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domenica 11 marzo 2018

SPERANZA NELLE NOTE


(di Giovanni De Pedro)

L'amicizia è come la musica:
due corde parimenti intonate vibreranno insieme
 anche se ne toccate una sola.”
Francis Quarle

Nam myo-ho renghe kyo, Nam myo-ho renghe kyo, Nam myo-ho renghe kyo.
Il ritmo cantilenante del daimoku¹ riempiva l'attico da cui si vedeva il porto sottostante e le onde dell'oceano a perdita d’occhio.
Recitare l'intero gongyo², restando inginocchiata davanti al suo gohonzon³, era il primo gesto che apriva una nuova giornata di Miku, anche adesso, raggiunta la soglia dei cinquant'anni.
La donna riprendeva una posizione eretta, rivelando il lungo corpo snello che si recava a chiudere il butsudan*, custode della pergamena che descriveva la sua vita.
I lunghi capelli neri scivolavano lenti verso le spalle sfiorando i suoi seni piccoli e dolci.
Passando vicino al pianoforte, la sua mano docile dalle dita lunghe e affusolate, sfiorò i tasti bianchi e neri, accarezzando il corpo dello strumento musicale che segnava gran parte della sua esistenza e le procurava di che vivere.


Come ogni mattina Miku uscì per camminare nel fresco inverno; avrebbe fatto footing in estate, ma in febbraio non era ancora possibile.
Imboccò la breve strada che conduceva all'oceano per arrivare alla meta quotidiana, il lungomare, dove traeva la serenità dal garrito dei gabbiani e si ossigenava respirando a pieni polmoni il profumo di salsedine. Percorreva sempre più o meno tre chilometri, prima di imboccare la strada del ritorno, godendosi ogni angolo e la trasformazione lenta e quotidiana della baia di Ishinomaki.
Come fosse un gioco, seguiva il volo dei gabbiani che la conducevano verso le barcil volo dei gabbiani che la conducevano verso le barche rientrate in porto dopo la pesca notturna.
Vide da lontano alzarsi la piccola mano, stanca del lavoro, di Hiro, il suo vecchio amico pescatore che ogni giorno le raccontava una parte del suo passato.
¹daimoku=mantra buddista  ²gongyo=preghiera buddista  ³gohonzon=pergamena buddista
*butsudan=mobiletto a due ante contenente il gohonzon
- Buongiorno, bambina, sei sempre la mia preferita.- esordì l'anziano – Non fa troppo freddo per andare in giro? -
-Lo sai che non c'è niente che mi ferma e poi, che giorno sarebbe se non ti vedessi? - replicò Miku sfiorandogli la guancia con una dolce carezza .
-Oh, lo so, fin da bambina hai fatto sempre quello che volevi e ogni giorno passavi di
qua, mano nella mano con la tua bella mamma, pace all'anima sua, quanto ha faticato a sopportarti – scherzò Hiro, riempiendo il volto quadrato con un sorriso che accentuò i segni del tempo e del vento marino che solcavano la pelle del suo viso.
- Ricordati che chi disprezza compra, anche se qui a comprare sono sempre io – disse
Miku sorridendo. 
- Se avessi l'età, sarei io a comprarti, saprei come prenderti nella rete -
- A proposito, oggi, cosa propone di buono il mare? -
- Ho catturato solo queste sardine. -
- Bene, allora, dammi...mmh, vediamo un po'. Credo che prenderò delle sardine -
-Ma quando nascerà l'uomo che ti pescherà e ti porterà con lui, lontano da questa città? - disse affettuosamente il pescatore, porgendole il pesce.
- Lo sai, non sono una facile preda, forse quell'uomo è già nato ma non sa usare  l'amo giusto – disse ridendo la donna –  e ricordati che non me ne andrò mai da questo posto, sennò chi ti comprerà il pesce?.-
- Non te ne andresti perché ami questa città, questo mare e adori questa baia con i suoi colori e i suoi odori – disse seriamente l'anziano.
- Hai ragione. Qui sono nata, qui sono diventata donna e qui voglio passare l'ultimo istante di vita – disse Miku voltandosi a osservare il moto marino.
- E' bello vedere che esiste ancora qualcuno legato alla sua terra.- disse Hiro con soddisfazione – Toglimi una curiosità, le sardine le mangerai con la tua solita amica?- aggiunse con tono malizioso.
Miku rimase sorpresa e rispose: - E' solo una amica, nonché collega e, ricordati, la curiosità è donna non dei pescatori -
-L'ho detto solo perché potrei essere tuo padre – affermò l'uomo con tono dolce – quindi mi preoccupo per chi ho visto crescere.-
-Magari avessi avuto un papà come te! Non avresti lasciato mia madre sola con una bambina per scappare in America con tutti i soldi per mantenere una prostituta – disse Miku con rabbia, mista a malinconia.
- Bene, credo che per oggi abbiamo detto abbastanza – disse Hiro avvicinandosi alla guancia di Miku, sfiorandola con le labbra.
- Buona giornata, bel vecchietto – salutò la donna voltandosi verso la strada del ritorno.
Mentre Miku nel girarsi udì le ultime parole di Hiro:
- Se tu illumini il mio giorno, sta arrivando chi riesce, sempre, a rovinarmelo -
Miku vide una piccola sagoma scendere dalla strada che portava in città. Era Ami, la sua vicina di casa, una donna bassa e sulla sessantina. Incrociandosi, le due donne si lanciarono uno sguardo non proprio amichevole. Nonostante tutto si fecero un inchino, più per formalità che per rispetto.
Scende a comprare il pesce da Hiro perché è il miglior pescatore della baia, mi dà fastidio il fatto che quell'assassino di Takumi mangerà lo stesso pesce che consumerò anch'io” pensò Miku.
Rabbia e nervosismo crescevano sempre più in lei e un senso di odio s'impossessò del suo animo, solitamente calmo e gentile.
Giunta a casa, Miku lanciò le sardine sul tavolo della cucina e corse per le scale raggiungendo il suo pianoforte, lo guardò sospirando e si sedette sul seggiolino fissando la tastiera. Le sue lunghe dita affusolate iniziarono a danzare tra l'ebano e l'avorio, rompendo il silenzio dell'attico con le note di Ciaijkovskij. Mentre l'armonia del Concerto per pianoforte scivolava nell'aria, tutto il corpo di Miku si lasciava trascinare dal ritmo e dalla forza delle crome e delle semicrome. La rabbia e il nervosismo della donna trovavano libero sfogo in quel pentagramma invisibile, quando qualcosa di inatteso la disturbò.
- Devi essere molto arrabbiata per suonare questo pezzo – disse la voce di Michelle dalla porta d'ingresso – oppure hai fatto un brutto incontro? –
La musica si fermò di colpo e Miku si voltò verso la giovane amica.
- Sulla strada del porto ho incrociato Ami – rispose Miku.
- Come immaginavo! Quando somatizzerai il tuo odio per quelle persone? -
- Non avrò pace finché suo marito Takumi lavorerà alla centrale – disse la pianista.
- Senti, anch'io non ho mai sopportato i francesi ma non per questo insulto il primo transalpino che mi capita a tiro. I miei genitori sono morti per un loro errore durante un esperimento nucleare, ma a volte penso che se quel giorno non fossero andati così vicino all'atollo di Mururoa, oggi sarebbero ancora vivi. Allora credo che tutto fosse già prestabilito e quando manifesto davanti alle centrali, lo faccio anche per loro e so che sono lì, accanto a me, forse reincarnati nei gabbiani che volano ignari delle nostre proteste. - Michelle mentre parlava, sfoderò il suo violino e continuò:
- A proposito, è stata organizzata una manifestazione del Gensuikin¹ per domani,
proprio davanti alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi. Ci andremo, vero?-
-Non mi farò certo mancare questa occasione, così avrò la possibilità di dire quello
che penso in faccia a quell'assassino di Takumi – disse Miku parlando a denti stretti.
- Lo fai ogni mattina, quando esce di casa – replicò Michelle.
- Bando alle ciance, ci vediamo alle otto in stazione. Ma, non hai voglia di suonare oggi? Su, forza al lavoro! – disse Miku all'amica, con un sorriso.
L'archetto di Michelle iniziò a scivolare sulle corde del violino mentre le dita di Miku toccavano dolcemente i tasti del pianoforte.
La stanza fu invasa dalle note dell'Adagio di Chopin; la testa delle ragazze dondolava sulle onde della musica e i loro corpi parevano piume che si libravano nell'aria, le loro menti svuotate dai problemi di ogni giorno e le loro anime a un passo dal paradiso.
Quando finirono di provare, si recarono in cucina a consumare insieme dei rāmen² preparati con le sardine di Hiro che lasciavano in bocca tutto il sapore dell'oceano.
La mattina seguente, dopo aver adempiuto ai suoi doveri quotidiani, daimoku compreso, Miku scese gli scalini di casa attraversando il giardino con le primule che annunciavano l'arrivo della primavera, tenendo sotto braccio un cartello preparato insieme a Michelle e che avrebbe esposto nel corso della manifestazione.
Giunta sul marciapiede udì alcune voci giungere dalla sua destra, era Ami che salutava Takumi augurandogli una buona giornata e, come si conviene a una moglie giapponese, senza baciarlo ma esibendo un inchino.
Lo sguardo di Miku s'incrociò con quello dei vicini di casa, non furono certo occhiate benevole, ma cariche di risentimenti ed odio.
Mentre Takumi si avviò al lavoro con il suo poderoso bolide a benzina, lasciando una scia inquinante dal doppio tubo di scarico, Miku si recò a piedi verso la stazione.
Michelle indossando una maglietta con una scritta di protesta, aspettava la sua amica .
Quando la vide arrivare, il volto s’illuminò con un sorriso ed insieme andarono a bere un tè bancha al bar della stazione.
- Benedetto questo tè – disse Miku – mi sta riportando la calma perché prima uscendo da casa ho visto l'ingegnere andare al lavoro. Che nervoso mi prende ogni volta che lo vedo -.
- Secondo me, devi prenderla con più filosofia, hai recitato il daimoku? - ribadì Michelle – Almeno ti aiuta a trovare il giusto equilibrio che ogni tanto ti abbandona -
Miku lanciandole uno sguardo interrogativo :
- Lo sai che lo faccio ogni giorno. Oggi protestando manterrò fede al mio nome, Miku, che vuol dire il futuro che deve venire. Spero sia il giusto futuro, senza inquinamento né energia nucleare, solo energia solare o eolica. - disse alzando ¹Gensuikin=movimento giapponese antinucleare e antiatomico
²Rāmen=tagliatelle cinesi di frumento con carne e/o pesce. 
un braccio al cielo, come un grande condottiero.
- Sono d'accordo con te. - la interruppe Michelle – Però ricordati che Takumi vuol dire il mare che spacca la terra, quindi stai attenta a non farti spaccare -
- Ora non restiamo qui a sindacare sul mio equilibrio e sui nomi e raggiungiamo gli altri perché tra poco parte il treno. - disse Miku indispettita.
Dal finestrino del treno, che correva velocissimo, si vedeva la pianura che divideva il mare dalle montagne; sulla cima del Monte Atago le nevi si stavano ritirando, sciogliendosi e riempiendo i ruscelli e i fiumi che dissetavano le innumerevoli risaie.
Di tanto in tanto si stagliava contro il cielo la punta di un tempio che segnalava la presenza di un piccolo paese di campagna.
La natura faceva il suo normale corso, attraversando i secoli tra una stagione e l'altra,  la ruota della vita continuava a girare e gli animali procreavano liberamente ai primi tepori primaverili, i boccioli in fiore sembrava ridessero sotto i tiepidi raggi solari.
Quella flora e quella fauna ignoravano che a pochi chilometri di distanza c'era una bomba che poteva distruggerli in poco tempo.
La centrale nucleare diventava sempre più imponente davanti agli occhi di Miku, Michelle e tutto il gruppo di dimostranti.
Mentre il treno entrava nella stazione, l'enorme mostro scomparve dalla vista dei manifestanti che una volta scesi, si allineavano composti e si univano ad altri provenienti da varie località. Tutti insieme si diressero verso l'uscita mostrando i cartelli, accompagnati dai primi slogan.
- Re-spi-riamo... re-spi-riamo...la centrale... non vogliamo – cominciò a urlare Michelle mostrando la sua maglietta con la scritta “A Fukushima si Mururoa per il nucleare “, che lei stessa aveva dipinto.
Miku in controcanto coinvolgeva un altro gruppo con le sue urla:
- L'e – ner -gia nu- cle – are noi vo – gliamo so – ffo – care -
Il colorito corteo formato da centinaia di persone si muoveva lentamente lungo la strada dove in lontananza si scorgeva un punto che, metro dopo metro, s'ingigantiva mostrando pian piano tutta l'imponenza della centrale.
Il gruppo si fermò dinanzi al cancello d’ingresso realizzato nella recinzione eretta a difesa dagli intrusi.
Un cordone di poliziotti si piazzò di fronte ai dimostranti impedendone l'avanzata.
La moltitudine di persone non aveva intenzione di creare scompiglio ma di dimostrare il proprio dissenso pacificamente.
- Basta ... uccidere ... la natura, chiediamo ... energia ... più sicura – si alzò il grido unanime della folla.
Mentre Miku agitava in aria il suo cartello dove aveva disegnato un sole con la scritta “ Energia nucleare? No grazie “ in mezzo al cordone di sicurezza spuntò un uomo. Era Takumi.
L'ingegnere si diresse verso la prima fila degli avversari, e, fronteggiandoli, alzò le mani facendo segno di placare le voci.
Appena ottenuto il silenzio desiderato comunicò:
- I dirigenti della Tekko comprendono pure il vostro dissenso, però vi chiedono che vi allontaniate lasciando che il nostro lavoro prosegua tranquillamente. -
Dopo una breve pausa durante la quale fotografò con gli occhi i volti silenziosi che lo osservavano, continuò:
- Se non obbedirete, saremo costretti a farvi sfollare dalla forza pubblica -
Dalla prima fila si alzò la risposta di Miku:
- Ce ne andremo soltanto quando saremo stanchi di urlare il nostro pensiero -
Avendo riconosciuto il timbro di voce della donna, il volto di Takumi s'inasprì e si voltò lentamente. L'ingegnere s’incamminò verso di lei e guardandola diretto in viso, piegò il braccio alzando l'indice della mano e puntandolo verso il viso della donna, replicò:
- Lei – disse agitando il dito in aria – Lei deve smetterla di trattare male mia moglie e di insozzare la mia reputazione con tutte quelle menzogne che dice in giro. Lo sa? Dico, lo sa che in città più nessuno mi rivolge una parola per colpa sua? Lei mi sta rovinando la vita con tutte queste pagliacciate. Ma io la rovino, giuro che la rovino -
Mentre parlava il suo corpo si avvicinava sempre di più verso Miku che si sentiva minacciata da quell'ira, fin quando Takumi le mise le mani addosso per spingerla all'indietro.
Miku, sentendosi sbilanciata e provocata, mosse il cartello col sole ridente verso il vicino di casa, colpendolo in pieno volto e stordendolo, Takumi incassando il colpo cadde a terra e toccandosi la guancia riuscì a dire solo poche parole:
- La rovino, giuro che la rovino -
Il gruppo del Gensuikin vedendo che il clima diventava sempre più teso e la polizia continuava ad avanzare, si voltò correndo a gambe levate verso la stazione lanciando dietro le spalle tutto quello che tenevano nelle mani e senza accorgersi che la forza pubblica si era fermata a guardare la loro fuga.
Con il cuore che batteva a mille giunsero sulla banchina della stazione e si fermarono a riprendere fiato piegandosi sulle gambe con le mani appoggiate sulle cosce. Alcuni si diressero al marciapiede di fronte per aspettare il treno che portava verso Tokyo.
Quando tutti furono lungo i binari entrò di corsa anche Miku che, dopo aver ripreso fiato alzò lo sguardo e vide, puntati su di sé centinaia di sguardi. Michelle le si avvicinò, con aria non certo amichevole, per dirle:
- Sei diventata matta? Ti rendi conto di che cosa hai fatto? Sono tua amica e lo sarò ancora perché ti voglio bene, ma quello che hai fatto è terribile -
Ben presto arrivò il treno e tutti salirono, ultima fu Miku che prese posto vicino a Michelle. Anche l'amica, come tutti gli altri partecipanti, aveva un atteggiamento di distacco nei riguardi di Miku che, triste e silenziosa, si guardava riflessa nel vetro del finestrino, osservando con lo sguardo perso nel vuoto, il panorama passarle davanti e rivedendo la pianura coltivata a risaie che divideva il mare dalle montagne.
Alle varie fermate le persone scendevano, riducendo via via il gruppo iniziale. Arrivati alla stazione di Ishinomaki erano rimasti pochi a proseguire. Michelle, una volta scesa salutò gli altri amici con inchini corrisposti e vari “Sayonara”. Miku, rimasta in disparte senza essere considerata dal gruppo, si avvicinò all'amica che guardandola le disse:
- Non voglio andare in un caffè o venire a casa tua per un tè. Pensavo di conoscerti bene ma oggi mi hai sorpreso e se tu mi conosci bene, sai che per oggi è meglio lasciarmi perdere. Ci sentiamo domani quando mi sarà passata l'arrabbiatura. -
Senza proferire parola, Miku fece solo un cenno d'assenso col capo e voltandosi si diresse verso casa con passo veloce e a testa bassa, senza accorgersi della gente che per la strada, nel riconoscerla, la salutava.
Frettolosamente entrò in casa  chiudendosi la porta alle spalle e rimase in piedi appoggiata allo stipite di legno respirando profondamente. Presa dalla tristezza fece scivolare la schiena accosciandosi e cominciò a piangere.
In quel momento solo le lacrime le erano amiche e, anche se le offuscavano gli occhi, alzando il viso riuscì a intravvedere le scale che portavano al piano superiore.
Calmandosi e ritrovando la forza di andare avanti si diresse verso l' attico dove sapeva di trovare un amico, il pianoforte.
Alzò la copertura dei tasti e cominciò a far vibrare l'aria con le solite note, del solito concerto di Ciaijkovskij.
Quello spartito le passava davanti agli occhi procurandole un senso di sfogo, potenza e liberazione che le ripuliva l'anima. Nella mente rivedeva le immagini di quella giornata, il colpo inferto a Takumi e, soprattutto, la faccia arrabbiata di Michelle.
Tutto le appariva più nitido, senza dubbio era caduta in errore, si era lasciata trascinare da un odio incontrollato che non faceva, o meglio, non doveva far parte del suo carattere.
La musica del “Concerto per pianoforte” si diffondeva tra le pareti dell'attico, riunendosi al centro della stanza creando una grande energia che guariva Miku dai suoi pensieri malsani.
Quando finì il pezzo, lo stomaco dell'artista cominciò a brontolare, ricordandole che non mangiava da tutto il giorno, oltre lo spirito c'era da soddisfare anche il fisico.
Allora Miku si recò in cucina e guardando nel frigorifero trovò tutti gli ingredienti per sfornare un bel piatto sostanzioso, si preparò così, un katsudon¹, gustandoselo fino
all'ultimo boccone e ripulendo ben bene il piatto, quasi inutile lavarlo!
Dopo aver dormito serenamente, le prime luci dell'alba le fecero aprire le palpebre e fatta una doccia rilassante, Miku si recò all'attico, aprì il butsudan e recitò il daimoku mattutino che fu interrotto dal campanello dell'ingresso.
Con aria irritata andò ad aprire e davanti all'uscio trovò Michelle che, come se niente fosse, sorridendo le disse:
Ho portato croissant caldi per far colazione con la mia migliore amica -
Entrò quasi con impeto, lasciando senza fiato Miku che la osservava, a bocca aperta, mentre si inoltrava nell'abitazione. Ritrovò Michelle in cucina indaffarata nella ricerca delle tazze per la colazione. Tutto d'un tratto, la ragazza franco-nipponica incrociò il proprio sguardo con quello, ancora sbalordito, dell'amica e le disse indicandole una sedia vicino al tavolo :
- Siediti, preparo tutto io. Mangiamo in fretta perché dobbiamo provare, prepariamoci bene per questa esibizione, ho saputo che l'ha organizzata un importante impresario, dobbiamo fare bella figura. -
Miku, nel guardarla, sempre sbalordita, si sedette mentre la osservava preparare il tè e porre in un piattino i croissant con crema o cioccolato.
Quando Michelle ebbe messo tutto in tavola e si accomodò per far colazione vide il volto perplesso dell'amica e si sentì dire :
- Ieri ce l'avevi con me, eri arrabbiata e oggi arrivi, t'intrufoli in casa mia e mi prepari la colazione come se niente fosse successo. Non meravigliarti se sono sbalordita! -
- Ieri ti ho detto di lasciarmi perdere fino ad oggi, perché mi conosci. Tu l'hai fatto, vuol dire che mi comprendi, anche se hai superato i limiti della tua pazienza, tutto è passato e oggi è un altro giorno. Ti voglio bene. -
- Anch'io te ne voglio – rispose Miku elargendole un grande sorriso.
- Meno male,perché non vorrei ricevere un colpo come quel povero ingegnere- Terminarono il loro tè, tra una risata e l'altra, quindi si recarono, col ¹katsudon= cotoletta di maiale fritta ricoperta con riso e uova
sapore delle brioches ancora in bocca, verso l'attico abbracciandosi e consapevoli dell'importanza del concerto che avrebbero tenuto due settimane dopo alla stupenda Mediateca di Sendai.
Preparati gli strumenti musicali, iniziarono a sciogliere le dita, quasi fossero state imbrigliate, inondando l'aria delle note dell'opera n.24 di Beethoven, più nota come La Primavera. Immaginavano un viale di Sendai, con le fila di zelkova¹ in fiore che indicavano loro con gli enormi rami la strada per il teatro, accogliendole come fossero due famose dive. Mentre la musica scendeva profonda nelle loro anime, i loro occhi castani a mandorla si incrociavano elargendo sorrisi pieni di tenera complicità.
Passarono i giorni e in quel venerdì mattina Miku era eccitatissima, sembrava volasse tre metri sopra il cielo dall'emozione per il concerto più importante della sua vita artistica. Recitò le preghiere senza riuscire a concentrarsi perché i suoi pensieri erano altrove. Fece colazione con un sorriso stampato sulla bocca che le dava un'aria quasi da idiota.
Quando udì il suono del clacson dell'utilitaria di Michelle era già
pronta e uscì, avvolta da un lungo vestito di seta nera che faceva risaltare le sue curve e un paio di scarpe in tinta con tacco otto centimetri.
Dalla casa vicina uscì anche Takumi, con un grosso cerotto sul capo, segno ancora visibile del colpo ricevuto dal cartello di Miku. La fanciulla, in preda all'agitazione, non fece nemmeno caso al vicino di casa che salutava la moglie Ami.
La pianista s'introdusse in gran fretta nell'auto dell'amica.
- Ci siamo, è il grande giorno – disse Michelle eccitata.
- Sìì, vai, vola verso il successo – urlò entusiasta Miku alzando le braccia.
- L’11 marzo sarà una data che ricorderemo sempre come l’inizio di un grande avvenire – urlò Michelle contagiata dall'entusiasmo dell'amica del cuore – già li vedo i cartelloni dei nostri concerti, prima Osaka e poi Tokyo -
- Magari dopo New York, Londra; Parigi e tutta l'Europa – proseguì Miku.
 Michelle aggiunse: - Il mio sogno più grande è di suonare alla Scala di Milano ¹Zelkova=pianta detta anche olmo giapponese 
o all'Arena di Verona, ah! L'Italia, patria di grandi musicisti -
- Grandi musicisti come noi – disse Miku ridendo.
I loro sogni volavano più veloci della loro automobile che nel frattempo si avvicinava sempre più a Sendai, dove attraversò i viali incorniciati dalle piante fiorite di zelkova
che con i loro rami salutavano le ragazze quasi a indicare la strada che conduceva alla Mediateca, un'enorme costruzione moderna che ospitava, oltre all'auditorium, anche la biblioteca e un museo.
L'enorme vetrata dell'edificio attirò la loro attenzione, lasciandole sorprese a bocca aperta davanti a quella grandiosa opera d'arte.
La pianista notò Michelle soltanto quando scese dall'auto, lo stesso vestito nero, “Magari comprato nella stessa boutique” pensò Miku, lo stesso tipo di scarpe anche se quelle di Michelle avevano dei tacchi di quindici centimetri, che compensavano la differenza delle loro altezze.
Sulla soglia dell'ingresso dell'Auditorium le aspettava Masao, l'impresario che poteva cambiare la loro vita, le accolse, allargando le braccia, con un grande sorriso:
- Ecco le mie musiciste preferite, non vi prometto niente ma ho già assistito a una vostra performance e ho ascoltato delle vostre registrazioni e dico che siete semplicemente magnifiche. -
Le ragazze lo squadrarono da capo a piedi e si chiesero come quel nanerottolo con un completo gessato, che pareva un boss mafioso, con un foulard al collo ed una pochette in tinta, un mezzo sigaro spento in bocca, praticamente una caricatura di Danny De Vito dell'Estremo Oriente, potesse cambiare i loro destini.
La tensione delle artiste saliva man mano che il tempo passava e quando arrivarono le quattordici e trenta, annunciate da Masao al microfono, salirono sul palco e si trovarono davanti a un teatro gremito.
La loro esibizione iniziò con le prime, timide note di Beethoven ma ben presto le loro dita si sciolsero, emozionando tutta la platea.
All'improvviso un boato le scosse, tutto cominciò a tremare come fosse un mare in tempesta, la gente urlò fermando la musica e tutti corsero verso le uscite di sicurezza.
Miku e Michelle si guardarono con aria interrogativa durante quel moto ondulatorio fin quando Miku afferrò la mano di Michelle trascinandola con sé verso il backstage.
La terra non si fermava, anzi, continuava a tremare sotto i loro piedi. Miku vide la luce del sole e capì di essere all'esterno dell'edificio ma dietro di sé sentì un boato e la mano di Michelle le scivolò via. L'amica cedette sulle scarpe dal tacco alto, quando Miku si voltò vide la struttura del teatro afflosciarsi, come un castello di carte, sopra il corpo di Michelle disteso a terra, con la mano tesa a chiedere soccorso.
La pianista cercò di tornare indietro ma la polvere che si alzò le annebbiò la vista.
Quando la terra si fermò e la nube si dissolse Miku cominciò a urlare piangendo:
- Michelle, Michelle, per Dio, rispondimi, rispondi! -
La disperazione, ormai, l'aveva catturata e il pensiero di non rivedere l'amica prese corpo in lei, secondo dopo secondo.
Finchè sentì una voce fioca urlare il suo nome:
- Miku, Miku aiutami, soffoco – Era la voce di Michelle e appena Miku la riconobbe, tolse le mani dal volto. Guardò avanti a sé, vide una mano che spuntava da un cumulo di mattoni e riconobbe l'anello che le aveva regalato per il compleanno.
L'istinto la fece correre in quella direzione e impavida rimuoveva mattone dopo mattone scagliandolo in ogni direzione nell’affannoso tentativo di liberare l'amica da quel peso opprimente, mentre intorno a loro si udivano soltanto urla e pianti di coloro che si erano salvati, ma non trovavano i loro familiari o amici. Miku riuscì a vedere il sanguinante viso di Michelle che era pieno di ferite.
- Riesci ad alzarti? - le chiese
- Sento le gambe pesanti, non si vogliono muovere. -
-Ti trascino un po', fin dove c'è più spazio. Se ti faccio male, dimmelo -
Miku infilò le sue braccia sotto le ascelle dell'amica mentre lontano si sentivano le sirene di un'ambulanza che si avvicinava per portare i primi soccorsi.
- Mi fai male, però continua, resisterò – disse Michelle.
Solo quando si trovarono a qualche metro dalle macerie della Mediateca si avvicinarono delle persone che guardando Michelle dissero:
- Signorina, come sta? Ha bisogno d'aiuto? Resista che arrivano i soccorsi. -
Le lacrime di quella gente cadevano sulle ferite della violinista, regalandole un senso di cura.
In quell'attimo arrivò nei pressi della ragazza l'ambulanza che avevano udito prima. Sembrava fosse passata un'eternità, il tempo pareva dilatarsi in quei momenti cruciali.
Scesero due infermieri, si sincerarono della situazione e presero una barella sulla quale caricarono Michelle.
Miku le strinse la mano e dopo aver chiesto ai soccorritori dove avrebbero portato l'amica, disse a Michelle:
- Prendo la tua auto e vado a vedere la situazione a Ishinomaki, controllerò lo stato delle nostre abitazioni. Quando avrò finito verrò a trovarti. Non ti preoccupare, io ti starò vicino perché noi siamo amiche, indivisibili, vero? -
- Certo – disse Michelle, con un filo di voce porgendo le chiavi all'amica, carezzandole la mano – Non devi mai pensare il contrario -
Miku le diede un bacio sulla guancia prima che l'ambulanza partisse, a sirene spiegate, in direzione dell'ospedale di Sendai. La donna, invece, si diresse verso l'automobile, intatta in mezzo al piazzale del parcheggio.
Guidando verso la sua città, incrociava un paesaggio a lei quasi sconosciuto, tutti quei paesi che aveva attraversato all'andata erano cambiati, la gente si era riversata in strada alla ricerca di una risposta all'accaduto.
Mentre percorreva l'autostrada vide gente in mezzo ai campi correre nella sua direzione, visi spaventati, braccia alzate in cerca d'aiuto.
Miku fermò la vettura sul ciglio della carreggiata e guardando lontano notò che il cielo era unito alla terra, un identico colore, una grande onda era atterrata dall'oceano, invadendo i campi e travolgendo tutto quello che trovava sul suo percorso.
A pochi chilometri dall'autostrada, sulla linea ferroviaria, c'era un treno fermo sui binari che in un attimo fu spazzato via, come fosse un modellino con cui giocano i bambini. L'acqua si fermò nei campi tra la ferrovia e la grande strada, Miku fece salire quattro persone, le accompagnò alla città più vicina ascoltando i loro racconti durante il tragitto.
- Eravamo sul treno, quando è arrivato il terremoto, è saltata la corrente e ci siamo fermati. Ci hanno detto che stava arrivando uno tsunami, allora di corsa abbiamo attraversato i campi. Grazie a lei, siamo in salvo -
Loro non sapevano che l'aeroporto di Sendai, posto vicino al mare, era stato travolto e quando le acque si erano ritirate centinaia di persone, colte dalla morte, non sarebbero mai più partite.
Gli aeroplani erano stati spostati come fossero di carta e scivolando in direzione della costa, si erano accatastati uno sull'altro, travolgendo anche i mezzi operativi sulle piste ormai inesistenti, altre centinaia di persone erano state uccise da questa massa di rottami che si spostava come detriti di un fiume in piena.
Nei giorni seguenti, il Giappone pianse la morte di decine di migliaia di vite umane.

Più il tempo passava, meno chilometri le mancavano da percorrere e più Miku si avvicinava a Ishinomaki vedendo crescere i danni, gli edifici caduti erano sempre in numero maggiore, ma soprattutto, sempre più inzuppati.
Arrivata all'ingresso della città, si trovò di fronte a una barricata di tante barche rovesciate e dovette abbandonare l'automobile per proseguire a piedi.
Imboccando la strada che conduceva verso il centro e proseguiva fino al mare, vedeva case distrutte, carcasse di auto sovrapposte, rottami di natanti che non riusciva a capire come fossero giunti lì.
Alla sua destra vide una donna dirigersi verso di lei, era un volto conosciuto ma al tempo stesso reso irriconoscibile dalla disperazione e dalla tristezza; aveva lo sguardo perso nel vuoto e camminava barcollando.
Quando le fu vicina la sentì dire con voce flebile:
- Signorina, come sta? L'onda, l'onda era enorme, sono riuscita a scappare, Mio marito però non mi risponde, continuo a chiamarlo, lei può aiutarmi? – Era Ami.
Nel vederla in quelle condizioni e con il viso totalmente bagnato dalle lacrime, l'odio sempre provato da Miku nei suoi confronti, si tramutò in pietà e compassione.
- Ti darò una mano ma raccontami cosa è successo – chiese Miku.
- La terra cominciò a tremare e non si fermava, sembrava non finisse mai ed io, prima, sono scappata in strada e dopo verso il centro città . Le case erano ancora in piedi ma sentivo voci disperate che urlavano “ Correte, scappate verso l'interno, più lontano che potete, sta arrivando l'onda, sta arrivando “. Ho sentito solo un boato fortissimo e giunta alla periferia della città, vedevo arrivare dal mare uno tsunami, credo che fosse alto circa sette metri o forse anche di più. Ho girato i tacchi e correvo veloce per quanto mi era possibile. Mi sono fermata e girandomi ho visto il mare che si ritraeva. Ho saputo da altre persone che Hiro era fuori in mare e la sua barca è stata scaraventata sulla costa. Era vuota. – concluse tristemente Ami.
- Hiro, il mio caro vecchio amico, non ho potuto salutarlo. Da chi comprerò il pesce, adesso? – disse Miku con gli occhi bagnati di pianto.
- Hai promesso d'aiutarmi – inveì rabbiosamente la piccola donna – T'ho raccontato com'è andata, adesso aiutami a ritrovare mio marito – lo disse stringendo un telefono cellulare tra le due mani tremanti, le piccole dita tamburellavano sulla tastiera cercando di contattare il marito e dagli occhi gonfi sgorgavano lacrime che scivolavano sulle gote raggiungendo le sue labbra.
Miku guardandola con tristezza, le prese il viso tra le mani e fissandola dritta negli occhi disse:
- Calmati adesso, ti aiuto ma prima chiedo il tuo perdono per aver colpito Takumi, mi son fatta trascinare dalla rabbia dettata dalle mie convinzioni. -
La donnina sorrise e le rispose:
- Figliola, io ti ho già perdonato. Sono sempre stata convinta che il nucleare è sbagliato ma non potevo sostenerlo con mio marito, tu hai dato forma alle mie idee -
Miku, quasi allibita per quelle parole, la abbracciò con calore e riuscì ad esprimere solo un flebile, emozionato : - Grazie -.
Strappò il telefonino dalle mani di Ami e cercò, freneticamente, nella rubrica il numero di Takumi ma una voce di donna ripeteva automaticamente:
L'apparecchio dell'utente è spento o momentaneamente irraggiungibile, si prega di riprovare più tardi
Dopo vari tentativi, Miku perse la speranza e chiese:
- Non risponde. Dimmi Ami, dove si trovava Takumi al momento del terremoto? -
- Era al lavoro, giù alla centrale -
- La centrale è in riva al mare, quindi lo tsunami deve averla investita e se lui era là -
Il tono andava calando e le parole si fermavano in gola come se formassero un blocco che non le lasciava uscire. Superato quel momento d'empasse, con difficoltà continuò : - Potrebbero esserci difficoltà con la linea. Sai quanta gente sta telefonando in questo momento ai propri cari per sapere come stanno?-.
- Lo immagino ma se lo tsunami l'ha investito, lui, adesso è morto anche se la mia speranza è sempre l'ultima a morire – disse Ami sconsolata.
- Vieni, andiamo a vedere cosa è rimasto delle nostre case – le disse mettendole il braccio destro sulle spalle e tenendole la mano con la sinistra.
S'incamminarono su quello che restava della strada che portava al mare, evitando macerie di villette che, una volta, avevano un giardino e passarono dove prima c'era l'abitazione di Michelle.
Il volto di Miku si riempì di malinconia vedendo tra le rovine i resti dell'arredo, per terra riconosceva gli effetti personali dell'amica, la cornice con il ritratto dei genitori e la foto scattata nei giardini del tempio Rioan-ji a Kyoto, Michelle e Miku sorridenti che si abbracciavano.
Riprendendo il loro cammino, s'imbatterono in persone conosciute che tornando verso le loro abitazioni, piangevano la perdita di familiari o amici.
Di fronte a loro videro, al centro della strada, una barca rovesciata con la scritta “ Natsumi “, era l'imbarcazione di Hiro. Le donne si arrestarono davanti all'unica cosa che rimaneva dell'uomo che le legava.
- Natsumi, chissà perché l'ha chiamata così – notò Ami.
- Era il nome di mia madre – affermò Miku – Hiro ne era innamorato, fino al punto di dichiararsi quando mio padre se ne andò. Mia madre, però, sperava sempre che tornasse e il povero pescatore rimase ad aspettarla. -
Poi notò: - Che strano destino! Innamorato, senza essere corrisposto, di una donna chiamata Natsumi, ucciso da un fenomeno chiamato Tsunami, un anagramma, come se fosse morto due volte -.
- Non conoscevo questa storia – si scusò Ami.
- Non preoccuparti, è acqua passata. -
Camminando si trovarono vicino al tempio scintoista Nurebutsu o, almeno, a quello che ne restava. Miku malinconicamente guardò i resti del tempio e ciò che rimaneva del simbolo religioso inciso sopra l'ingresso per proteggere chi lo oltrepassava e, proprio per questo rimasto intatto, pensò:
Neanche la religione si può salvare davanti alla natura che è più grande e potente, anche di un Dio o la stessa natura è Dio? “
Tornarono sui loro passi mentre la tensione s'impadroniva, attimo dopo attimo, alterando i loro stati d'animo finché videro in lontananza quel che restava delle pareti dove avevano vissuto la loro esistenza fino a quel giorno.
Ami notò che il tetto era caduto quasi intero sul resto della sua casa, come se l'onda avesse eroso con un colpo i muri della sua villetta.
Corse, piangendo, verso quel che rimaneva del suo passato, cercava tra i calcinacci
qualcosa d'importante, qualche oggetto che poteva lasciarle il ricordo di Takumi. Trovò per terra, sgualcita e inzuppata, una giacca blu che lui indossava spesso, lei gliela lavava e stirava come suo compito di moglie fedele.
La strinse a sé, sperando di risentire il suo profumo imprigionato nella trama del tessuto ormai aromatizzato dal mare e dalle lacrime che lei versava.
Miku consolandola osservava, oltre quelle spalle, nella direzione di casa sua ove c'era un vuoto non solo materiale ma anche spirituale, che le feriva l'anima.
Ritrasse le braccia dai fianchi di Ami e si diresse verso le proprie macerie, scoprendo uno scenario deprimente.
Arrivata sul luogo si chinò per raccogliere alcuni pezzetti di legno tentando di ricomporli come in un puzzle. Una volta componevano il suo butsudan che custodiva il rotolo su cui era scritta la sua vita. Anche quella pergamena era rovinata dall'acqua e rotta in mille pezzi, proprio come la sua esistenza.
Alzando lo sguardo ebbe un altro colpo al cuore: aveva di fronte quello che una volta era il suo pianoforte, rimasto in verticale mostrando, orgoglioso, i resti dei tasti bianchi e neri che tanta felicità, sfogo e sogno le avevano regalato e nell'aria udiva ancora le meravigliose note che lo strumento le regalava.
Quella visione apocalittica alimentava in lei il pensiero che la sua vita era distrutta ma poteva e doveva ricostruirla, magari insieme a quella nuova amica che ora stava piangendo il proprio marito, forse scomparso.
Restando in ginocchio sul suolo bagnato, guardava la distruzione della sua casa, sentiva il suo essere piegato dalle forze oscure della natura e iniziò a recitare un daimoku al quale si unì Ami e riecheggiava nel silenzio quella cantilena :Nam myoho renghe kyo, Nam myoho renghe kyo, Nam myoho renghe kyo.

I giorni passarono lentamente e in quella settimana arrivarono a Ishinomaki i primi aiuti umanitari dal resto del Giappone e da tutto il mondo. I primi soccorritori portarono la notizia di un disastro alla centrale di Fukushima, dove era scoppiato un reattore che aveva fatto fuoriuscire del liquido radioattivo.
Questa notizia tolse ad Ami ogni speranza di rivedere Takumi vivo. Tutta la zona circostante era stata evacuata per un raggio di circa cinquanta chilometri e ci sarebbero voluti molti decenni, se non secoli, prima che la radioattività, in quell'area, esaurisse il suo potere. Molte persone di quel distretto giunsero nei campi allestiti a Ishinomaki.
Una casetta prefabbricata era stata assegnata a Miku ed Ami che vivevano, adesso, sotto lo stesso tetto. Le due donne, grazie al feeling che si era instaurato tra loro, condividevano tranquillamente un piccolo soggiorno con angolo cottura, alla cui destra si apriva una porta che conduceva a una piccola stanza da bagno con doccia e vicino ad esso una cameretta da letto; alla sinistra della saletta principale c'era la stanzetta dove dormiva Ami.
Durante la giornata, entrambe giravano per il campo fra altre casette uguali che formavano un piccolo villaggio, portando aiuto a chi ne aveva bisogno.
Quando era il loro turno davano una mano nella cucina comune, dove a causa della scarsità di provviste, più che altro si preparava riso, carne in scatola o latte liofilizzato con le bottiglie d'acqua minerale, spesso centellinate.
Un giorno durante una pausa Ami e Miku si sedettero al punto di ritrovo comune per bere un caffè, un televisore trasmetteva il telegiornale con le immagini della centrale, ormai allo sfacelo. Ami ebbe un breve sussulto di emozione, pensando al posto dove giaceva il corpo del marito; la loro attenzione, però, fu calamitata dal famoso speaker Akira Takushi che, per dimostrare che non c'erano radiazioni, mangiava in diretta delle foglie d'insalata provenienti dalla zona di Fukushima. Dopo qualche settimana una notizia del TG annunciò che gli era stato diagnosticato un tumore causato dalla radioattività presente nel suo corpo.
Durante quella settimana, Miku tenne i contatti con Michelle, ricoverata all'ospedale di Sendai, che migliorava giorno dopo giorno.
Una mattina , quando ancora era sdraiata nel suo letto, suonò il telefonino.
Era la voce di Michelle : - Sai che oggi mi liberano? -
- E' fantastico – disse Miku, con la voce assonnata – Dimmi a che ora esci, cercherò di venire a prenderti. Perché mi fa piacere, anzi, è mio dovere -
- Non preoccuparti, ho trovato una persona che mi accompagna, cioè, mi sta accompagnando, tra poco sarò arrivata, dimmi solo, come faccio a sapere dove sei?-
- Sono nel campo di Ishinomaki Nord, mi pare di avertelo detto, abitazione numero 1521 -
- Allora, 1518...1519...1520...1521...ah, eccola – stava dicendo Michelle
Miku si alzò in fretta dal letto, corse verso la porta d'ingresso e vide, attraverso la tendina, un'ombra avvicinarsi, la spostò e scorse l'amica in piedi oltre l'uscio.
Aperta la porta si ritrovarono l’una nelle braccia dell’altra, incapaci di trattenere le lacrime. Per molti minuti restarono così, abbracciate, senza parlare e non riuscendo a non bagnare i loro vestiti.
Si guardarono accarezzandosi le guance a vicenda felici di essere vive e ancora insieme. Michelle vide spuntare Ami, alle spalle di Miku.
- Che sorpresa! – disse spostando lo sguardo stupito verso Miku – Buongiorno, signora. -
Miku si preparò in tutta fretta per andare da sola con Michelle a fare colazione: latte in polvere versato nel tè. Lo sguardo di Michelle, ancora mimetizzato da alcuni cerotti, non si spostava dal volto di Miku che ruppe il ghiaccio:
- Okay, chiedimi quello che vuoi, so cosa stai pensando -
- Certo che lo sai, cos'è successo per vivere con quella che era la tua nemica? -
- Ho scoperto la vera Ami, una persona dolce e dalle idee antinucleari. E’ stata una rivelazione anche per me, non l'avrei mai immaginato -
- Allora non voglio essere il terzo incomodo! Quindi, cercherò un'abitazione da condividere – provocò Michelle, guardando l'amica.
- Stai scherzando, spero, ho un letto nella mia stanza e sarà tuo – disse Miku con fermezza – Non farmi scenate da amica gelosa. -
Ridendo all'unisono e tenendosi per mano, si avviarono verso la piccola ma accogliente dimora, dove Michelle prese possesso della sua metà di stanza, frettolosamente liberata dall'amica che accatastò i propri oggetti nella parte che si era assegnata.
- Sto pensando – disse Miku sdraiandosi sul letto – che se trovassimo un pianoforte e un violino, potremmo organizzare un concerto per tutti, qui al campo, per dare una serata di distrazione alla gente. -
Michelle saltò sul letto con un volo plastico e disse euforica:
- E' un'idea fantastica, potremmo ricominciare da dove abbiamo lasciato, questa volta senza riscontro economico, solo per il piacere della musica. -
- Nel pomeriggio andiamo a parlare con il responsabile, vediamo come può aiutarci -
Il coordinatore fu entusiasta dell'idea, pregando le ragazze di tenere più di un concerto, in modo che la gente scordasse almeno per qualche tempo le proprie disgrazie, godendosi  un po' di buona musica. Promise di darsi da fare in fretta, incitandole a stilare un programma prima dell'arrivo degli strumenti.
Miku e Michelle cominciarono a pensare a vari pezzi che già avevano eseguito nel corso della loro, pur breve, carriera. Al duo si aggiunse, con entusiasmo e partecipazione, anche Ami.
- La mia idea – diceva Miku – è di suonare una compilation di Primavere -
- Sì – la interruppe Michelle – inizi tu con quella di Grieg, solo per pianoforte. Poi, io eseguirei quella di Vivaldi, solo per archi. Poi insieme, potremmo fare quella di Beethoven. -
- Ricordati, non deve mancare il Concerto di Ciaijkovskij – sobbalzò Miku – lo sai che è il mio preferito e mi dà forza -
- Lo so, non mancherà di certo, cara amica mia.
Intervenne anche Ami in quel discorso a due:
- La vita è bella – disse dal suo angolino.
- Hai ragione – rispose Miku – la vita è bella, quando si ha la vita, si ha tutto e vale la pena viverla fino in fondo, succhiandola fino al midollo -
- Certo, son d'accordo con te – continuò Ami – ma intendevo dire che mi piacerebbe sentirvi eseguire “La vita è bella”, scritta da Nicola Piovani, mi dà i brividi ogni volta che la sento. -
- Ah, sì, certo – rise Michelle - hai ragione è un pezzo favoloso e da pelle d'oca, lo faremo dedicandolo a te e a Takumi, così dal cielo ci perdona -
- Dal cielo se non si è ancora reincarnato! - affermò Miku.
- Se volete – continuò Ami – io potrei cantarla, in inglese naturalmente. -
- Perfetto, allora diventeremo un trio, fantastico – disse Michelle.
Trascorsero la settimana seguente a provare, canticchiando i pezzi da suonare, ogni tanto entrava nel coretto anche la voce di Ami che accennava la sua canzone.
Un mattino, mentre stavano consumando il primo pasto della giornata, bussò alla porta il responsabile del campo che recava una grande notizia.
- Buongiorno, dame dei miei sogni – disse inchinando il capo – è arrivato, per voi, un enorme pacco da Hamamashi. Il mittente è la Kawai, se lo accettate dovete mettermi soltanto una firma, qui – allungando una cartellina e indicando un punto sopra un foglio.
Le tre donne si guardarono ed emisero un urlo di gioia talmente forte che l'uomo dovette tapparsi le orecchie per non rompersi i timpani.
- Gli strumenti! Ci hanno inviato gli strumenti in prestito. - gridò Miku agitando le mani davanti al volto facendosi aria per non svenire dall'emozione.
Il responsabile la osservò e disse:
- Non sono in prestito, ve li hanno regalati, come aiuto ai terremotati e adesso, qualcuno di voi mi fa la cortesia di firmare? -
Dopo l'ennesimo urlo Ami prese la cartellina con la penna e mentre firmava, l'uomo venne sommerso da baci di ringraziamento, elargiti dalle altre due donne.
La colazione, quella mattina, venne consumata in un batter d'occhio e dopo essersi preparate in un attimo, le tre amiche corsero al ritrovo del villaggio.
Trovarono il pianoforte al suo posto, pronto all'uso e, appoggiato sopra, c'era un violino, nuovo fiammante, insieme al suo archetto.
Mentre Miku e Michelle si accingevano a toccare i loro strumenti, Ami pensava alla preparazione dei cartelli che annunciavano un'esibizione per la serata seguente.
I vestiti che indossavano allo sfortunato concerto di Sendai, tornarono a fasciare i corpi di Miku e Michelle, che calzavano le stesse scarpe di quella sera.
Non c'era un palco e al posto delle poltrone di velluto c’erano sedie di plastica portate, una a testa, da ogni persona che giungeva per assistere all'appuntamento.
Gli spettatori, di svariate età, non indossavano eleganti smoking, ma quel che era rimasto loro: blue-jeans, camicia e ciabatte o sandali. Le spettatrici avevano lasciato a casa i vestiti di paillettes e i loro preziosi gioielli, per indossare le uniche vestaglie salvate dopo il sisma e un paio di zoccoli o scarpe da tennis, forse offerte loro da chissà quale donatore.
Nonostante tutto, alle prime note di Grieg che le mani di Miku fecero vibrare nell'aria, gli occhi del pubblico si chiusero, lasciando volare la mente verso pensieri lontani o di fantasia, dimenticando il dolore quotidiano che quella situazione imponeva. Anche Michelle e Miku riscoprirono sensazioni ormai quasi dimenticate, ma le loro dita ancora se le ricordavano molto bene.
Venne anche il turno di Ami che intonò la sua canzone con una voce da usignolo che emulava Madame Butterfly. Al termine del ritornello, con la meraviglia delle tre artiste, tutto il pubblico cantò in coro le parole finali del pezzo: “It's beautiful that way”.
- Meravigliosa atmosfera – disse Michelle, alla fine dell'esibizione – Ho sentito una partecipazione emotiva più intensa in questa serata, piuttosto che in quelle nei grandi teatri -
Miku confermò: - Hai ragione, anche per me, c'era un'atmosfera particolare, mai provata, inspiegabile -
Entrambe avevano provato una sensazione di leggerezza, come se volassero a tre spanne dal terreno e intorno sentivano un amore mai avvertito prima.
La saggezza di Ami le raggiunse, insieme alle sue parole:
- Non è l'abito che fa il monaco. A volte, sotto le paillettes, i gioielli e gli smoking, si nasconde solo la voglia di far vedere di essere colti e intelligenti, senza sapere quello che si ascolta. Sotto le vestaglie o un paio di blue-jeans, si ascolta col cuore, traendo dalla musica quella che è la sua natura, un'espressione di sentimenti nascosti in cinque righe e sette note. -
Miku e Michelle la fissarono, restando a bocca aperta e senza parole. Superato quel momento di stupore si rivolsero ad Ami, dicendole:
- Andiamo, madame, si è fatto tardi -
S'incamminarono lungo il sentiero che conduceva alla loro dimora, quando Michelle fermò tutte e volgendo gli occhi verso il basso disse:
- Guardate, una margherita, appena sbocciata. E' la vita che rinasce e continua il suo corso. E' come la nascita di un bambino, la speranza che tutto andrà avanti. Che il mondo continuerà a girare senza mai fermarsi. -
Con i lunghi capelli, mossi dalla leggera brezza di una sera d'aprile, tre donne che rappresentano ogni stagione della vita, stanno camminando mano nella mano, consapevoli che la vita continua e la speranza è una nota che non smetterà mai di suonare la sua eterna sinfonia.


(pubblicato con l'autorizzazione dell'autore)

3 commenti:

  1. solo con la tua sensibilità sei riuscito a trarre parole di speranza.
    Adriana

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  2. Grazie Adriana, il tuo commento mi commuove. Giovanni.

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