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domenica 4 maggio 2025

Io non sono la vostra colpa

 


Heiko H. Caimi

 

Mi chiamava così: Cumcetta.

Come fossi un contenitore da riempire. Un nome spezzato e incollato con lo sperma e il disprezzo.

All’inizio erano solo commenti. Risate nei messaggi privati. Link a forum in cui si parlava di donne come me: egoiste, calcolatrici, ipergamiche – parola che non avevo mai sentito prima.

Poi ho capito: era una scienza mutata, distorta, usata contro di me. La biologia trasformata in condanna.


Scelgono i maschi alfa, diceva.

Io no.

Io ero troppo buona, troppo visibile. E avevo detto no.

Il sesso è un diritto. Ti credi speciale?

Mi pedinava, lo so. Anche se non l’ho mai visto.

Lo sentivo nel rumore delle notifiche, nel modo in cui le mail spuntavano con parole identiche a quelle lette su Reddit.

Era come se la rete fosse diventata un alveare tossico. E io l’ape regina da distruggere.

Diceva che ero parte del complotto. Che il femminismo aveva rovinato tutto. Che avevo scelto il mio ruolo da puttana liberata. Che ero una provocazione. Una minaccia personale. Un affronto.

Aveva una grammatica sua. Fatta di pillole rosse, di risvegli distorti, di teorie da bunker mentale.

Diceva che ero sleale. Che non avevo mantenuto il patto.

Ma io non ho firmato niente. Nessun contratto con il patriarcato.

Solo i belli, i ricchi, i dominanti. Gli altri, li disprezzate.

Parlava al plurale: “Voi donne”. “Voi tutte”.

Come se fossimo una massa informe. E io un pixel su cui concentrarsi. Un bersaglio per la sua lente deformante.

La sua rabbia aveva punte invisibili. Non si tagliava la pelle, ma l’aria.

Mi sentivo osservata anche nei pensieri.

Ti credi libera? Nessuna è libera.

Aveva 23 anni, ho scoperto poi.

Disoccupato.

Online per 18 ore al giorno.

Scriveva in incognito, ma lasciava tracce. Piccoli errori. Dettagli che combaciavano. Un lessico. Un odio inconfondibile. Come un odore: rancido, dolciastro.

Diceva che non era stalking. Era giustizia.

Diceva che il mio rifiuto era una colpa. E una colpa va punita.

Non dormivo più. Avevo paura del suono delle parole. Anche quelle dette per caso, anche quelle innocue.

Avevo paura delle facce online. Di ogni notifica. Di ogni sguardo.

Diceva che mi avrebbe spezzata. Che avrei capito. Che avrei chiesto scusa.

E invece scrivo.

Scrivo con la voce rotta ma ferma.

Perché la guerra fredda tra sessi è un’illusione.

Perché l’amore non è dovuto.

Perché io non sono un diritto da esigere.

Io non sono la vostra colpa.

1 commento:

  1. Molto bello ed espressivo. Esprime nello stile e nell’immediatezza delle parole violenza (quella subita da Concetta) e rabbia (quella di Concetta). O, almeno, questo è quello che mi è arrivato
    Grazie

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