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martedì 14 maggio 2019

Georges Simenon e la produzione noir


La rassegna SIMENON 30 ANNI DOPO (ne abbiamo parlato il 5 maggio)continua a riscuotere un grande successo. Quindi
desidero riproporvi un interessante saggio di: 

 Annalisa Petrella



1957: Simenon a Milano
 lungo la Darsena dei Navigli

La produzione noir di Simenon, che lui amava definire “Romans romans” o “Romans durs”, rappresenta, a mio avviso, la prova più alta delle sue eccezionali abilità di scrittore ed è ancora oggi per il lettore un’autentica rivelazione.
Senza voler togliere alcun valore alla splendida serie dedicata al commissario Maigret, i “Non Maigret” hanno il merito di riuscire a mettere a nudo senza riserve l’animo umano, lo vivisezionano, penetrano in ciascuno dei suoi meandri più oscuri e fanno scaturire in tutte le sue sfaccettature il personaggio che diventa un protagonista assoluto. 


Simenon è un miniaturista dell’anima che riesce a narrare con straordinaria potenza la crisi dell’uomo comune travolto da un distillato di forze insospettate. L’incomunicabilità, la solitudine, la delusione, la colpa, la follia, l’egoismo vengono narrati con una naturalezza scarna, depurata del superfluo narrativo, che conduce all’essenza di un’umanità fragile e incostante, facile preda del male e dei suoi inganni, in perenne contrasto con un destino, per lo più avverso, che pone sfide ardue, la cui accettazione porta quasi sempre verso un punto di rottura dal quale non vi è ritorno.
I personaggi dei suoi romanzi, scelti per lo più tra la gente comune, sono popolani o rappresentanti della piccola borghesia, conducono una vita ripetitiva, anonima, prevedibile e l’abilità di Simenon sta proprio nel proiettarli di colpo in una vicenda totalmente nuova che li trasporta, al di là dell’immaginabile, fino al fondo di una sorprendente, tragica, inattesa condizione.
...Io mi rapporto all'uomo, all'uomo tutto nudo, all'uomo che è solo faccia a faccia con il suo destino, cosa che considero l'apice del romanzo... (Simenon - Le Romancier - 1945).


Prendiamo, per esempio, Kees Popinga protagonista del romanzo “L’uomo che guardava passare i treni”. Gli Adelphi, 1991, 211p.


È un uomo normale di 39 anni, commerciante in una ditta di Import-Export, si è costruito una casa che deve ancora finire di pagare, è marito esemplare, padre di due figli e conduce una metodica vita borghese. Ma un giorno accade qualcosa d’imprevisto che spezza questa linearità e che, all’improvviso, lo trasporta in una nuova dimensione: la vita che conduce gli diventa completamente estranea, addirittura gli fa ribrezzo, osserva con distacco sdegnoso tutto ciò cha fa parte della sua quotidianità, compresi la moglie e i figli, e decide di chiudere definitivamente con il passato.
Con calma glaciale e determinazione assoluta Popinga si allontana dalla propria esistenza, considerata ormai del tutto insignificante, e diventa, senza premeditazione veruna, l’assassino di un'entraîneuse. Sì, in quell’incredibile mercoledì di dicembre, l’uomo intraprende un percorso totalmente nuovo e avventuroso che non si sarebbe mai figurato di ipotizzare, si lascia tutto alle spalle, si reca alla stazione e sale sul treno per Amsterdam dove, in una stanza dell'Hotel Carlton, strangola con un asciugamano Pamela Makinsen, attraente e disponibile frequentatrice di night.
Ma come ha potuto l’uomo integerrimo diventare un assassino?
La donna non solo l'aveva rifiutato, l’aveva addirittura deriso, e lui, stordito dalla sua insolenza, aveva reagito automaticamente, stringendole intorno alla gola il primo oggetto che gli era capitato a tiro. Non aveva programmato di ucciderla, aveva voluto semplicemente punire la sua sfrontatezza, farla tacere, ma aveva stretto un po' troppo e la donna era morta.
Dopo l’omicidio Simenon ci trasporta all’interno della testa di Popinga, in una minuziosa analisi psicologica: l’uomo si costruisce una serie di considerazioni auto-giustificatorie che via via si ricompongono nel suo cervello in un disegno di provocazione dell’avversario e di fuga che lo fanno sentire un eroe invincibile. Con un autocontrollo spaventoso si muove tra Amsterdam e Parigi in una sfida diretta con il commissario Lucas, responsabile delle indagini, e precipita in un magma di lucida follia di cui prendiamo coscienza attraverso i sentimenti e i pensieri che guidano le sue azioni. Lo strappo avvenuto nella sua mente è definitivo e sul taccuino con gli appunti per le sue memorie, dal titolo “La verità sul caso Popinga”, l’assassino registra soltanto una frase: - Non c’è una verità, ne conviene?

È inconfutabile che Simenon, già a partire dagli anni Trenta, sia stato un formidabile anticipatore nell’impostazione dei romanzi, fatto che gli ha permesso di superare lo scoglio del tempo e di rimanere ancora oggi di un’attualità sconcertante. Discostandosi completamente dall’impianto classico dei gialli che solitamente partono da un omicidio e si sviluppano, attraverso le indagini, alla ricerca del colpevole, egli fa una scelta innovativa e strategica: ci presenta subito l’assassino, ci fa penetrare a fondo nella sua vita e nella sua psiche, svelandoci, attraverso una trama solidamente costruita e ricca di colpi di scena, i risvolti più oscuri e imprevedibili della mente umana.
Il lettore viene coinvolto dall’inizio alla fine in ogni pulsazione del protagonista e tutti gli altri personaggi, i familiari, gli investigatori, i conoscenti occasionali, i giornalisti che interagiscono con lui, gli fanno da contraltare esaltando l’incredibile eccezionalità del caso.

Anche nel romanzo “L’uomo di Londra” (Gli Adelphi, 1999, 137 p.), Maloin, il ferroviere, da quasi trent’anni compiva gli stessi gesti tutti i giorni alla stessa ora e nello stesso luogo. Addetto agli scambi ferroviari, dalla vetrata della sua cabina di controllo aveva una visione completa della città e della stazione marittima e nulla sfuggiva al suo occhio addestrato all’osservazione.
Ma una notte dalla sua postazione Maloin assiste a una scena sconvolgente: un uomo sulla banchina riceve al volo una valigia lanciatagli da un passeggero in arrivo sul traghetto. I due successivamente si incontrano e avviene un omicidio.
Questo è l’evento che si scatena davanti agli occhi del ferroviere Maloin: ci sono stati un furto e un omicidio e lui ne è stato il testimone oculare. Simenon, anche qui, immette una casualità sconcertante nella vita di un uomo qualunque, un semplice, con famiglia, sostenuto da sani principi in una vita grigia e modesta, e fa scaturire con la sua capacità introspettiva un nuovo personaggio di cui descrive le ansie, i dubbi, i desideri repressi e le paure scatenate dalla vicenda.
Il giallo rivela passaggi inediti molto originali; innanzitutto c’è il recupero e l’occultamento della valigetta da parte di Maloin che supera la barriera tra bene e male e diventa un ladro, anche se di scarse pretese, segretamente complice dell’assassigno che osserva a distanza e non denuncia alla polizia.
Maloin è consapevole che nel suo intimo si è creata una frattura che l'ha fatto deragliare e non gli offre via di scampo, il corso è tracciato e quando finalmente fronteggia l’assassino non può più tornare indietro e, a sua volta, si trasforma in omicida. La caduta vertiginosa non gli fa però perdere l’onestà di fondo che l’ha sempre contraddistinto; l’uomo, infatti, affronta con coerenza le conseguenze dei suoi misfatti, risvegliando nel lettore comprensione e rispetto per la sua anima devastata.

Interessante analizzare con “Betty” (Gli Adelphi, 1992, 142 p.) un personaggio femminile bello e dannato.
Betty arriva in una notte di pioggia alla “Buca” di Versailles, accompagnata da uno sconosciuto, un drogato all’ultimo stadio, che l’ha rimorchiata, ubriaca, in un bar di Parigi. È giovane, attraente, minuta, veste abiti eleganti un po’ sgualciti, che indossa ormai da tre giorni nei quali ha vagato senza meta per la città, abbruttendosi con alcool e sesso occasionale. Ha seguito l’ultimo uomo in uno stato di semi-incoscienza e ora vuole toccare il fondo, continuando a bere nel locale dall’atmosfera fumosa che sembra il ritrovo degli “svitati” parigini dove Mario, il padrone, li segue con una familiarità quasi protettiva.
La donna precipita platealmente in un’ubriachezza totale e viene soccorsa da Laure, regolare frequentatrice della “Buca”, che d’accordo con Mario la trasporta all’hotel Carlton, dove lei abita da tre anni.  
Betty ha rotto volutamente tutti gli argini, si rannicchia in se stessa, si lascia lavare come un bambino inerme e curare dalla matura Laure, ma tace, vuole starsene in pace, isolata da tutto, e rimettere insieme i pezzi sparsi di sé.
In quel letto d’albergo, accartocciata in posizione fetale, ripercorre i ricordi dell’infanzia evocando sensazioni legate soprattutto alla scoperta della propria sessualità associata, per un verso, all’idea di sporcizia trasmessole dal giudizio morale materno, e per l’altro, alla convinzione della necessaria sopraffazione fisica dell’uomo sulla donna. Il trauma di aver assistito da adolescente all’abuso da parte dello zio sulla cameriera quindicenne e di esserne, a sua volta, minacciata si è scolpito nella sua memoria.
Betty ora ha ventotto anni, prima e dopo il matrimonio ha vissuto numerose esperienze sessuali senza freni inibitori.
Quando ha incontrato Guy, un giovane ricco di solida famiglia, che, innamorato, l’ha voluta sposare a ogni costo, inserendola in un mondo agiato e conformista, lei ha tentato di avvisarlo dei possibili rischi che avrebbe corso, ma l’uomo non ha voluto sentire ragioni.
La donna, tendenzialmente ninfomane, ha continuato a condurre una vita parallela a quella coniugale ed è giunta al culmine della provocazione facendosi scoprire, da marito e suocera, nel salone di casa completamente nuda, impegnata in un amplesso con l’ultimo amante, mentre le sue figlie dormivano nella camera accanto. Il marito, costernato, le ha fatto firmare un documento con l’ammissione di colpa e la rinuncia alla patria potestà sulle bambine e, pur garantendole un ricco mantenimento, l’ha allontanata definitivamente dalla loro casa.
Betty ha accettato di “vendere” le proprie figlie. Questo il dramma.
Nella camera numero 53 per tre giorni si intrecciano le vite di Betty e Laure, la ricca vedova quasi cinquantenne, che divide le proprie giornate tra la “Buca”, dove cena, e l’hotel in attesa di essere raggiunta di notte da Mario, suo amante.
Betty nel suo torpore è silenziosa testimone della relazione sessuale tra i due e, stuzzicata dall’intrigo, avverte un risveglio della propria vitalità offuscata, si apre a Laure, le racconta la propria storia con obiettività e prende atto che la sua vita è a una svolta definitiva: il passato va chiuso per sempre.
Infatti, quando il marito la raggiunge in albergo e le offre la possibilità di ritorno a casa, Betty lo ringrazia, ma rifiuta categoricamente decidendo di rimanere dov’è approdata per caso, diventando così parte della nuova realtà che le si offre. Vive in albergo di notte e trascorre le giornate con Laure nel locale dove anche le anime più stracciate trovano un loro spazio e dove vige la sospensione di ogni giudizio. Il bar-ristorante, dal nome emblematico, è completamente isolato dall’abitato e raccoglie frantumi di umanità, diventando un limbo dalla forte connotazione metaforica.
Betty si lascia alle spalle ciò che è stata e, senza rimpianti, individua un nuovo percorso, forse una via d’uscita: attira Mario nella sua sfera seduttiva - è giovane, bella e perduta - e lo prende per sé, rubandolo all’amica che l’aveva salvata.

I luoghi scelti da Simenon per ambientare le proprie storie sono di straordinaria importanza, riflettono le atmosfere francesi a lui più care e familiari e contribuiscono in maniera formidabile a caricarle di significati.
I personaggi intrecciano le loro esistenze tra porti nebbiosi con le banchine dall’asfalto bagnato e le osterie dove gli orari sono scanditi dalle attività del borgo e dalle maree che con il loro fluire celano e trasportano segreti e misfatti; oppure scivolano come ombre tra reticoli di strade male illuminate dove la neve si contamina col fango, col sangue e con le impronte in fuga, sono frequentatori di caffè di periferia dove gli odori mischiati di fumo e bevande fanno da sfondo al contrasto stridente delle voci maschili.
Le case ricche o degradate, le case operaie, i modesti quartieri piccolo-borghesi, le case di tolleranza sono scenari sui quali tutto si muove secondo i ritmi scanditi dalla ripetitività, i treni e le navi traghettano un’umanità inconsapevole e spesso infelice, gli uffici di polizia sono squallide sedi di lunghi e dolorosi interrogatori.  
Il grigio delle nebbie avvolge il tutto e diffonde ovunque la fascinazione del mistero di un grande maestro della scrittura.   






22 commenti:

  1. Bellissimo saggio su un Simenon che conosco meno.

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  2. Scrittura cesellata in un'analisi interessante.

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  3. Sono attirata dalla figura di Betty, lo leggerò, grazie..

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  4. Un saggio che ben si abbina alla manifestazione. Complimenti Annalisa.
    M.

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  5. Analisi approfondita ed efficace ( e suggestiva) di un grande autore. Brava, come sempre, Annalisa. Simenon non tradisce mai, perchè come scrivi " ha il merito di riuscire a mettere a nudo senza riserve l’animo umano, lo viviseziona". Per questo, aggiungo io, spesso si ritrova nei suoi personaggi ciò che di noi non vorremmo sapere...
    In un certo senso, Simenon scrive sempre lo stesso romanzo, il lettore lo sa, ma ritrova ogni volta il nuovo e l' inaspettato in un déjà vu...

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    1. Cara Renza, i tuoi commenti, graditissimi, offrono interessanti spunti di riflessione. Grazie!

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  6. Credo che Simenon sarebbe contentissimo del tuo saggio che non ignora la sua massima: "Capire e non giudicare". Brava! S.

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    1. Cara S., la sua massima anima i suoi scritti che entrambe amiamo. Grazie!

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  7. Mi è piaciuto tantissimo questo tuo saggio. Amo molto i noir di Simenon così pieni di umanità "grigia". Anch'io non avevo mai letto Betty e sicuramente lo leggerò. Lucrezia

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  8. Come sempre, cogli nel centro le caratteristiche psico-ambientali dei personaggi di Simenon scrittore di romanzi, non solo del personaggio Maigret che conosciamo di più.
    Intrigante nel suo immergersi nelle zone d'ombra dei sui personaggi!
    Non viene citato "lettera al mio giudice"-Opera di grande spessore.E' una scelta?

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    1. Hai ragione,"Lettera al mio giudice" è un testo di grande spessore, ma ho dovuto fare una scelta per questo saggio e, ti assicuro, non è stato semplice. Grazie del commento!

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  9. Un saggio-analisi di gran competenza ed efficacia: complimenti!

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  10. Una recensione piacevole e coinvolgente, capace di sollecitare interesse per ciò che ancora non si conosce o di indurre condivisione e compiacimento per le letture già fatte. Complimenti. Vittorio

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  11. Recensione puntuale e profonda.Il mio amore per Simenon è antico e spesso rileggo i suoi libri quando mi prende forte il desiderio di "evadere".Mi sono sempre chiesta perché,visto che gli argomenti di cui tratta non sono certo leggeri,e credo di aver capito che ciò che mi rassicura è la comprensione che arriva fino alla compassione per il genere umano che sento in lui.

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  12. Condivido le tue emozioni e ti ringrazio.

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