presenza del gatto incuriosisce, perché sembra a prima vista una stramberia, ma poi viene il dubbio che racconti qualcosa della donna, ne rappresenti qualcosa, dicendoci qualcosa in più che il suo sguardo non ci può dire. Molto simile “Girl with roses”: stessa donna, stessa postura, stesso sguardo perso, ma qui la donna ha una rosa in mano, il bocciolo sporge da un lato, il gambo con le spine dall’altro. Suggerisce che sotto quella mano, nel pugno chiuso, ci siano altre spine, che lei stringe. Accanto alla rosa, un’altra recisa. Forse troppo presto. In questo quadro, riflesso nella pupilla della donna c’è una finestra, alla quale lei guarda.


                                                                                 


Particolare di “Girl with roses”

Sembra a noi che lei guardi fuori, che si perda in un altrove che non appartiene né a sé né a noi. È interessante che la donna raffigurata sia Kitty Garman, il cui nome richiama il micio (kitten in inglese) che lei tiene in mano nel primo quadro. Quel kitten non può che essere Kitty stessa e, per sovrapposizione, quella rosa spinata che stringe nel secondo quadro, in un gioco di stratificazioni di simboli, quindi di senso, per cui ciò che di lei rimane nella stanza è stretto nel pugno, mentre lei si è persa fuori da quella finestra.

Appartengono a questo periodo anche “Girl on the quay,“Self-portrait with a hyacinth pot”, “Man with a thistle”, “Man with the feather”, tutti realizzati tra il 1941 e il 1948.

         

   Girl on the quay   


                            






                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Self-portrait with a   hyacinth pot


         


               




                                                                                                         
                                           Man with a thistle


















  Man with the feather

Oltre allo sguardo desolato, un altro elemento che si ripete è la disproporzione tra i protagonisti e l’ambiente circostante; tutti questi personaggi sembrano intercalati in un contesto con cui non si integrano – come ritagliati e appiccicati lì, in un’opera di découpage; con elementi di surrealismo (“Man with a thistle”, “Self-portrait with a hyacinth pot” per l’ambientazione) e di cubismo (le ciocche di cappelli in “Self-portrait with a hyacinth pot”, “Man with a thistle”). “Man with the feather” e “Girl on the quay” sono pervasi da un senso di alienazione ancora più forte degli altri, perché i personaggi si trovano in contesti “usuali” quale lo stare in piedi di fronte a un palazzo o al porto con un’imbarcazione sullo sfondo, ma il personaggio è scollato dal contesto, del tutto sproporzionato. Anche qui la presenza degli occhi è molto forte, evidente, e così determinante nel sottolineare un’assenza.

Forse non è un caso vedere dei quadri del genere, percepire un senso di alienazione così evidente in un artista che è stato costretto a scappare dalla Germania nazista all’età di 11 anni. Un’età abbastanza matura da percepire lo strappo, la discontinuità, l’interruzione di un’appartenenza, la disomogeneità tra il sé e ciò che c’è intorno.  

2.    Lo sguardo abusante dell’arte

Tra i primi quadri di questa sezione c’è “Bella and Esther”: il pittore ritrae due delle sue figlie su un divano. Le posizioni sono insolite, scomposte, le due sorelle non sono in dialogo, i corpi sembrano accatastati l’uno sull’altro e l’altro sul divano, con la testa, le braccia, le gambe, adagiate a caso, prive di un’intenzione. Stupisce la prospettiva, uno sguardo dall’alto che appare intrusivo, interessato a prendersi qualcosa più che a condividerlo.



                                                    Bella and Esther

È un tipo di prospettiva che si ripete in molti quadri di questo periodo (1966-83). In

“Naked Child Laughing”, ritrae un’altra delle sue figlie, Annie. Lei è nuda, ma la scena è quasi tenera, sembra ritrarre la naturalezza della quotidianità, con lei che appare divertita, sorridente, ride tra sé e sé, vergognandosene, pare, con le gambe di traverso che nascondono il sesso, mentre una ciocca di capelli nasconde un capezzolo, un braccio l’altro.

 

                                       


                                                    Naked Child Laughing

 

La testa è inclinata verso il basso come in un gesto di vergogna; ride ma non partecipa del mondo circostante – forse una risata di disagio? Non lo sapremo mai.

Poi c’è il quadro “Bella”: ancora una delle sue figlie; qui la situazione è diversa: lei completamente nuda e in mostra: il sesso, i seni.




 Bella

 

Una mano adagiata sulla pancia, l’altra solo abbandonata sul fianco; tutto il corpo appare in una posa innaturale, le spalle sono sollevate, contratte. La scena rimanda a un’idea di disagio, dalla postura, alla nudità esposta all’occhio esterno più che esibita, al viso rivolto da tutt’altra parte, con gli occhi che appaiono fissi su un punto preciso della spalliera del divano come per distrarsi da una situazione disturbante. Ritorna la prospettiva dall’alto, lo sguardo di chi non si pone allo stesso livello per condividere la scena, ma guarda dal di sopra, rapace.

Appartiene allo stesso genere di quadro “Naked girl”.

 

                                  




                                                      Naked girl

 

Qui c’è un’altra ragazza nuda, completamente esibita allo spettatore, con il sesso in evidenza. Tutto nel quadro richiama un senso di martirio: la testa inclinata su un lato, gli occhi supplicanti di chi patisce, le labbra socchiuse, il corpo ossuto, le mani accartocciate; la prospettiva racchiude la giovane in una forma triangolare, tanto da ricordare il Cristo in croce, visto dal basso, mentre si dissangua, con i chiodi ancora nelle mani. Se fosse una pietà sarebbe la Rondanini – essenziale, scarna, drammatica nell’immediatezza del suo dolore, non filtrato, né imbellito.

La qualità di quello sguardo sembra esplicitarsi e forse raccontarsi in “Reflection with two Children”

 

                      


Reflection with Two Children

 

Qui Freud ritrae sé stesso, in piedi, in una prospettiva vertiginosa che osserva da molto alto, osserva di tre quarti con gli occhi estremamente bassi, non empatici, come a fissare qualcosa di minuscolo apparso tra le fessurazioni del battiscopa. Lì in fondo ci sono due bambini, immortalati come meri margini del quadro, mentre uno ridacchia, l’altra ha uno sguardo vagamente triste. Ma, ancora una volta, non c’è rapporto tra chi guarda e chi è guardato, i due bambini addirittura non fanno nemmeno parte del quadro, ma la loro sagoma si staglia ai margini, su una finta cornice del quadro stesso.

 

Altro quadro che merita attenzione è “Large interior, W9” – evidentemente ambientato in una stanza nella zona di Paddington, al codice postale W9 di Londra (dove l’artista aveva il suo studio), il quadro ritrae la compagna e la madre Lucie. Le donne sono in relazione solo perché condividono lo stesso luogo e lo stesso atteggiamento (entrambe pensose), ma occupano spazi diversi - la compagna sul letto, la madre in una poltrona – e hanno lo sguardo perso in direzioni diverse.

 

                 


Large interior, W9

 

Il quadro ci racconta come le due donne rappresentino aspetti sovrapponibili della stessa figura emotiva - la loro rappresentazione ha a che fare con l’immaginario dell’artista (le due donne non hanno mai posato per questo quadro) e vive in due connotazioni diverse (nuda/carnale vs vestita/simbolica), seppur condividendo lo stesso spazio emotivo per Freud (il suo studio, fonte della sua creatività). Nonno Sigmund avrebbe di sicuro molto altro da dire su questa tela…

 

Il pezzo più coinvolgente e destabilizzante è forse “Large interior, Paddington”

                              



Large interior, Paddington

 

Qui lo spazio vuoto è più abbondante di quello pieno, forse contenendo però tutto ciò che è assente in altri quadri simili: ritroviamo una ragazza nuda, con lo sguardo diretto altrove, forse da nessuna parte precisamente. La ragazza sembra una bambina/adolescente – le sue dimensioni rispetto al vaso accanto a lei e il resto della stanza sembrano suggerirlo – ha una canotta addosso, sollevata sul ventre, le gambe piegate, poggiate a terra su un fianco, chiuse, con una mano in mezzo, appoggiata sulla coscia. Sembra abbandonata lì a terra, come tramortita, come se qualcosa fosse stato subìto, con il viso e lo sguardo in una direzione casuale, come se fosse barricata in un mondo interiore che si è voluto allontanare dalla stanza, da noi. Lasciata a terra come le foglie morte della pianta lì accanto – e di nuovo sembra esserci una sovrapposizione di senso. Sovrasta la scena la presenza incombente di un cappotto appeso al muro, la presenza di un adulto, pare, che è sparito/ non appare ma tuttavia è percettibile. Altro elemento sovrastante, ancora una volta, lo sguardo dell’artista/ la prospettiva che ci fa percepire di scrutare quella ragazza senza lasciarci coinvolgere.

 

La mostra includeva molti altri quadri, dai ritratti di persone di potere (inclusa la Regina Elisabetta II) ad altri nudi, alla rappresentazione di altre relazioni apparenti – cioè persone che sono in relazione (un letto condiviso, una mano sulla gamba dell’altro) ma non in dialogo l’uno con l’altro: i personaggi sono assenti l’uno all’altro, a volte dormono, a volte guardano in direzioni diverse, spesso hanno gli occhi chiusi.

 




            


Naked man with his friend











                                      

 













And the bridegroom


Nella migliore delle ipotesi, sono entrambi vigili ma lui guarda verso di lei mentre lei sembra del tutto ignara della presenza di lui:  

 

                           


Hotel bedroom

 

Premetto che non sono tra chi pensa che l’arte debba essere moralizzata o moralizzante, cioè tra chi per esempio pensa che i dischi di Michael Jackson o i film di Roman Polanski debbano essere boicottati - le emozioni che veicolano hanno un valore di per sé, a prescindere dalle personalità che le hanno partorite.


 

Una volta tornato a casa ho fatto delle ricerche sull’artista, perché avevo lasciato la National Gallery con un senso di disagio e con la percezione che quel disagio provenisse da quello che i quadri tacevano, che in realtà intimavano sulla linea invisibile ma percettibile di una violenza agita, anche se non del tutto raffigurata nei quadri. Come se molti di questi lasciassero trasparire delle tensioni mute ma terribili.

 

La biografia di Freud parla di una persona eccessiva, violenta, dedita ai vizi (sesso, alcool, gioco d’azzardo), che ebbe circa 14 figli da donne diverse, comprese alcune di quelle che posarono per lui.

Spesso l’arte nasce dall’eccesso, dal disagio, da un trauma mai elaborato, da una compulsione che intossica l’anima, da personalità complesse ed egotiche che non riconoscono né i propri confini né dove inizino quelli degli altri; in un gioco di equilibri per il quale tendono a circondarsi di persone che i propri muri non li sanno alzare e non riescono ad arginare l’intrusione di chi quei confini non li vede o non li rispetta.

Freud stesso dichiarò di essere stato un padre assente, dedito alla sua arte più che alle vite che da lui dipendevano (la famiglia).

La figlia di Lucian, Annie, raffigurata nuda dal padre all’età di 14 anni in “Naked child laughing”, dirà poi “C’è stata una forma di danno fatto, non intenzionalmente, e nulla aveva a che fare con il sesso – forse è stata più un’intrusione della mia innocenza. Per lui era facile dire che era tutto a posto ma nessun’altro lo pensava veramente” – Una frase che suggerisce un’idea di abuso, così come alcuni quadri; abuso che non deve essere per forza sessuale per essere definito tale: abuso come oltraggio, come l’arbitrario uso del proprio potere, utilizzarlo per ottenere da qualcun altro ciò che si vuole, quando ciò che si vuole ignora le esigenze dell’altro. Nasce anche, a volte, dall’impossibilità di proteggere chi ci sta intorno perché scompare oltre la linea d’ombra della propria libertà e volontà. Nel caso dei bambini o degli adolescenti, succede perché una coscienza di sé ancora manca, mentre quella dei genitori/adulti è a volte troppo egocentrata per fare gli interessi dei bambini, salvaguardarli e proteggerli.    

Forse nel caso di Freud, successe che il padre diede priorità alla sua arte, mentre le loro figlie non si sono negate alle richieste per quell’istinto che hanno tutti i figli di guadagnarsi l’amore dei genitori. Ma per lui è stata arte, per loro una violazione.

Non c’è una reale vittima e un reale carnefice, ma solo vita che accade nel bene e nel male.

Quello che rimane è un disagio di sottofondo, la percezione di una sopraffazione, di un inganno che si sedimenta nell’animo, e si tramanda di generazione in generazione. Nel migliore dei casi rimane anche arte, come quella di Lucian Freud; ma spesso solo tristezze.

La figlia Annie è diventata una poetessa, e negò al padre Freud la possibilità di dipingere sua figlia di 6 anni per uno dei suoi quadri, facendo infuriare Lucian.

La figlia Rose Boy ha pubblicato il romanzo “Rapporto Sessuale”, in cui parla di una relazione morbosa tra figlia e padre, intrisa di tensione sessuale; disse di se stessa: “Sono stata estremamente anti-sociale. Stavo in giro tutta la notte e mi drogavo”.

Bella, invece, prima di diventare una stilista, era dipendente da oppio, dicendo: “Era fantastico. L’oppio, nonostante tutte le sue colpe, era una droga piacevole; molto delicata”.

 

È difficile stabilire se il dolore e le difficoltà di queste vite valgano l’arte che sottendono. Resta un dato di verità ciò che Ippocrate disse e che venne ripreso per chiudere la mostra: “La vita è breve, l’Arte duratura”

 

                



 

 

 

 

4 commenti:

  1. Artista a me sconosciuto, mi ha colpito la sua arte ben raccontata dalle tue parole e analisi. Grazie, Vincenzo.

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