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lunedì 10 ottobre 2016

Siria: Il perduto profumo delle rose damascene


Appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera


Parlare di Siria potrebbe sembrare inopportuno per certi aspetti, ma il mio è un atto di rispetto per questo paese mediorientale di cui ora non resta che una vuota carcassa, un fantasma dal passato glorioso, quando regnava una storica tolleranza tra popoli e religioni, ormai perduta.
La Siria era un paese bellissimo, vario e ricco di storia e umanità. Verdi montagne che ricordano le nostre regioni appenniniche, deserto, mare, importanti siti archeologici, arcaici monasteri cristiani e possenti castelli crociati erano il vanto di questa regione, posta a cavallo tra il Mediterraneo e il deserto iracheno, l’antica Mesopotamia.
Questo viaggio ha avuto luogo nell’aprile del 2009.


Damasco – La moschea degli Omayyadi - foto di M. Fichera
Damasco, una città millenaria, tra le più antiche al mondo, era vivace, cosmopolita e colta.
Nella moschea degli Omayyadi, nata sulle rovine di un tempio dedicato a Zeus e il più importante luogo di culto musulmano della Siria, è conservata e venerata la testa di San Giovanni Battista. Il cortile della moschea era pieno di bambini e famiglie, all’interno uomini e donne pregavano separati, genuflessi su splendidi tappeti persiani.

Il suk di Damasco in particolare era un luogo splendido, ricco di un fascino speciale. Profumo di rose damascene, sgargianti tessuti, dolciumi, pistacchi e spezie arricchivano i lussuosi negozi rivestiti di preziose tarsie.
Ma la vera anima del suk erano i suoi commercianti, distinti e appassionati venditori di esotismo e delizie per il palato e l’anima. C’era il profumiere, un omone nel suo negozio ricolmo di centinaia di boccette d'essenze. Gli raccontavi quel che volevi – naturalmente con l'aiuto della fidata guida che traduceva in arabo - e lui, quasi magicamente, mescolando fragranze semplici e antiche, faceva nascere il tuo profumo, unico e irripetibile.
Poi c’era il venditore di antichità che ci portò sulla terrazza all'ultimo piano del suo negozio. Una bellissima terrazza coperta da freschi tendaggi, affacciata sul minareto di Gesù della moschea degli Omayyadi, dove ci offrì un tè insieme ai suoi affascinanti racconti. Il negoziante era un uomo molto colto e raffinato, con un perfetto inglese, che conosceva bene il mondo. Ci mostrò con orgoglio il suo "regno", colmo di antichi vasi, tappeti e argenti, un piccolo caos dove tutto era armonioso.
Piccoli lussi di tempi andati che, dopo la guerra civile che dal 2011 a oggi ha ridotto Damasco a un cumulo di macerie, spero non siano andati perduti per sempre.

Una bottega nel suk – foto di M. Fichera


A nord del paese sorge Aleppo, detta “la grigia” per il colore della pietra dei suoi palazzi, la più grande città della Siria e patrimonio Unesco. Qui la cucina siriana ha da sempre espresso i suoi massimi livelli, tra profumi di coriandolo e confettura di rose.
Il centro storico, ormai completamente distrutto, era dominato dalla cittadella, una fortezza arroccata su una collina in cui le famiglie passeggiavano allegre e spensierate nei giorni festivi.
Ai piedi della collina si estendeva, in un dedalo di vicoletti e gallerie, un meraviglioso suk dove era d’obbligo comprare il famoso – e ottimo - sapone di Aleppo e i profumati dolcetti ai petali di rosa.
Qui tutto era tranquillo, le persone gentili e sorridenti, i bambini vivaci e paffuti. A ripensarci forse era solo apparenza, non riesco a capire, e non riesco neanche a immaginare come stiano vivendo gli abitanti di Aleppo che ancora non sono scappati dall’orrore della guerra.
 
La città di Aleppo vista dell’ingresso della cittadella- foto di M. Fichera
Il Krak des Chevalier, la cui storia inizia nell’XI secolo, è considerato  la più rilevante e famosa costruzione militare fortificata dell'Ordine dei Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, in seguito noto come Ordine dei Cavalieri di Malta.
Sito protetto dall’Unesco per la sua unicità e storia, è un imponente castello bianco, fiero e massiccio, che svetta tra vallate verdissime, e che ha resistito alle antiche campagne crociate e ad alcuni terremoti, attraversando i secoli quasi intatto fino allo scoppio della guerra civile.  Dalle ultime notizie il castello, riconquistato dalle truppe governative nel maggio 2014, è parzialmente distrutto al suo interno, ma le possenti mura esterne sembrano aver resistito, ancora una volta, alle follie umane.
Il krak des chevalier – millenario castello crociato – foto di M. Fichera
Palmyra era una fiorente città già nei primi secoli dopo Cristo. Qui in incrociavano i carovanieri che commerciavano tra il mondo orientale e quello occidentale, e qui tutto era bello, ricco e raffinato, come la sua affascinante regina Zenobia. Diventata regina a seguito della morte del marito nel 267 d.c., Zenobia fu una regina ambiziosa e ribelle, che cercò di creare un nuovo impero e di sfuggire al giogo dell’Impero Romano. Sfortunatamente fu sconfitta proprio a Palmyra dove, legata con catene d’oro, fu esibita come trofeo di guerra dall’imperatore Aureliano.
Il sito archeologico si trova nel mezzo di un luminoso deserto spesso sferzato dal vento. Quando la sabbia vola veloce e ricopre le persone e le cose, tutto diventa irreale, il confine tra la terra e il cielo si confonde, le distanze non si comprendono e il tempo quasi si ferma. Ma quando tutto si calma, e il cielo torna limpido e azzurro, la luce del sole è magnificamente accecante e le rovine mostrano tutto l’antico splendore della città di Zenobia.
Qui le battaglie si sono susseguite con crescente durezza nel tempo, ma dal marzo 2016 Palmyra dovrebbe essere stata sottratta definitivamente dal controllo dello stato islamico.

Sergiopoli – gregge nella tempesta di sabbia – foto di M. Fichera



Le rovine di Palmyra – foto di M. Fichera

Maaloula è – voglio pensare che esista ancora – un piccolo villaggio cristiano a nord della capitale. Costruito sul costone di una montagna, a circa 1.500 metri s.l.m., è uno dei villaggi dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù.
Mentre stavamo per raggiungere il villaggio per visitare i monasteri di Santa Tecla e di San Sergio il nostro bus si ruppe e perdemmo alcune ore in attesa di assistenza. Arrivammo così al villaggio che era quasi buio. Il paesino era illuminato da piccole luci che lo rendevano simile a un presepe, faceva freddo ma tutto era così calmo e sereno. I monaci, la ragazza che ci recitò il Padre Nostro nell’antica lingua aramaica, il villaggio intero, tutto era avvolto da pace e silenzio. Tutto era come magicamente immutato da millenni.
Il deserto tra Palmyra e Damasco – foto di M. Fichera
La Siria era, e ancora è, questo e molto di più. Un paese con una storia e una cultura immensa, un popolo con una grande umanità e fierezza, che sta attraversando un periodo buio, e che va aiutato, in attesa che le colombe tornino a volare nuovamente.

“Non so scrivere su Damasco senza che si intrecci il gelsomino sulle mie dita
Non so pronunciare il suo nome senza che sulla mia bocca si addensi il nettare dell’albicocca, del melograno, della mora e del cotogno
Non so ricordarla senza che si posino su un muretto della memoria mille colombe… e mille colombe volano.”

Nizar Qabbani – estratto da "Damasco… giubilo di acqua e gelsomini"

6 commenti:

  1. che bello...si sentono i profumi e si vedono i colori....

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  2. Articolo molto bello e interessante che ci fa riflettere su questa insensata guerra...
    Bellissime anche le foto. Complimenti!
    Patrizia e Alice

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  3. Condivido l'articolo che mi ha emozionato, grazie! Cristina Bianchi

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