!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

martedì 15 giugno 2021

Vanità

di Vincenzo Zaccone

(foto di Mimma Zuffi) 
Burn’s Green, 1956

Un bambino veste una salopette di jeans e una maglietta a righe orizzontali bianche e blu, seduto a terra su gambe chiuse a rombo, il viso nascosto dai capelli riccioluti che gli coprono le guance, dà le spalle a sua madre, mentre è incurvato, riverso a brandire e scomporre un orologio. La madre rassetta la cucina, “Cherub, ma cosa stai escogitando, così silenzioso? Andresti a chiamare fuori papà, per favore? Tra un po’ dobbiamo andare a trovare la zia Katy”, “ Ok, vado. Stavo cercando di guardare al suo interno, non riesco a capire come fanno a muoversi le lancette”, “Ma cosa vuoi capire tutto da solo a otto anni? Dai, corri a chiamare papà che si esce”; un largo sorriso rischiara il volto di  Maryon che schiocca una bacio sulla guancia del bimbo. Sean corre fuori, guarda oltre gli alberi che recintano il giardino di casa, oltre la staccionata uno dei cavalli del padre é libero e continua a marciare intorno a se stesso, come a descrivere un cerchio sul terreno. Sean lo raggiunge, suo padre deve essere lì intorno, perché è uscito per dare da mangiare ai suoi cavalli da allevamento. Giace immerso nell'erba fitta, prono, con gli occhi sgranati, iniettati di sangue, rivolti verso l'alto e un rivolo gli esce dalla bocca.



(foto di Mimma Zuffi) 
Londra, 2002

Quel venerdì di Marzo, perso tra mille altri, Sean si svegliò nel letto dell’AC Hotel di Covent Garden e mentre si nascondeva con le mani alla giornata che stava per iniziare, cercava di mettere insieme le idee in merito a cosa avesse da fare come sforzo finale della settimana, prima di avere un po’ di tempo per sé nel week end. Impugnò il telefonino e controllò che non ci fossero messaggi o mail arrivati durante la notte. La prostituta che aveva portato via con sé dal night club era ancora lì a dormire - doveva esser stato davvero sbronzo questa volta per addormentarsi con lei - era proprio crollato dopo la giornata passata in riunione con il Consiglio d'Amministrazione aziendale. Si tastò il viso come se non lo riconoscesse o potesse esser cambiato nel sonno. Certo, ben poco era rimasto di quel bambino dell’Hertfordshire: i riccioli biondi lunghi fino alle spalle erano diventati castano chiaro ed erano stati tagliati corti. Poi, quando avevano cominciato  a cadere col passar degli  anni, erano stati tagliati a zero del tutto. A quarantasei anni Sean non aveva  più capelli,  la conformazione della testa e del viso perfettamente squadrata, un collo nudo che sembrava essere un tutt’uno con il cranio e un irrigidimento costante che lo rendeva innaturale; la pelle delle guance risentiva della gravità degli anni passati, quelle rughe di espressione sulla fronte che corrugava in continuazione, quell’arcuare la punta delle ciglia in basso verso gli occhi e prendere di mira il bersaglio per fargli capire che aveva appena commesso un grosso errore. I suoi colleghi di lavoro conoscevano bene quel modo di avventarsi su chi gli stava intorno e avevano imparato a diffidare di quei grandi occhi verdi che attiravano l’attenzione. 
Sean si alzò furtivamente, fece una doccia veloce e si vestì in bagno, pronto a fiondarsi fuori dalla camera per evitare il disagio di dover parlare ancora con quell’estranea che giaceva nel letto. Poi giù in strada, pronto a incanalarsi insieme alla marea di gente che scendeva nel sottosuolo londinese:  Victoria e Jubilee line fino a Canary Wharf. Era lì, nelle Docklands, che Sean, da cinque anni, trascorreva la maggior parte della sua vita, da quando era diventato l’amministratore delegato della Natural s.p.a, l’azienda di supermercati con settantatre punti vendita nella City, che vantava un’ampia gamma di prodotti di agricoltura biologica. Sulle scale della metropolitana tirò fuori dalla tasca interna del cappotto il cellulare e controllò di nuovo la posta elettronica: erano arrivate le solite mail dei dirigenti aziendali che iniziavano a riportare gli errori di consegna presso i supermercati e  i problemi conseguenti all’inadeguato rifornimento della  merce; si fermò a comprare una copia di The Financial Times, per controllare se ci fossero notizie che potessero condizionare l’andamento dei mercati in borsa, e intanto si faceva strada nell’orda di gente che si agitava sull’indefinito di una giornata che ancora doveva trovare il suo senso. Sean, alto più della media, con il suo metro e ottantasei, la schiena dritta, le spalle larghe, memori dei corsi nella piscina comunale di Queen’s Park, si stagliava su tutti e guardava sempre a testa alta, dritto come se vedesse in maniera distinta l’obiettivo da perseguire, il tutto sottolineato da un modo di camminare che per alcuni era buffo, completamente rigido nelle gambe, così che sembrava traslarsi nello spazio anziché muoversi come il resto delle gente. Il piazzale della stazione di Canary Wharf, quella mattina di Marzo, sembrava una stanza chiusa, con quella coltre di nuvole immobili che sovrastava ogni cosa, la totale assenza di vento; un gioco di specchi correva lungo la superficie dei palazzi in vetro ammantando i negozi, le panchine, le persone e tutta l’area pedonale di quel grigio tipicamente  londinese. Sean da anni ormai era indifferente a tutto quello, incapace di farsi influenzare e anche solo di notare che non c’era luce nelle sue giornate, marciava risoluto lungo la sua strada sgombera di ogni elemento e persona superflua. “Buongiorno, Jenna”, pronunciò per abitudine rivolto alla receptionist all’ingresso dell’edificio della Natural s.p.a., “Buongiorno, signor McKeown”. Diretto verso l’ascensore per raggiungere il suo ufficio, controllò che non ci fossero nuove notifiche sul cellulare: un sms da leggere; alzò la testa per individuare la porta a cui puntare e vide comparire in corridoio, nell’angolo del suo campo visivo, James; di riflesso scrollò le spalle e le braccia con pesantezza, “Sean, scusa volev..”. “James, sono appena arrivato e ancora devo cambiarmi da ieri sera, credi di riuscire a gestire i tuoi problemi ancora per mezz’ora senza di me? Sei il mio Area Manager, dovresti occuparti di tutto tu e ricorrere a me in ultima analisi, non rincorrere me per ogni cosa! Comunque, anch'io devo  parlarti, vediamo di fare una riunione tra un'ora nel mio ufficio anche con gli altri.” “Ok, a dopo” .
Sean chiuse a chiave dietro di sé la porta, tirò ancora fuori il telefonino, era arrivato un messaggio: "Anche questo sabato vai a Dane End o riusciamo a trascorrere una giornata insieme? Non ti fare pregare!" L'sms era di Elisa che, come al solito, cercava di braccarlo appena sapeva fosse libero. Attivò la suoneria così che potesse essere reattivo a ogni trillo della giornata, lanciò il cellulare sulla scrivania e andò a cambiarsi nella cabina armadio che aveva fatto costruire nel suo ufficio qualche mese dopo esser diventato il capo di quella società, perché preferiva sempre cambiarsi prima di andare alle cene di lavoro, non sopportava arrivare lì “imperfetto”, diceva lui, con una camicia che indossava da dieci ore e una giacca che “odorava della pioggia di Londra”. Appena rivestito, si sedette alla propria scrivania, iniziò a controllare tutte le cartelle relative agli accordi commerciali, i dati di vendita dell’ultimo semestre: si stava preparando alla riunione con i suoi Area Manager. Puntuali, James, Maddy, Mary e Andrew entrarono nella stanza pronti ad ascoltare le pretese del capo che li aspettava, rigidamente seduto al tavolo delle riunioni, con l’abituale sorriso "stampato" sul  volto. “Bene, ciao a tutti, ragazzi, come va? Dobbiamo parlare di un bel po’ di cose, visto che ieri ho avuto un pomeriggio assai pesante con il Consiglio d'Amministrazione”. Subito pronta a spezzare l'atmosfera con una battuta Maddy intervenne “Ma dai, Sean, non partire così sull’offensiva, oggi è venerdì, facci arrivare al week end con l’idea del relax”. Sean sorrise compiaciuto mentre i quattro prendevano posto, ma senza tenere in considerazione il senso della battuta di Maddy, perché tra i due  esisteva il tacito assenso che ciascuno avrebbe giocato il proprio ruolo: Maddy provava a dire la sua sapendo che Sean l’avrebbe sentita ma non ascoltata e lui le sorrideva continuando a tirar dritto per la sua strada: “Il senso di parlarvi oggi è proprio quello di farvi pensare durante il week end alle strategie da intraprendere in merito al fatto che… Beh, ieri sono stato a parlare di come vogliamo intervenire sulla distribuzione per ottenere dei rapporti commerciali migliori nei prossimi mesi, così da riuscire a riservare ai nostri clienti maggiori offerte e quindi allargare l’utenza. Insomma, il punto è che, ve l'avevo già accennato vorrei riuscire a far partire entro la fine dell’anno il progetto per la produzione di una linea di prodotti che abbiano il nostro marchio, che ci consentano di aumentare notevolmente il margine di guadagno visto che la nostra azienda sarebbe al tempo stesso produttrice, distributrice e venditrice. Ovviamente i membri del Consiglio d'Amministrazione sono d’accordo con me sulla validità della proposta, ma non hanno intenzione di votare a favore e darmi l’ok finché tutte e quattro le aree di supermercati, cioè quelle che voi gestite, non sono in positivo rispetto al budget di quest’anno. E in effetti non si può pensare di tirar fuori altri soldi se parte dei guadagni serve a compensare la perdita dei supermercati dell’area sud… Quindi, nella fattispecie, ognuno di voi ha un budget di area che deve essere raggiunto sul totale di venti supermercati. Adesso io voglio sapere perché l’unica area che continua nel tempo a mantenere dei trend negativi è quella sud, cioè la tua James!”. Mentre si guardava intorno  per avere una panoramica delle espressioni dei suoi colleghi, sul finire della frase fissò gli occhi in maniera inferocita in quelli di James e attese una risposta “Sean, il motivo continuo a ripetertelo da mesi: mi hai assegnato una zona di Londra piena di extracomunitari e persone dal reddito basso, sono persone che spendono lo stretto necessario, non sprecano soldi per comprare il superfluo”. Sean reagì subito: “Tu continui a ripetermi questo  melodramma, ma io ti dico che proprio per tale motivo queste persone dovrebbero essere ben disposte a sfruttare le nostre offerte per risparmiare soldi e oltre a ciò, dalla tua area mi continuano ad arrivare feedback negativi in merito alla disposizione delle promozioni e della merce nel supermercato. Pochissimi di quelli che tu gestisci rispettano i planning stabiliti dall’azienda e la responsabilità è tua. Devi essere più presente, più incisivo, più pressante perché il lavoro venga svolto così come deciso da noi qui in azienda. Te l’ho detto più volte, eppure senza risultati. Mi viene da pensare che possa essere un tuo modo di mettermi i bastoni tra le ruote, perché sai che, alla fine, quello che risponde dei risultati con il resto dei soci sono io”. “Beh, se la metti sul piano personale, allora  anch'io posso pensare che di proposito mi hai assegnato questa area di punti vendita perché sai che è impossibile portare a casa un buon risultato; però ci tenevi che la responsabilità di questo fallimento fosse mia.” Sean si tirò indietro sulla poltrona, irrigidendo la schiena contro lo schienale: “James, qui ognuno deve fare il proprio lavoro: ti ho sempre dato carta bianca, intervieni come vuoi sul personale, passa da loro ogni settimana e controllali, fatti sentire, licenziali se è necessario e assumeremo forze lavoro nuove, fai quello che vuoi, ma ognuno di voi ha un risultato da raggiungere entro la fine del semestre e pretendo che questo venga fatto. Per la fine di quest’anno voglio avere tutti i numeri affinché il nuovo progetto possa decollare. E tant’è! Per oggi ci siamo detti tutto, credo di esser stato chiaro. Ci aggiorneremo la settimana prossima in merito alle vostre proposte. Pensateci”. I quattro manager, capita l’antifona, iniziarono a sgomberare il campo, tranne Maddy che si alzò quando gli altri avevano già lasciato l’ufficio, si avvicinò a Sean e lui “Ciao, Maddy, come stai?”, “Io ok, ma piuttosto tu, come va?”. Come al solito il suo amico, appena il tono da  professionale diventava personale, portava la mano destra sulla nuca torturandola con le nocche, come fosse sorpreso e imbarazzato dalle domande che lo riguardavano. “Anche io bene, non mi hai visto in forma in questa breve riunione?”, e sorrise ghignando. “Altro che in forma, sembrava volessi sbranare il povero James, gli stai sempre addosso; non credi di aver esagerato? Già di tuo hai un atteggiamento di chiusura nei suoi confronti, se poi vai giù così pesante gli impedisci di relazionarsi a te”. “Io non so più cosa dirgli per ottenere che lui faccia il suo lavoro e comunque penso davvero che mi stia mettendo i bastoni tra le ruote, non dimostra nessun tipo di buona intenzione, si limita ad ascoltarmi quando parlo e basta”. “Se fosse un po’ incazzato con te avrebbe anche le sue buone ragioni, è inutile che ci giriamo intorno. Sean, anni fa era lui destinato a diventare amministratore delegato, ma tu hai remato contro di lui sfruttando il fatto che fosse in crisi per il tradimento della moglie. Dovevi immaginarlo che avresti poi covato una serpe in seno, cosa ti aspetti ora, che faccia il tifo per te?”. “Ascolta, Madeleine, ho lasciato Queen’s Park per venire a Londra e arrivare esattamente dove sono oggi, continuare ad avere degli obiettivi in cui impegnarmi e raggiungerli. Se avessi voluto fare il commesso del supermercato, così come ho fatto all'inizio, avrei potuto rimanere nella campagna in cui siamo cresciuti, no? Che ci sia dovuto andare di mezzo lui non ci posso fare nulla, ho solo trovato un modo per avere quel che volevo. E poi non mi pare che i miei modi non abbiamo trovato il tuo consenso, se sei riuscita a trovare la bella vita anche tu qui nella City è anche perché io ho avuto questo ruolo sei anni fa e ti ho fatta crescere in azienda.” Madeleine si sentì ferita da quel voler puntare il dito su di lei per levarsi dal centro del  mirino “ Come al solito trovi il modo di rigirare le cose che ti dicono come vuoi. Io volevo solo farti riflettere sul fatto che questo modo di comportarti può essere controproducente. Del resto, fai un po’ come ti pare”. Poi, cercando di ritrovare un sodalizio con il suo vicino di casa di tanti anni prima gli disse: “Quando eravamo bambini tua madre ti chiamava Cherub per i tuoi capelli biondi e gli occhi verdi, sembravi un putto di marmo quando giocavamo in giardino; dovevo capirlo che presto avresti rasato quei ricci e cambiato la tua apparenza… a proposito, ci vai anche questo week end?”. “ Sai che devo”. “ Lo capisco, ma non vivere anche questa cosa come fosse un dovere, mi raccomando”. Sorrise a Sean e uscì dall’ufficio. Lui consultò l’agenda sul suo telefonino, diede un’occhiata alle nuove notifiche di mail ricevute, poi sprofondò nella poltrona della sua scrivania e rispose al messaggio di Elisa “ Già sai che domani ci andrò. Ti va di cenare insieme al White Palace, stasera alle 21? Un bacio”.
“Buon week end Jenna, ci vediamo lunedì”, Sean spalancò la porta di vetro che lo separava dal resto del mondo, scese le scale per andare a prendere il taxi che aveva prenotato per le 20.30 e si abbracciò nel tentativo di tenere il cappotto chiuso al vento che si era levato quella sera, in quell’ansa del Tamigi, mentre socchiudeva gli occhi per impedire alla solita pioggia di bagnargli la vista, e si diresse al ristorante in Blackfriars Road. Elisa lo aspettava seduta al tavolo che aveva prenotato nel pomeriggio, lo attendeva con il sorriso sorpreso di chi non si aspettava di vederlo materializzarsi: “Ehi, ciao!” disse e si protese verso di lui per un bacio, i suoi lunghi capelli gli accarezzarono le guance e il collo, il suo profumo di Dior e il vestito leggero e scollato nonostante il freddo di quella stagione, lo convinsero che quella sera si era fatta bella solo per lui e non per se stessa. Si sedettero e ordinarono l’antipasto e un primo, mentre Sean le raccontò tutto quello che era successo nei dieci giorni in cui non si erano visti – un’eccezione rispetto alla loro regola che prevedeva almeno due volte a settimana – ma lui aveva anche dovuto partire per lavoro e come al solito gli impegni avevano avuto la precedenza sulla sua vita privata; le parlò delle sue riunione degli ultimi giorni, della chiacchierata-scontro con Maddy, del fatto di dover trovare il modo di annientare James per non avere più problemi. Come sempre aveva impegnato gran parte del tempo della cena nel cercare di riassumere e risolvere a voce alta le questioni relative alla sua vita lavorativa,  quando poi passò finalmente la palla a Elisa, affondò la mano nel tasca interna del cappotto per controllare ancora una volta il cellulare; solo dopo fu disposto ad ascoltare. Elisa, quando arrivava alla fine dei suoi soliloqui, si sentiva sempre a disagio a parlare dei suoi allievi delle scuole elementari, dello stress soprattutto emotivo che le procurava gestire determinate situazioni in classe e poi, soprattutto, percepiva dagli sguardi di Sean che si perdevano chissà dove, dalle poche domande che lui faceva, dai suoi commenti concilianti, che le reputava essere ben poca cosa su cui perdersi in discorsi. Era l’ennesima cena in cui il canovaccio rispettava sempre le stesse regole e lei iniziava a sentire che ne aveva abbastanza, ma comunque ci provò. “Ma… sei sempre convinto che domani sia necessario andare da solo nel West End?”. Sean rispose prima con uno sguardo incredulo, poi “Certo che è necessario, perché non dovrei farlo?”. “Perché continui ad andare ogni sabato, non c’è week end in cui rimandi per fare qualcosa di tuo, sebbene tu sappia che è del tutto inutile!”; il suo fidanzato piantò i gomiti sul tavolo, iniziando ad accompagnare, con tono alterato, le sue parole con un indice che non puntava dritto a lei, ma comunque dimostrava di volerla far tacere: “ Elisa, prova un po’ a dire le cose come stanno senza tanti giri di parole, in realtà quando ti riferisci a qualcosa di mio, fai riferimento a noi, quindi a te! Il fatto che sia inutile andare lì lascialo per favore stabilire a me, visto che è una cosa del tutto personale, e poi quando abbiamo iniziato a conoscerci ti ho parlato di questa cosa, sai quanto sia importante per me e che non rinuncio a trascorrere lì ai miei sabati, quindi non capisco perché periodicamente devi sollevare la questione”. “ Certo che mi viene da sollevare la questione, perché mi piacerebbe che considerassi come una cosa personale anche il fatto che io e te ci frequentiamo da sette mesi e non passiamo mai dei week end insieme via, lontano, da qualche parte, per trovare uno spazio nostro al di fuori di un ristorante, di un cinema o di questa città. Questa volta è da dieci giorni che non ci vediamo, veniamo qui per stare insieme e mi sembra di essere entrata nel tuo ufficio a fare il pubblico esterno che assiste allo spettacolo del tuo lavoro. Oggi ti avevo già chiesto di stare insieme questo sabato, tu mi hai risposto picche o comunque stasera ho riprovato facendo finta di niente e tutto quello che trovi da dirmi è che in pratica la cosa non mi deve riguardare!”, Elisa si guardò intorno nel ristorante come se dovesse trovare un suggerimento su come dovesse comportarsi a quel punto, ma in realtà già sapeva cosa doveva fare. Guardò di sfuggita Sean, poi abbassò lo sguardo, prese il cappotto dalla sedia sulla quale l’aveva appoggiato e gli disse: “Non ho alcuna voglia di venire a dormire da te, stanotte. Facciamo che ci si rivedrà quando troverai la voglia, l’intenzione e anche il modo di stare con me”. Si buttò sulle spalle il mantello di velluto e con lunghi passi se ne andò.
Il pomeriggio seguente, Sean si lasciava alle spalle la porta d’ingresso di Wandering House, si avvicinò alla portiera dell’auto e per un attimo si fermò a fissare il riflesso delle finestre sul parabrezza, sperando in una qualche forma di saluto, in un cenno al di là del vetro. Qualcosa che non sarebbe mai più arrivato, lo sapeva bene, ma non gli importava: sentiva comunque il bisogno di continuare a tornare in quel giardino inglese.
Quel week end passò velocemente e poi i giorni, le settimane. Elisa non si fece più sentire, ma Sean provava del rancore nei suoi confronti, perché secondo lui sbagliava a mettere davanti a una questione che non si sforzava di capire i suoi sentimenti egoistici di persona ferita e, anche in quella situazione, Sean pensò bene di non cercarla finché lei non avesse razionalizzato e stemperato le sue emozioni. Il lavoro condizionava i suoi umori e le giornate sempre più, ma Sean aveva ben presente che non poteva abbassare la guardia perché l’obiettivo finale era ancora lontano… e poi, quel pomeriggio di Marzo, subito dopo una videochiamata per un contratto di collaborazione pubblicitaria, Sean controllò, così come la sua compulsione lo spingeva a fare sempre più spesso, la lista delle chiamate perse e vi trovò il numero di Wandering House. Senza nemmeno pensare o darsi il tempo di preoccuparsi e sentirsi raggelato, richiamò il numero e attese che qualcuno rispondesse dall’altra parte, “Ah, salve! Sono il sig. McKeown, chiamo perché ho ricevuto poco fa una vostra chiamata, ma non sono riuscito a rispondere”, una voce giovane di donna, incupita, disse “ Sig. McKeown, abbiamo provato a contattarla per dirle che sua madre è deceduta in tarda mattinata. Ormai l’Alzheimer aveva raggiunto uno stadio di notevole degenerazione come lei ha potuto notare lo scorso sabato e oggi la signora non è riuscita a superare l’ennesima crisi respiratoria. Ci spiace”. Quel pomeriggio Sean andò a casa, dicendo agli Area Manager di non sapere quando sarebbe rientrato a lavoro, che per qualche tempo dovevano trovare il modo di sostituirlo, perché non voleva essere disturbato.
Maddy aspettò qualche giorno, poi provò a chiamarlo di sera, dopo aver finito di lavorare e tutto quello che ottenne fu un messaggio il giorno dopo in cui Sean le diceva che voleva stare da solo, di non farsi viva. Ma Maddy era preoccupata: nonostante la gravità di quanto successo non riusciva a riconoscere il suo amico in quel battere la ritirata ed eclissarsi completamente. Nei momenti più difficili del passato aveva sempre reagito con energia al dolore, cercando di spegnerlo nella vita di tutti i giorni, lasciando che il tempo facesse la sua parte. Trascorsi otto giorni, un pomeriggio uscì prima dal lavoro e andò a casa sua in Carmelite Street, citofonò e capì che lui la stava guardando al videocitofono, ma non parlava, “Fammi venire su, Sean, per favore”. Sentì il portone aprirsi e salì all’ottavo piano, dove Sean aveva un attico. Il lato della casa che s'affacciava sul Tamigi, il salone, era costituito da un’enorme parete di vetro, dalla quale filtrava la luce spenta del cielo londinese, attutita a sua volta dai drappi di una tenda color ghiaccio. Tutto l'appartamento era arredato in stile moderno, carico di spigoli, mensole, mobili delle tonalità del nero, del bianco e dell’acciaio; sembrava un mondo cristallizzato nell’attimo prima di essere distrutto. Non si sentiva alcun tipo di rumore e Sean era seduto sul suo divano di pelle nera, avvolto nella vestaglia da casa e guardava con occhi vitrei la sua vecchia vicina di casa. “Perché sei venuta?”. “Sean, mi spiace molto per Maryon, ho molti ricordi legati a lei e a voi due insieme, quando stavamo a Burn’s Green.. Ma tu come stai? Sei sparito, non hai nemmeno scritto una mail per sapere come stesse andando in ufficio.. Non che dovessi farlo, però conoscendoti la cosa mi ha sorpreso molto”. “Non tornerò più in ufficio”. Maddy sgranò gli occhi nell’impossibilità di capire cosa stesse succedendo e chi avesse di fronte a sé, cercò di non drammatizzare, anche se le parole di Sean e il suo tono come al solito erano chiari e decisi. Provò a mettere insieme un po’ di calma, si sedette alla poltrona vicino al divano e parlò con voce pacata: “Sean, so che la perdita di tua madre ha un peso rilevante su di te, ma da anni era malata di Alzheimer, pian piano le cose sono andate sempre peggiorando, ormai erano diversi mesi che quando andavi a trovarla al sabato era sempre più assente; beh, quello che intendo dire è che eri già pronto a questa perdita,  perché la stai vivendo così male?”, lui la guardò freddamente, con distacco, per farle percepire quanto fosse lontana dalla situazione che stava vivendo lui e le rispose: “La cosa  che non sopporto non è la morte di mia madre.. quello che proprio non riesco a levarmi da dosso..” un singhiozzo ruppe le parole di Sean in un pianto che prontamente soffocò alzandosi in piedi, emettendo un grido di rabbia e scagliandosi contro la tenda, la afferrò con forza e la strappò buttandola a terra, poi si girò verso Maddy con gli occhi ancora infuocati “... è che ho tutto questo,  vedi, tutto quello che volevo è ai miei piedi..”, Londra si stagliava oltre il parapetto del suo terrazzo con il Tamigi colmo di traghetti, navi merci, di turisti che ne percorrevano i ponti, il National Theatre, il London Eye “.. E non so cosa farmene!”. Sean si calmò e cadde seduto sul divano, pian piano tornò in sé e confidò a Maddy “Quando l’ictus stroncò mio padre io avevo solo otto anni e mia madre ci mise un bel po’ a riprendersi. Intanto per sostentarci iniziò a vendere i cavalli di papà, ma non sapeva da dove partire con la gestione economica della casa, mia madre era una donna molto semplice, che si era sempre occupata di essere una casalinga e una moglie, ritrovarsi in quella situazione è stato un brutto colpo per lei. Con il tempo iniziò a reagire e intanto io crescevo e lei viveva con l’ansia di non dovermi far mancare nulla, che io non avessi niente in meno degli altri e per questo lavorava da mattina a sera tardi, come donna delle pulizie, cameriera, baby sitter.. c’erano sere in cui cercavo di farle trovare qualcosa da mangiare pronto e poi dovevo metterla a letto, perché era troppo stanca. Senza dubbio il morbo d’Alzheimer era nel suo destino, ma sono convinto che il peso di quegli anni, la mancanza di mio padre, il fatto di essere divisa tra l’amore per me e la frustrazione per quello che non riusciva a darmi, tutto questo l’ha consumata precocemente e quando io avevo vent'anni la sua demenza era già cominciata, non ricordava più le cose, aveva problemi a muoversi, continuare a fare quei lavori pesanti iniziò a essere un problema per lei. Lì capii che era arrivato il momento di fare la mia parte, che dovevo essere io a occuparmi di lei e non farle mancare nulla. Ho iniziato a lavorare in paese, ma le possibilità erano troppo limitate e quando razionalizzai che presto o tardi avrei dovuto trovare qualcuno che si occupasse di lei a tempo pieno, decisi di venire a Londra e qui inizia, più o meno consciamente, la mia scalata fino ad oggi. Perché da una parte volevo far percepire a mia madre che non aveva nulla di cui preoccuparsi, che doveva solo pensare a stare tranquilla, dall’altra volevo essere il suo premio, volevo dimostrarle che ero riuscito a buttarmi alle spalle la penuria degli anni passati e che lo avevo fatto per tutti e due. Mi rendo conto solo adesso che per tutto questo tempo sono andato avanti a occuparmi solo di lei. Anche nell’ultimo periodo, quando ormai non mi riconosceva più, per me era importante andare a trovarla, parlarle della mia vita, chiederle cosa facesse nel suo quotidiano, leggerle un libro. Ero pago del nostro stretto rapporto e non mi sono accorto che nulla stavo facendo per me da un punto di vista strettamente personale, umano; sono rimasto legato a lei e ho continuato a vivere in funzione del nostro rapporto. Adesso che non c’è più, mi rendo conto, che queste cose non hanno valore per me; in questi giorni mi son sentito svuotato, perduto, oppresso dalla sensazione di non voler più tutto questo. Ho quasi cinquant'anni e al di là della mia agiatezza e del mio prestigio professionale, non ho costruito niente che faccia capo a quei desideri che ho deciso di non ascoltare più da diverso tempo fa, in luogo di quello che poteva rappresentare il benessere e un riscatto per mia madre. Ora è finito tutto, sparito come acqua nella sabbia”. Maddy era attonita per quel fiume di parole che l’avevano investita e trascinata in una valle di amarezze e gli chiese: “Ma adesso cosa hai intenzione di fare?”. “Voglio licenziarmi, vendere tutto e tornare di nuovo in campagna, lontano da questo caos, ad ascoltarmi e provare a vedere se inizio a sentire qualcosa. Aprirò un negozietto, perché almeno di quello saprò occuparmi e mi aiuterà a inserirmi nel nuovo contesto”, sorrise senza convinzione lanciando un’occhiata a Maddy e lei: “Ma credi che Elisa sia disposta a seguirti?”, “Con lei è finita. Già da qualche settimana. Credo di non aver mai permesso a nessun’altra donna di prendere il posto di mia madre e anche lei alla fine lo ha capito”. Madeleine appoggiò una mano sicura sulla nuca di Sean. “Dai, aver capito tutto questo è sufficiente a permetterti di ricominciare e questa volta assecondando i tuoi desideri. Riparti da zero, ma ce la farai”. Sean abbassò lo sguardo, “Sono morto quel giorno con mio padre. Non so cosa è rimasto”.

(pubblicato con l'autorizzazione dell'autore)

Nessun commento:

Posta un commento