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lunedì 16 gennaio 2017

"Allied", di Robert Zemeckis

(recensione di Stefania Mignoli)

Marocco, 1942: la spia canadese Max Vatan (Brad Pitt) e la francese Marianne Beauséjour (Marion Cottilard) sono complici in una delicata missione in cui devono fingere di essere marito e moglie. Riescono a portarla a termine con successo e scelgono di proseguire insieme la loro strada, fino a Londra. Ma la guerra mette a dura prova il loro rapporto.

Ci sono film che raccontano una storia, più o meno bene. Se dovessi giudicare Allied sulla base di questo criterio, devo ammettere che per tre quarti del film ho pensato: - Questa scena è “finta”!, quanta “patina” in questo film!  Quanto sei scontato nel riproporre alcune scene clou di genere (scopare durante una tempesta di  sabbia, dare alla luce un figlio sotto le bombe)! Perché è tutto così freddo e desaturato, ostentatamente finto!? Confesso che sono anche scesa nel turbine del sentimento,  chiedendomi, da gran pettegola, se tra i due protagonisti  fosse nata veramente una storia e  rispondendomi da sola:  - No, tutta una montatura per vendere il film, perché qua è tutto finto, altro che eros e sguardi friccicarelli…

Però, a tre quarti del film, davanti a uno specchio, mi sono accorta che avevo davanti un film che non era né “storico”, né un thriller e neanche il tentativo maldestro di una sontuosa americanata che ricostruisce un episodio delle seconda guerra Mondiale facendo il verso a Casablanca: è stato chiarissimo che davanti a me avevo un film di Zemeckis (quello di Forrest Gump, di Contact, di Cast Away, di Ritorno al futuro e di Alla ricerca della pietra verde – per citarne solo alcuni) e che quel senso di “finto” era una perfetta costruzione di finzione.

Allied è un film che descrive  traiettorie, che si interroga sulla messa in scena, che cerca di studiare il confine tra realtà e verità, che insomma fa del racconto un sottotesto imprescindibile, dando alla pellicola una “densità” speculativa avvolgente, capace infine  di portare anche ad una forte emozione.
Odio fare spoiler in una recensione, ma per anni – i miei più belli - curavo il dibattito introduttivo di alcuni cineforum e quindi lasciatemi dire: se andrete a vedere questo film, studiate la teoria degli specchi, tenete a mente tutte le traiettorie del racconto, fate caso agli incroci, notate quanto le immagini vi portino a definire un “al di qua e un al di là” delle cose, pensate in cinemascope, a come si vedono le cose attraverso il lunotto di una macchina e in particolare, fate caso alla scena iniziale, l’approdo sulla duna di sabbia che divide l’orizzonte è l’epifenomeno di quello che andrete poi a costruire con lo sguardo lungo il film.

Cibatevi del piacere degli occhi, delle teorie di sguardi, elementi  che alla fine diventeranno il tramite inconsapevole che vi porterà a entrare nella storia con un sacco di “strumenti” utili per analizzarla fino e in fondo.

E decidere se “amare” (il cinema), o “amarla”  (Marianne) anche voi, come me e come Max.
Perché i veri alleati, nel film, sono lo spettatore e il demiurgo, che muove i suoi attori in uno spazio dell’immaginario e conduce il protagonista sul filo del dubbio. Ave Zemeckis. E grazie, che ancora una volta ci hai insegnato di come il cinema sia sempre un racconto in prospettiva, proprio come la vita.

Per i cinefili, un’ultima strizzata d’occhio e il richiamo: “suonala ancora Sam!” in versione francese (quanto sei malandrino Zemeckis…questo è il commento per chi il film lo avrà già visto).

Credit:
Regia: Robert Zemeckis, con: Brad Pitt, Marion Cotillard, Lizzy Caplan, Matthew Goode, Raffey Cassidy,Charlotte Hope, Jared Harris, Marion Bailey.
Sceneggiatura: Steven Knight; Fotografia: Don Burgess; Montaggio: Mick Audsley, Jeremiah O'Driscoll; Musiche: Alan Silvestri; Produzione: GK Films, Paramount Pictures; Distribuzione: Universal Pictures Italy.

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