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martedì 27 maggio 2014

Ci è o ci fa? Lars v()n Trier

recensione di Vincenzo Zaccone


Ho aspettato in silenzio, atteso che fosse il momento giusto per sentire il parere degli altri. Che poi sono chiunque voglia leggere questo articolo. Perché, lo ammetto da subito, alla base di quello che scrivo c'è della disonestà intellettuale, quella che nasce dal fatto di “conoscere già il soggetto”, e mi riferisco a Lars von Trier, e da quella di aver visto solo la prima parte del suo ultimo film, Nymphomaniac, e aver deciso che non valesse la pena dedicare altre tre ore della propria vita a una pellicola del genere e al suo autore. 
La locandina del film...molto ingenua...



Nulla di moralistico, intendiamoci, niente che abbia a che fare con i falli che in primo piano penetrano la bocca della protagonista diciassettenne, né con la nudità gratuita, né con l'iterazione di atti sessuali fini a se stessi. Anzi: l'unica cosa davvero apprezzabile credo sia stata mettere sullo schermo la sessualità della pubertà, quindi avere il coraggio di mostrare bambine in atteggiamenti che rasentano l'omoerotismo e che, tra un gioco adolescenziale e l'altro, si chiudono in bagno per strusciare il clitoride contro il pavimento per provare i primi piaceri. Ecco, questo l'ho trovato onesto. Ma per il resto, mi è parso di assistere per un tempo considerevole (ben 110 minuti) a un'opera sciatta. Che punta a vendersi, e a svendersi (e non c'è nulla di male in questo), con la pretesa di apparire brillante.
L'atmosfera è quella imposta dai canoni del Dogma 95, cioè visitata solo da luci naturali, con poche musiche, nessun effetto speciale, nessun artificio di registrazione o montaggio. E semplicemente accade che tale Seligman (Stellan Skarsgård) trovi sdraiata a terra, priva di conoscenza, Joe (Charlotte Gainsbourg). La ragazza appare ferita e viene destata dall'anziano signore che la esorta a chiamare un'ambulanza perché bisognosa di cure; ma Joe insiste perché la lasci stare e, alla fine, il compromesso è che lei accetti di essere ospitata a casa del suo soccorritore. Subito dopo inizia il delirio: Joe si sveglia nella casa di un uomo che vive solo, con tanto di pigiama femminile (alla faccia dell'amore per la naturalezza ci si chiede dove lo abbia trovato in casa di un anziano… Casualità?) e inizia a dichiarare in maniera gratuita di essere una brutta persona, di aver commesso cose orribili e di meritare ciò che le è successo. Cosicché Seligman la esorta a rivelare i motivi delle sue convinzioni; è a questo punto che Joe gli confida che per farlo deve raccontargli tutta la sua storia, fin dai primi sintomi della sua ninfomania: inizia così un racconto in cui, a partire dall’adolescenza, descrive la sua scoperta del sesso, la complicità con l'amica di giochi e poi con la compagna di scuola, con la quale comincia a sfidarsi in gare tipo “chi riesce a scopare con più gente su un treno in viaggio vince questo sacchetto di caramelle”. E questi racconti non solo si dipanano in scioltezza con un perfetto sconosciuto, ma si destreggiano tra un dettaglio e l'altro e da un rapporto sessuale all'altro. Alla faccia del mostrare la storia come possibile! Anche perché un racconto del genere potrebbe essere giustificato se il soggetto che racconta, Joe, si mostrasse evidentemente in preda a confusione o disperazione, tali per cui si imponga dirompente l'esigenza di sfogarsi con qualcuno. Ma Charlotte Gainsbourg parla di queste vicende con estrema disinvoltura, distacco e, in definitiva, come se stesse leggendo gli ingredienti sul retro di un pacco di patatine. E si potrebbe pensare che certamente si vuole mettere in mostra tale distacco proprio come atteggiamento portante di Joe, ragazzina e ormai donna, ma in realtà, anche in questa probabilità, non si capisce questa esigenza di parlare delle minuzie della propria vita. Se ne è turbata e si sente in colpa, perché parlarne a uno sconosciuto? Se invece si è dissociati emotivamente dalla questione... Beh, la domanda è sempre la stessa... Per rendere un piacere al signor Seligman, forse? Non si sa, magari questo aspetto è stato poi chiarito nel secondo volume.
Intanto, tra una scopata (il termine, scusate, ci sta tutto) e un rapporto orale, il buon Seligman, che cerca di analizzare la donna, facendo in un colpo solo da mentore e da psicoterapeuta, offre dei parallelismi di alto profilo culturale, paragonando le avventure dell'infelice a quella della pesca con la mosca e la sequenza di Fibonacci e, ancora, Johann Sebastian Bach! E, attenzione, per facilitare l'apprendimento didattico dello spettatore, e forse costruire un parallelo con quello di Joe, le scene vengono inframmezzate con grafici, animazioni, immagini di animali in stile documentario naturalistico. E in tutto questo, al di là del fatto che la cosa possa piacere o meno (ma è solo questione estetica), tali esemplificazioni appaiono, a chi è seduto in poltrona e ha pagato il biglietto, non come mezzi per far recepire meglio il messaggio, ma come modi posticci di additare qualcosa di intellettualmente impegnato e sciorinare informazioni colte, come se si volesse costruire una chiesa barocca intorno a fuoco di paglia. Ovvero esercizi arbitrari, falso intellettualismo privo di consistenza sia nella forma sia nel contenuto, nozionismo attaccato a concetti banali per fare sembrare l'oggetto trattato più brillante di quello che è. Come il discorso di Seligman, filosofico-sociologico, sul suo modo di dividere le persone tra quelle che “iniziano a tagliarsi le unghie delle mani partendo dalla destra e quelli che invece partono dalla sinistra”. E la cosa divertente avviene fuori dallo schermo, non al suo interno: questa teoria può essere anche psicologicamente indice di qualcosa, ma la tesi viene enunciata con convinzione e serietà dal protagonista, come se chi ascolta dovesse considerare acuta un'osservazione del genere... Ma allora, perché non dividere il mondo tra chi accelera a semaforo giallo e chi invece frena? Tutto vale, a questo punto. Inoltre, il personaggio di Joe in qualche occasione dovrebbe ricoprire il ruolo della “stronza”, attraverso qualche battuta da autocentrata che non sente le esigenze di chi le sta intorno. In realtà la protagonista non appare così; anzi, subisce passivamente diverse situazioni, compresi gli imprevisti derivanti dalla sua promiscuità, come, per esempio, nella scena in cui una fantastica Uma Thurman invade la sua casa con al seguito i bambini, dando sfogo alla propria isteria.
Insomma, non solo questo film non va da nessuna parte, ma l'impressione è che Lars von Trier si dedichi davvero solo a creare dei contenuti che facciano colpo, attaccandoci sopra dotti riferimenti che abbelliscano la storia e i personaggi, conferendogli una parvenza di intellettualismo che non sta in piedi. E quindi la questione gira intorno all'intenzione, più o meno studiata, di farcire le pellicole di contenuti fini a se stessi, che rimangono attaccati a una struttura spenta, che non vivono né di per sé, né nella resa attoriale o registica. In Nymphomaniac è innegabile la consapevolezza di creare attesa e curiosità: la storia di una ninfomane che parla nel film solo delle sue avventure sessuali in scene con controfigure provenienti dal cinema porno, con penetrazioni in primo piano, non può non attirare le pruderie di un ampia fetta di pubblico. E poi la durata infinita della pellicola, la suddivisione in due volumi, i tagli alle scene non decisi da von Trier ma da lui approvati. Tutto ciò non poteva che creare attenzione e chiacchiericcio già da molto prima che il film uscisse nelle sale. Ed è ciò che è accaduto. Improbabile che il regista non lo sapesse, lui che cerca in ogni suo progetto un sensazionalismo a fondo cieco, che molto probabilmente fa parte del suo modo di essere. Prove di ciò le ha date quando, in passato, si è dato a gesti pubblici inconsulti o ha rilasciato dichiarazioni fuori luogo, definendosi nazista, parlando della razza ariana e della sua capacità “di fare le cose su larga scala”. Poi ha ritrattato tutto; di sicuro anche per questioni pubblicitarie, ma resta l'impressione che si tratti di una persona che sente intimamente l'esigenza di esagerare. Dove eccedere è già il fine ultimo da perseguire. Fatto sta che ci consegna opere vuote, perché mancanti di un messaggio reale e di un sentimento comunicato, fatto percepire oltre lo schermo. Insomma sembra che Lars von Trier ci fa perché ci è e il suo scopo è il clamore.
Questo ho visto nella sua ultima opera, così come nelle precedenti: un buon bagaglio culturale e intellettivo, mai dissociato dalla sfrontatezza. Non che la cosa sia sbagliata di per sé, solo carica il cinema di Lars von Trier di un eccesso che non giustifica né la storia, né il profilo psicologico dei personaggi e dunque appare fittizio, svilente.
Parlo ovviamente da fruitore della sua opera, da persona qualsiasi che decide di dedicare del tempo a un film sperando sia un investimento e non una presa in giro ben organizzata.
Infine chiedo: anche chi ha visto il volume II ha avuto l'impressione che nel film non ci sia un protagonista reale, sensazionalismo a parte?

La questione è aperta... a voi che ci seguite!

9 commenti:

  1. Trovo che la tua analisi sia più bella del film stesso...lo dico senza moralismi.

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  2. Bella e acuta analisi di un brutto film

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  3. Film orrendo, scene gratuite, come se i quattordicenni (ai quali è vietato) non potessero vederlo in streaming!!! Ben fatta la tua recensione. Complimenti!

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  4. Sono contento vi sia piaciuto il pezzo! Grazie mille dei commenti, sia ai lettori diurni che a quelli notturni :)
    Vincenzo

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  5. mi piace il tuo stile così personale e brillante e il tuo modo di dissacrare un regista fin troppo esaltato.

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    1. Grazie del bel commento, Tiziana!
      A presto
      Vincenzo

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  6. Hai ben saputo "distruggere" un film (e un regista). I critici, quelli dei giornali, tanto per capirci, dovrebbero leggere il tuo commento e...forse anche imparare. Ottimo lavoro.
    Elena

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    1. Che commento entusiasmante! Grazie davvero, Elena.
      Énchanté

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  7. Ho visto anche il volume II e nel complesso un film che non mi é piaciuto. Lei è riuscito a spiegarmene alcune ragioni. Complimenti Zaccone, lei è persona coraggiosa, immagino che lo sia anche nella vita e non solo sulla carta,chissà. Cordiali saluti

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