Annalisa Petrella
1957: Simenon a Milano
lungo la
Darsena dei Navigli
La produzione noir di Simenon, che lui amava
definire “Romans romans” o “Romans durs”, rappresenta, a mio avviso, la prova
più alta delle sue eccezionali abilità di scrittore ed è ancora oggi per il
lettore un’autentica rivelazione.
Senza
voler togliere alcun valore alla splendida serie dedicata al commissario
Maigret, i “Non Maigret” hanno il merito
di riuscire a mettere a nudo senza riserve l’animo umano, lo vivisezionano,
penetrano in ciascuno dei suoi meandri più oscuri e fanno scaturire in tutte le
sue sfaccettature il personaggio che diventa un protagonista assoluto.
Simenon è un miniaturista dell’anima che riesce a narrare
con straordinaria potenza la crisi dell’uomo comune travolto da un distillato
di forze insospettate. L’incomunicabilità, la solitudine, la delusione, la
colpa, la follia, l’egoismo vengono narrati con una naturalezza scarna,
depurata del superfluo narrativo, che conduce all’essenza di un’umanità fragile
e incostante, facile preda del male e dei suoi inganni, in perenne contrasto
con un destino, per lo più avverso, che pone sfide ardue, la cui accettazione
porta quasi sempre verso un punto di rottura dal quale non vi è ritorno.
I personaggi dei suoi romanzi, scelti
per lo più tra la gente comune, sono popolani o rappresentanti della piccola
borghesia, conducono una vita
ripetitiva, anonima, prevedibile e l’abilità di Simenon sta proprio nel proiettarli di colpo in una vicenda totalmente nuova che li
trasporta, al di là dell’immaginabile, fino al fondo di una sorprendente,
tragica, inattesa condizione.
“...Io mi rapporto all'uomo, all'uomo tutto nudo, all'uomo che è solo
faccia a faccia con il suo destino, cosa che considero l'apice del romanzo...” (Simenon - Le Romancier - 1945).
Prendiamo,
per esempio, Kees Popinga protagonista del romanzo “L’uomo che guardava passare i treni”. Gli Adelphi, 1991, 211p.
Con calma glaciale e
determinazione assoluta Popinga si allontana dalla propria esistenza,
considerata ormai del tutto insignificante, e diventa, senza premeditazione
veruna, l’assassino di un'entraîneuse. Sì, in quell’incredibile mercoledì di
dicembre, l’uomo intraprende un percorso totalmente nuovo e avventuroso che non
si sarebbe mai figurato di ipotizzare, si lascia tutto alle spalle, si reca
alla stazione e sale sul treno per Amsterdam dove, in una stanza dell'Hotel
Carlton, strangola con un asciugamano Pamela Makinsen, attraente e disponibile
frequentatrice di night.
Ma come ha potuto l’uomo
integerrimo diventare un assassino?
La donna non solo l'aveva rifiutato, l’aveva addirittura deriso, e lui, stordito dalla sua
insolenza, aveva reagito automaticamente, stringendole intorno alla gola il
primo oggetto che gli era capitato a tiro. Non aveva programmato di ucciderla, aveva
voluto semplicemente punire la sua sfrontatezza, farla tacere, ma aveva stretto un po' troppo e la donna era morta.
Dopo l’omicidio Simenon ci
trasporta all’interno della testa di Popinga, in una minuziosa analisi
psicologica: l’uomo si
costruisce una serie di considerazioni auto-giustificatorie che via via si ricompongono
nel suo cervello in un disegno di provocazione dell’avversario e di fuga che lo
fanno sentire un eroe invincibile. Con un autocontrollo spaventoso si muove tra
Amsterdam e Parigi in una sfida diretta con
il commissario Lucas, responsabile delle indagini, e precipita in un magma di
lucida follia di cui prendiamo coscienza attraverso i
sentimenti e i pensieri che guidano le sue azioni. Lo strappo avvenuto nella
sua mente è definitivo e sul taccuino con gli appunti per le sue memorie, dal
titolo “La verità sul caso Popinga”, l’assassino registra soltanto una frase: - Non c’è una
verità, ne conviene?
È
inconfutabile che Simenon, già a partire dagli anni Trenta, sia stato un formidabile anticipatore nell’impostazione
dei romanzi, fatto che gli ha permesso
di superare lo scoglio del tempo e di rimanere ancora oggi di un’attualità
sconcertante. Discostandosi completamente dall’impianto classico dei gialli che
solitamente partono da un omicidio e si sviluppano, attraverso le indagini,
alla ricerca del colpevole, egli fa una scelta innovativa e strategica: ci presenta subito l’assassino, ci fa
penetrare a fondo nella sua vita e nella sua psiche, svelandoci, attraverso una
trama solidamente costruita e ricca di colpi di scena, i risvolti più oscuri e
imprevedibili della mente umana.
Il lettore viene coinvolto dall’inizio
alla fine in ogni pulsazione del protagonista e tutti gli altri personaggi, i
familiari, gli investigatori, i conoscenti occasionali, i giornalisti che
interagiscono con lui, gli fanno da contraltare esaltando l’incredibile eccezionalità
del caso.
Ma
una notte dalla sua postazione Maloin assiste a una scena sconvolgente: un uomo
sulla banchina riceve al volo una valigia lanciatagli da un passeggero in arrivo
sul traghetto. I due successivamente si incontrano e avviene un omicidio.
Questo è l’evento che si scatena
davanti agli occhi del ferroviere Maloin: ci sono stati un furto e un omicidio
e lui ne è stato il testimone oculare.
Simenon, anche qui, immette una casualità sconcertante nella vita di un uomo
qualunque, un semplice, con famiglia, sostenuto da sani principi in una vita
grigia e modesta, e fa scaturire con la sua capacità introspettiva un nuovo personaggio
di cui descrive le ansie, i dubbi, i desideri repressi e le paure scatenate
dalla vicenda.
Il
giallo rivela passaggi inediti molto originali; innanzitutto c’è il recupero e
l’occultamento della valigetta da parte di Maloin che supera la barriera tra
bene e male e diventa un ladro, anche se di scarse pretese, segretamente complice
dell’assassigno che osserva a distanza e non denuncia alla polizia.
Maloin
è consapevole che nel suo intimo si è creata una frattura che l'ha fatto
deragliare e non gli offre via di scampo, il corso è tracciato e quando
finalmente fronteggia l’assassino non può più tornare indietro e, a sua volta,
si trasforma in omicida. La caduta vertiginosa non gli fa però perdere l’onestà
di fondo che l’ha sempre contraddistinto; l’uomo, infatti, affronta con
coerenza le conseguenze dei suoi misfatti, risvegliando nel lettore comprensione
e rispetto per la sua anima devastata.
Interessante analizzare con “Betty” (Gli Adelphi, 1992, 142 p.) un personaggio femminile bello e dannato.
La donna precipita
platealmente in un’ubriachezza totale e viene soccorsa da Laure, regolare
frequentatrice della “Buca”, che d’accordo
con Mario la trasporta all’hotel Carlton, dove lei abita da tre anni.
Betty
ha rotto volutamente tutti gli argini,
si rannicchia in se stessa, si lascia
lavare come un bambino inerme e curare dalla matura Laure, ma tace, vuole
starsene in pace, isolata da tutto, e rimettere insieme i pezzi sparsi di sé.
In quel letto d’albergo, accartocciata in
posizione fetale, ripercorre i ricordi dell’infanzia evocando sensazioni legate
soprattutto alla scoperta della propria sessualità associata, per un verso,
all’idea di sporcizia trasmessole dal giudizio morale materno, e per l’altro,
alla convinzione della necessaria sopraffazione fisica dell’uomo sulla donna.
Il trauma di aver assistito da adolescente all’abuso da parte dello zio sulla
cameriera quindicenne e di esserne, a sua volta, minacciata si è scolpito nella
sua memoria.
Betty ora ha
ventotto anni, prima e dopo il matrimonio ha vissuto numerose esperienze sessuali
senza freni inibitori.
Quando ha incontrato Guy, un giovane ricco di solida
famiglia, che, innamorato, l’ha voluta sposare a ogni costo, inserendola in un
mondo agiato e conformista, lei ha tentato di avvisarlo dei possibili rischi
che avrebbe corso, ma l’uomo non ha voluto sentire ragioni.
La donna, tendenzialmente ninfomane, ha continuato a
condurre una vita parallela a quella coniugale ed è giunta al culmine della
provocazione facendosi scoprire, da marito e suocera, nel salone di casa
completamente nuda, impegnata in un amplesso con l’ultimo amante, mentre le sue
figlie dormivano nella camera accanto. Il marito, costernato, le ha fatto
firmare un documento con l’ammissione di colpa e la rinuncia alla patria
potestà sulle bambine e, pur garantendole un ricco mantenimento, l’ha
allontanata definitivamente dalla loro casa.
Betty ha
accettato di “vendere” le proprie figlie. Questo il dramma.
Nella camera numero 53 per tre giorni si intrecciano
le vite di Betty e Laure, la ricca vedova quasi cinquantenne, che divide le
proprie giornate tra la “Buca”, dove cena, e l’hotel in attesa di essere
raggiunta di notte da Mario, suo amante.
Betty nel suo torpore è silenziosa testimone della
relazione sessuale tra i due e, stuzzicata dall’intrigo, avverte un risveglio
della propria vitalità offuscata, si apre a Laure, le racconta la propria
storia con obiettività e prende atto che la
sua vita è a una svolta definitiva: il passato va chiuso per sempre.
Infatti, quando il marito la raggiunge in albergo e le
offre la possibilità di ritorno a casa, Betty lo ringrazia, ma rifiuta categoricamente
decidendo di rimanere dov’è approdata per caso, diventando così parte della nuova realtà che le si offre. Vive in albergo di notte e trascorre le
giornate con Laure nel locale dove anche le anime più stracciate trovano un
loro spazio e dove vige la sospensione di ogni giudizio. Il bar-ristorante, dal
nome emblematico, è completamente isolato dall’abitato e raccoglie frantumi di
umanità, diventando un limbo dalla forte connotazione metaforica.
Betty si lascia alle spalle ciò che è stata e, senza
rimpianti, individua un nuovo percorso, forse una via d’uscita: attira Mario
nella sua sfera seduttiva - è giovane, bella e perduta - e lo prende per sé, rubandolo
all’amica che l’aveva salvata.
I
luoghi scelti da Simenon per ambientare le proprie storie sono di
straordinaria importanza, riflettono le atmosfere francesi a lui più care e familiari
e contribuiscono in maniera formidabile a caricarle di significati.
I personaggi intrecciano le loro
esistenze tra porti nebbiosi con le banchine dall’asfalto bagnato e le osterie dove
gli orari sono scanditi dalle attività del borgo
e dalle maree che con il loro fluire celano e trasportano segreti e misfatti;
oppure scivolano come ombre tra reticoli di strade male illuminate dove la neve
si contamina col fango, col sangue e con le impronte in fuga, sono
frequentatori di caffè di periferia dove gli odori mischiati di fumo e bevande
fanno da sfondo al contrasto stridente delle voci maschili.
Le case ricche o degradate, le case
operaie, i modesti quartieri piccolo-borghesi, le case di tolleranza sono
scenari sui quali tutto si muove secondo i ritmi scanditi dalla ripetitività, i
treni e le navi traghettano un’umanità inconsapevole e spesso infelice, gli uffici
di polizia sono squallide sedi di lunghi e dolorosi interrogatori.
Il grigio delle nebbie avvolge il tutto
e diffonde ovunque la fascinazione del mistero di un grande maestro della
scrittura.
Bellissimo saggio su un Simenon che conosco meno.
RispondiEliminaGrazie!
EliminaScrittura cesellata in un'analisi interessante.
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaSono attirata dalla figura di Betty, lo leggerò, grazie..
RispondiEliminaGrazie a lei!
EliminaUn saggio che ben si abbina alla manifestazione. Complimenti Annalisa.
RispondiEliminaM.
Cara M., ti ringrazio.
EliminaAnalisi approfondita ed efficace ( e suggestiva) di un grande autore. Brava, come sempre, Annalisa. Simenon non tradisce mai, perchè come scrivi " ha il merito di riuscire a mettere a nudo senza riserve l’animo umano, lo viviseziona". Per questo, aggiungo io, spesso si ritrova nei suoi personaggi ciò che di noi non vorremmo sapere...
RispondiEliminaIn un certo senso, Simenon scrive sempre lo stesso romanzo, il lettore lo sa, ma ritrova ogni volta il nuovo e l' inaspettato in un déjà vu...
Cara Renza, i tuoi commenti, graditissimi, offrono interessanti spunti di riflessione. Grazie!
EliminaCredo che Simenon sarebbe contentissimo del tuo saggio che non ignora la sua massima: "Capire e non giudicare". Brava! S.
RispondiEliminaCara S., la sua massima anima i suoi scritti che entrambe amiamo. Grazie!
EliminaMi è piaciuto tantissimo questo tuo saggio. Amo molto i noir di Simenon così pieni di umanità "grigia". Anch'io non avevo mai letto Betty e sicuramente lo leggerò. Lucrezia
RispondiEliminaGrazie, Lucrezia!
EliminaCome sempre, cogli nel centro le caratteristiche psico-ambientali dei personaggi di Simenon scrittore di romanzi, non solo del personaggio Maigret che conosciamo di più.
RispondiEliminaIntrigante nel suo immergersi nelle zone d'ombra dei sui personaggi!
Non viene citato "lettera al mio giudice"-Opera di grande spessore.E' una scelta?
Hai ragione,"Lettera al mio giudice" è un testo di grande spessore, ma ho dovuto fare una scelta per questo saggio e, ti assicuro, non è stato semplice. Grazie del commento!
EliminaUn saggio-analisi di gran competenza ed efficacia: complimenti!
RispondiEliminaGrazie!
EliminaUna recensione piacevole e coinvolgente, capace di sollecitare interesse per ciò che ancora non si conosce o di indurre condivisione e compiacimento per le letture già fatte. Complimenti. Vittorio
RispondiEliminaGrazie, Vittorio!
EliminaRecensione puntuale e profonda.Il mio amore per Simenon è antico e spesso rileggo i suoi libri quando mi prende forte il desiderio di "evadere".Mi sono sempre chiesta perché,visto che gli argomenti di cui tratta non sono certo leggeri,e credo di aver capito che ciò che mi rassicura è la comprensione che arriva fino alla compassione per il genere umano che sento in lui.
RispondiEliminaCondivido le tue emozioni e ti ringrazio.
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