(di Luigi Giannacchi)
“La maggior parte degli uomini non ha paura di
avere un’opinione errata, bensì di averne una
da soli”. Riprendo questa frase di S. Kierkegard per constatare come sia
difficile avere e sostenere una voce fuori dal coro, esprimere un’opinione
critica nei riguardi della società circostante, quella società dei consumi che
Pasolini in maniera profetica aveva intuito essere potenzialmente pericolosa.
Quella società era immersa nel benessere degli anni ’70 con l’arrivo degli
elettrodomestici e con la rivendicazione dei diritti civili. In cambio di
alcune libertà e di uno stile di vita migliore il consumatore medio è divenuto
conformista ed edonista. In parte mi riconosco come boomer in questo
personaggio che ha cercato di preordinare tutto intorno a sé con una spietata
razionalità, rimanendo impigliato nelle spire del consumismo. Se da un lato il
materialismo più sfrenato ci ha portato a pensare che potevamo fare a meno
della spiritualità insita in ciascuno di noi poi ci siamo ritrovati a ricercare
il piacere nel credere di poter comprare qualunque cosa con il denaro. Tutto ha un prezzo. Perfino la vita umana?
Negli anni ’70 la Ford aveva prodotto un’auto
con un mercato potenziale di undici milioni di compratori, ma con un difetto di
fabbricazione che poteva comportare l’incendio della macchina per un semplice
urto del paraurti sul serbatoio della benzina. Un semplice calcolo
costi-benefici, descritto in un articolo di M. Dowie (per altro vincitore del
premio Pulitzer nel 1977), fece decidere ai vertici della Ford che era più
conveniente risarcire la morte di 180 conducenti e altrettanti feriti (stima di
200.000 dollari per ogni vita umana) piuttosto che sostituire il prezzo
difettoso di ogni macchina. Pensavo che la vita fosse un bene dal valore
inestimabile, ma evidentemente non è così. Non lo è oggi come non lo era in
passato.
Nel Medioevo il valore della vita umana era
infimo: la vita terrena era considerata inferiore rispetto alla vita dopo la
morte, solo nell’aldilà si raggiungeva la verità e la perfezione avvicinandosi
a Dio, anche se la ricerca dei segni misterici era costante, così come la
volontà di rappresentare alcuni di questi simboli nell’architettura dei
monasteri. La paura dell’Inferno e della fine del mondo spingevano a cercare i
significati allegorici nella lettura del mondo attraverso i libri, ma anche
attraverso le piante. La lotta fra il bene ed il male era perseguita per tutta
la vita, a volte confusa con l’appartenenza al partito dei guelfi o dei
ghibellini. Perfino la malattia fisica era considerata espressione di una
malattia spirituale: la guarigione del corpo andava di pari passo con la
guarigione dell’anima. Il denaro era considerato lo sterco del diavolo, ma nel
caso qualcuno deliberatamente avesse violato le leggi della proprietà privata
il furto era sanzionato. Viceversa l’atto di violenza più terribile al mondo,
l’omicidio, si verificava molto più frequentemente di adesso ed era consentita
la vendetta privata, pur di ricomporre la convivenza sociale che era stata
infranta con la violenza, anzi era quasi un dovere per la famiglia che aveva
subito la morte di uno dei suoi componenti. In alternativa si poteva pagare un
risarcimento per salvare l’onore della parte lesa. Secondo la legge salica dei
Franchi un uomo libero valeva 200 soldi, un fedele vassallo franco del re
valeva tre volte di più, ma se si trattava di un semplice proprietario romano
100 soldi erano sufficienti.
Siamo gli eredi storici di una cultura
medioevale che aveva portato a giustificare le violenze perpetrate con le
Crociate in Terra Santa. Lo storico inglese P. Partner nel suo “God of battles:
holy wars of Christianity and Islam” evidenziava come “certi atteggiamenti
mentali cristiani, ritenuti da tempo sepolti, sono in grado di esercitare nella
nostra visione delle cose un’influenza maggiore di quanto immaginiamo”. In una
società teocratica ed ierocratica, dove le autorità religiose e civili si
equivalgono e si sovrappongono, viene promossa la guerra santa in nome della
verità, concedendo indulgenze e promesse per l’aldilà. Bernardo di Clairvaux
esaltava la militia Christi nella figura
del monaco combattente definendolo “un soldato veramente intrepido e protetto
da ogni lato, che come riveste il corpo di ferro così riveste l’anima con
l’armatura della fede”; la morte in nome di Cristo rende meritevole di gloria,
non deve essere considerato un crimine (nihil habeat criminis); quando un
soldato di Cristo uccide un nemico della fede non commette un omicidio, ma
piuttosto un malicidio secondo Bernardo, in quanto uccide l’incarnazione del
male. Gli uomini tendono a giustificare la violenza, a volte richiamando il
proprio Dio.
La relazione finale della commissione “Jo Cox”
(2016-2017) pone gli atti di violenza fisica fino all’omicidio all’apice della
piramide di odio della nostra società: il 40% degli italiani ritiene che le
pratiche religiose degli “altri” possano rappresentare un pericolo, il 31.5%
delle donne fra 16 e 70 anni ha subito almeno una volta una violenza fisica o
sessuale, il 23,3% della popolazione omosessuale/bisessuale ha subito minacce e
aggressioni fisiche. Siamo così sicuri oggi nel nostro mondo occidentale, così
sicuro dei suoi valori, di essere immuni dagli atti di violenza deliberata che
riducono il valore della vita umana, tanto da sacrificarla ad uno scontro
millenario fra le posizioni estreme di due popoli? Questo avviene quando due
popoli di religione diversa si fanno guidare da posizioni politiche estreme,
rigide su posizioni fondamentaliste. La religione, quando si confonde con la
politica, è un fenomeno monolitico, basato su dogmi fondamentali,
inconciliabile con il pluralismo politico alla base delle democrazie
occidentali.
La domanda emergente in fondo è: insomma
quanto vale veramente la vita umana? Viene in mente a tal proposito la “libbra
di carne umana” del Mercante di Venezia, posta come una sorta di ponte di
scambio fra colui che deve ad un altro un certo ammontare di denaro e colui che
pretende di riavere con gli interessi il denaro investito. Quando si traffica
con i soldi senza considerare le persone si dimentica presto che sono in gioco
i corpi ed i destini degli uomini. Così anche gli amori, gli affetti e le
passioni sono trasformate e calcolate sulla base di oro e di gioielli.
Forse il mondo in cui ci ritroviamo a vivere sta
veramente perdendo il contatto con la realtà, come ipotizzava J. Baudrillard:
“tutto il sistema precipita nell’indeterminazione, tutta la realtà è assorbita
dall’iperrealtà del codice e della simulazione. E’ un principio di simulazione
quello che ormai ci governa al posto dell’antico principio di realtà”.
Baudrillard fa un’esplorazione storica del
concetto di simulacro prendendo in considerazione tre forme: la prima è una
rappresentazione del reale quale può essere una scena teatrale o la mappa di un
territorio, la seconda è caratterizzata dalla produzione sterminata di copie
del reale come avviene nel periodo industriale (la mappa dettagliata e perfetta
della favola “Del rigor en la ciencia” di J.L.Borges), mentre la terza forma
perde ogni contatto con la realtà e determina il reale a suo modo. “Le finalità sono scomparse: sono
i modelli che ci generano”. Come la società degli anni ‘70 immersa nel
benessere non si accorgeva di essere risucchiata dal consumismo adesso la
sociatà odierna immersa nell’intelligenza artificiale rischia di essere ridotta
ad un simulacro senza più appigli con la realtà.
Se nel leggere questo articolo vi è venuto in
mente il film “Matrix” secondo Baudrillard siete sulla strada sbagliata: il
mondo considerato come illusione radicale, quello di Matrix, è più vicino al
mito della caverna di Platone, mentre la simulazione fine a sé stessa, pur
sembrando perfetta, si avvicina pericolosamente all’irregolarità totale, in
quanto non c’è più vera dialettica. Secondo Baudrillard “il terrorismo
(l’irregolarità totale) è la metafora di quel capovolgimento quasi suicida
della potenza occidentale su se stessa”.
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