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martedì 14 giugno 2022

LA TOSCA ,NUOVO SECOLO, PUCCINI NUOVO - prima parte

(di Mimma Zuffi)



All’epoca della composizione della Tosca, Giacomo Puccini era un compositore estremamente celebre non solo in Italia. Aveva superato i quarant’anni e  con due opere, Manon  Lescaut (1893) e Bohème (1896), aveva colto un clamoroso successo internazionale di pubblico e di critica. Pur non negandogli il talento, una parte della critica rimproverava al musicista lucchese una predilezione  per soggetti non altrettanto “alti” quanto quelli di Verdi e di Wagner. Per costoro, Puccini era il cantore dell’anima femminile, il poeta della fragilità muliebre di Manon, di Mimì, di Musetta, il musicista di un’umanità quotidiana, priva di nobili ideali, dedita alle ”piccole cose”. Rendendosi conto dei rischi che avrebbe corso    restando prigioniero di un cliché siffatto, da tempo si guardava intorno in cerca di uno spunto librettistico diverso, nella forma e nella sostanza, da quelli fin lì musicati (peraltro anche in mezzo a mille tribolazioni, ripensamenti, ritocchi). Puccini aveva cominciato a pensare di ricavare un’opera da TOSCA, dramma in prosa di Victorien Sardou, fin da quando lavorava all’Edgar, probabilmente dietro consiglio di Ferdinando Fontana, librettista delle sue due prime opere. Sardou era a quell’epoca un autore di gran moda. Andata in scena per la prima volta il 24 novembre 1887 a Parigi al Théatre de la Porte-Saint-Martin  la Tosca di Sardou aveva colto un formidabile successo sia per gli effetti “granguignoleschi” sia per l’interpretazione di Sarah Bernhardt, tragédienne capace di ipnotizzare le folle con la sua dizione esaltata e la sua gestualità  grandiosa. La Bernhardt venne in tournée in Italia con quel nuovo spettacolo all’inizio del 1889. Puccini sedette fra gli spettatori a una replica al Teatro dei Filodrammatici di Milano e, sebbene masticasse solo poche parole di francese, restò colpito dall’efficacia del soggetto e dalle spettacolarità delle scene madri. La lettera inviata al suo editore, Giulio Ricordi, perché si interessasse all’acquisto dei diritti del lavoro di Sardou, porta la data del 7 maggio 1889 e rivela lo stato d’animo di Puccini a due settimane dal fiasco dell’Edgar alla Scala: “ Mi accorgo che la volontà di lavorare invece d’essersene andata, ritorna più gagliarda di prima (…) penso alla Tosca! La scongiuro di far le pratiche necessarie per ottenere il permesso da Sardou, prima di abbandonare l’idea, cosa che mi dorrebbe moltissimo, poiché in questa “Tosca” vedo l’opera che ci vuole per me.” Alla fine del 1893 dovette mettersi il cuore il pace poiché Casa Ricordi riuscì a strappare finalmente l’autorizzazione di Sardou ma a favore di un collega, Alberto Franchetti.


Franchetti era l’autore che godeva di ampia fiducia presso l’editore milanese dopo le rappresentazioni di opere come Asrael (1888), Cristoforo Colombo (1892) e Fior d’Alpe (1894). Il 5 gennaio 1894 il librettista Luigi Illica informava Ricordi di aver consegnato a Franchetti il dramma di Sardou in edizione italiana unitamente a un abbozzo di li libretto, redatto dallo stesso Illica e approvato dall’autore. Nell’ottobre librettista e compositore si recarono da Sardou  per sottoporgli una prima stesura, e al convegno presenziarono anche Ricordi e Giuseppe Verdi, in quei giorni nella Ville Lumière, per la prima  francese di Otello. Verdi se ne dimostrò entusiasta: “Vi sarebbe un dramma che se io fossi ancora in carriera, musicherei con tutta l’anima, ed è la “Tosca” confidò più tardi il bussetano a Gino Monaldi “a patto però che Sardou mi accordasse il permesso di cambiare l’atto ultimo”. Franchetti, tornato in Italia, si mise al lavoro ma, dopo pochi mesi di alti e bassi creativi, dovette arrendersi e confessare che quel soggetto non conveniva alla sua ispirazione. Illica, giustamente, se ne irritò. Giulio Ricordi, abilmente si mise di mezzo e provvide a calmare il suo collaboratore e a dotare Franchetti di un nuovo libretto. Puccini stava   ultimando la Bohème  quando, il 26 luglio Ricordi gli comunicò che il soggetto di  “Tosca”, ridotto dagli stessi letterati che avevano ridotto Bohème, ossia Giuseppe Giacosa e Luigi Illica sarebbe stato destinato a lui. La notizia dovette fargli non poco piacere, specie tenuto conto che il giudizio di Verdi intorno al soggetto era risaputo. Puccini cominciò a musicare Tosca qualche mese dopo il successo della 1896 Bohème, andata in scena al Regio di Torino il 1° febbraio 1896. Nel cantiere dell’opera si ritrovò al lavoro la collaudatissima terna Puccini-Illica-Giacosa, reduce dal successo di Bohème. Malauguratamente Giuseppe Giacosa, associatosi al gruppo sul finire del 1895, dimostrò fin dall’inizio  scarse simpatie per il dramma. A lui una vicenda di quella fatta pareva difficilmente musicabile. Di questo ruolo frenante del poeta e commediografo piemontese dovette avvedersi  a un certo punto lo stesso Sardou, cui i tre italiani resero ripetute visite a partire dal 1897, se è vero quest’episodio  narrato da Illica all’editore:”Puccini mi ha narrato di una specie di scatto nervoso di Sardou contro Giacosa scatto nervoso che avrebbe fatto sfuggire all’illustre francese un “idiot” all’indirizzo dell’illustre italiano”.

Avendo a che fare con un’opera di concezione nuova, come quella cui Puccini si accingeva, Illica si dimostrò collaboratore più intuitivo che non Giacosa, cui era stato demandato il compito della versificazione. Per quella trama poliziesca,  che rivaleggiava con quelle dei brevi film d’azione che il cinema muto cominciava a proporre. Illica si rendeva conto che dialoghi con velleità poetico- letterarie  erano fuori  posto. A opera quasi ultimata, l’editore giudicava fiacco l’atto conclusivo, nel quale il musicista aveva soppresso quella parte del duetto finale Cavaradossi-Tosca che avrebbe dovuto essere , secondo Giacosa e Illica, un inno alla libertà, alla romanità e alla civiltà latina. Puccini volle sostituire a  questo inno (una “trionfalata” lo definì) l’espressione dello stato  d’animo del protagonista. Compose la melodia e l’accompagnamento dello straziante E lucevan le stelle in attesa che i due librettisti gli approntassero i versi sulla metrica da lui indicata. Malgrado le proteste della controparte (editore e librettisti)il testardo toscano riuscì  ad averla vinta  e dellì Inno latino” musicò esclusivamente le diciotto misure introdotte dal verso “Trionfal…di nova speme” che soprano e tenore cantano all’unisono. La composizione di Tosca, interrotta da Puccini per presenziare alle prime rappresentazioni di Bohème all’estero, si concluse nell’ottobre 1899; in tutto lo occupò per circa tre anni. Trattandosi di una vicenda di ambiente romano, parve giusto che Roma e il teatro Costanzo fossero prescelti per la prima rappresentazione. La curiosità intorno al nuovo lavoro di Puccini, alimentata dalle voci filtrate nel triennio di composizione, si rivelò enorme. La sera del 14 gennaio 1900 salirono in scena al Costanzo il soprano romano Ericlea Darclée (nome d’arte di  Hariclea Haricli Hartulari), il tenore Emilio De Marchi come Cavaradossi e il baritono Eugenio  Giraldoni nei panni di Scarpia. Si trattò di un evento estremamente mondano per la capitale. I cronisti dell’epoca riferirono delle molte personalità presenti: la regina Margherita di Savoia (giunta per il secondo atto, dopo un pranzo di gala al Quirinale), il Presidente del Consiglio Pelloux  e una delegazione di celebri compositori tra cui spiccavano Mascagni, Cilea, Franhetti e Sgambati. La serata fu nervosa. Si temevano attentati anarchici e le intemperanze di alcuni spettatori ritardatari costrinsero il direttore d’orchestra, il celebre Leopoldo Mugnone, a interrompere l’esecuzione dopo poche battute e a ricominciare dall’inizio. L’esito fu nel complesso  eccellente ma, come già accennato, non mancarono le voci dissenzienti per quel Puccini in chiave truce, lontano dal lirismo delicato di Bohème. Il critico de “La Perseveranza”(15 gennaio 1900) riferì che “l’impressione del  pubblico si  è che l’opera non corrisponda completamente all’aspettativa legittima dopo il successo della Bohème. La tetraggine del libretto nuoce allo svolgimento lirico. Nei momenti in cui il libretto presenta situazioni adatte al carattere e alle tendenze musicali di Puccini, il Maestro si innalza con composizioni bellissime che però non corrispondono perfettamente alle parti eccessivamente tragiche”,

Giustamente indifferenti a simili giudizi, gli artisti di canto e il pubblico amarono subito Tosca, decretandone un successo destinato, se possibile, a crescere nel tempo.

 

                                                          La Tosca, versione 1900

6 commenti:

  1. Molto interessante, grazie Mimma!
    Ciao
    Marina

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  2. Grazie Mimma, per aver ricordato un grande compositore d'opera, molto
    amato in Italia e all'estero.
    Sandra

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  3. Bellissimo, finalmente qualcosa di veramente divino!

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    1. Non ho parole, caro Anonimo, per ringraziarti dell'apprezzamento. Ricordati "e lucean le stelle..."

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  4. Adoro Puccini, e la Tosca...🥰😍🤩

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  5. grazie Tiziana, tra un po' pubblicherò delle curiosità

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