Prima alba di sole che vince la battaglia con tre giorni di
temporali: il pennello di luce spazza il
cielo insinuandosi tra la punta Santner e il massiccio dello Sciliar. Sonda
l’aria per pulire gli ultimi residui di maltempo; con fare svogliato il disco
giallo ne prende il posto colmando lo spazio tra le rocce e strappando un
sorriso a Mario Pinozzi, che sbottona il giubbotto e gode del caldo abbraccio.
La chitarra di Johnny Winter lo chiama impudente dalla tasca interna, suoneria
a volume crescente cui i paesani di passaggio non prestano la minima
attenzione.
- Perché rompi anche nelle mie due settimane di ferie?
- - Buongiorno a te, capo – è Jorge, l’infermiere di
fiducia. – Come va da Heidi? Qui splende
il sole e il mare è una piscina blu.
- - Mi ha chiamato Munnacci, dicendo che deve parlarti e
hai sempre il telefono staccato.
- - Come vedi oggi il telefono è ben disposto, ci penso io
a Bruto, il cronista d’assalto: l’ho sentito giorni fa per una questione di cui
mi sto occupando.
- - Proprio non ci riesci, vero? Vedi che tra due giorni
parto per Atene e in questa stagione non è semplice trovare un volo di ritorno;
se finisci nei guai dovrai cavartela da solo.
- - Tranquillo, non è nulla di grave. Ho conosciuto un povero diavolo un po’
incasinato e vorrei dargli una mano.
- -Allora rispondi al giornalista, prima che dimentichi
perché ti ha chiamato. Ciao, al ritorno ti porterò una bottiglia di Ouzo.
- -Niente alcool, lo sai. Pensa a divertirti.
- - E tu non fare Don Chisciotte con la lancia in resta: là
sulle montagne non hai Sancho Panza che ti copre le spalle.
Il telefono torna nel tiepido alloggio all’interno del
giubbotto, Mario massaggia il mento ispido e si dirige verso il bar: cappuccino
e strudel, il migliore di Fié, poi il punto della situazione.
Mentre siede al tavolino all’ aperto, la vita riprende a
scorrere, alle pendici del massiccio dolomitico: solo pochi chilometri da
Bolzano, due settimane di agosto via dal San Martino, strade puzzolenti di una
città che si atteggia a metropoli, gente incazzata e turisti che si aggirano
smarriti tra i vicoli della Superba.
I buoni propositi sono i medesimi di ogni estate: trekking,
sveglia all’alba per fotografare animali selvatici, gustose cene con prodotti
del territorio e barbecue in giardino.
La sveglia, dopo la prima mattina, è stata segregata nel
ripostiglio; la cucina resta intonsa e i piatti puliti, ad eccezione di
caffettiera e tazzine. Gli scarponi, destati dal letargo invernale nella
scarpiera, patiscono inermi nel terrazzino i raggi del sole o la pioggia,
infine vegliano ammirando le stelle.
Anche l’auto, una ventenne Mazda cabrio, gode le ferie in
garage dopo la sgroppata dalla Liguria al Brennero: il paradosso di Mario
Pinozzi, troppo pigro anche per godersi le curve dolomitiche con la capote
abbassata. I primi giorni di vacanza sono dedicati al riposo assoluto, dopo le
battaglie con i mostri in sala operatoria; in mezzo stanno quelli dedicati per
ambientarsi ad altezza e clima. Quelli prima della partenza sono riservati ad
acquisti essenziali e cene nelle baite, in perfetta solitudine.
Perfino il sacco, sganciato dal muro nell’appartamento
genovese, riposa sul sedile posteriore dell’auto con i guantoni; entrambi
lontani da sudore e fatica godono sonni sereni. Mario in cuor suo confida di
non dovere scambiare pugni a mani nude, non in queste vacanze; spera che la sua
“fame”, alimentata dalla rabbia che la destava periodicamente, resti sopita a
poltrire come sacco e guantoni.
Tutto riposa quindi, salvo “Il senso di Mario per i guai”: recente
definizione coniata dall’amico milanese, il cronista Bruto Munnacci, reduce da
un pestaggio nel corso di una comune disavventura. Mario ne era uscito con
cicatrici nell’anima, Bruto con qualche danno alla memoria che non aveva
allontanato il fiuto da cronista e l’amore per le inchieste. Aveva scelto il
Milanese come consulente investigativo per ottenere informazioni su persone o
fatti di cronaca recenti e passati; a Mario interessavano i dati confidenziali,
quelli che non compaiono nei quotidiani, ma si conoscono attraverso i canali
giusti. Le notizie che ti serviva conoscere quando, seguendo la propria empatia
(con le parole di Jorge: “Quando ragiona con la pancia e non col cervello”), si
dedicava ad aiutare qualcuno. E adesso a lui preme avere notizie di Rodolfo
Sironi, imprenditore con base a Milano e originario di Fié allo Sciliar.
Mettendo ordine nei cassetti della memoria Mario torna indietro di tre giorni:
settantadue ore dense di avvenimenti cupi quanto il tempo. In un paio di
occasioni la sua “fame” si era fatta sentire, partendo dalla pancia per
diffondersi a cervello, cuore e muscoli; era andata discretamente, non si era
abbuffato. Ma il digiuno pesa nell’animo e nella mente, il filmato del recente
passato rischia di essere sfuocato; e poi c’è la vera fame, niente di meglio
quindi che far sparire le tracce delle innocenti vittime mattutine, strudel e
cappuccino, per ritrovare nitidezza e incastrare gli ultimi tasselli.
- - Ciao, hai qualche Euro? Devo andare a Bolzano, a
Bolzano per la festa a Renon. Conosci Renon, vero? Là ho gli amici, gli amici
che mangiamo la polenta e torno la sera. Io abito a Presule, vicino al
Castello: conosci il Castello, vero? Mi chiamo Lois, Lois Sironi.
L’uomo tese la mano destra a Mario sfoderando un sorriso
sincero e allegro: i denti bianchi, perfetti, si intonavano con
l’abbigliamento da gita domenicale. Berretto rosso con visiera, felpa blu e
zainetto sportivo verde, jeans e scarpe sportive; per salutare aveva tolto gli
occhiali da sole che teneva con la sinistra e fissava il medico con occhi
sorridenti quanto le labbra.
- - Se non hai fretta posso fare di più: – disse Mario – ti
dò un passaggio e ci beviamo un caffè, dopo ognuno per la sua strada.
- -Grazie amico, come ti chiami? Io sono Lois Sironi.
- - Mario– stringendogli la mano – sono qui in vacanza. Tu
che fai?
- - Sono Lois Sironi, nato a Bolzano, ho cinquantadue anni.
Vivo a Presule, con gli amici, una bella casa, stiamo bene. Oggi vado alla
festa da solo perché la mia fidanzata è in ospedale, poverina, ha fatto un
incidente. Con la macchina, guidava la macchina e un furgone, un furgone l’ha
colpita. Era con suo padre, lui sta bene, lei ha una gamba rotta. In ospedale.
- -Mi spiace, ma passerai comunque una giornata tra amici:
il tempo è così bello da urlare, fa caldo e neanche l’ombra di una nuvola...
- - Sì, bello, a Renon. Conosci Renon, è un bel posto. Io
lavoro la mattina, giù a Bolzano, sono esperto io. Insegno ai giovani, ho
girato mezzo mondo per lavoro, costruivo ferrovie e scavavo gallerie. E tu
lavori? Cosa fai?
- - Sono un medico, faccio il chirurgo. – Abbozza un
sorriso – Mi piace pensare che aggiusto dei corpi che funzionano male.
- - Sei come un meccanico!
-
Mettiamola così, in fondo qualche volta uso anche pezzi
di ricambio. – Il sorriso si tramutò in una risata di entrambi.
I due salirono in auto e si diressero a Bolzano, dove
presero caffè in un bar accanto alla stazione dei bus; al momento dei saluti
Lois manifestò una certa esitazione e prese a rigirare il berretto tra le mani,
fissando il pavimento del locale.
- - Che succede amico? – Mario risolvette lo stallo.
- - Io sono Lois Sironi, nato a Bolzano, abito a Presule.
Ti ringrazio, sei un uomo buono: domani è Ferragosto e in paese c’è la festa:
io ci vado. Tu vieni? Se ci vieni beviamo una birra. Ciao.
Senza permettere a Mario di replicare si diresse veloce
all’uscita e salì sul pullman; il medico, perplesso, si portò verso la cassa dove
stazionava una giovane donna bionda, occhi azzurri e limpidi come un torrente
delle montagne nei dintorni.
- -Pago due caffè.
- -Quelli li offro io. Prende qualcos’altro?
- -A cosa devo l’onore, - disse Mario sbirciando il nome
sulla targhetta della cassiera – Birgitte? Ho letto giusto, oppure cosa?-
La donna lo interruppe con una vivace risata.
- -Giustissimo, ma mio nonno disse il nome in modo errato
all’ufficiale di anagrafe: ecco spiegato il mistero della Brigitte mancata.
- -Io sono Mario e non ho ancora capito il regalo dei
caffè. A meno che tu non mi stia facendo la corte.
Seconda risata e altra risposta.
- - I miei genitori vivono a Fié e là tutti conoscono Lois:
è un uomo buono e sfortunato e tu gli facevi compagnia senza nessun secondo
fine. Ho apprezzato la cosa.
- - Allora il mistero è chiarito, ma ho un’altra domanda.
- - Sono tutta orecchie.
- - Domani c’è speranza di incontrare te alla festa oltre a
Lois?
Una lieve esitazione, Birgitte distolse lo sguardo e rispose
con un sorriso stiracchiato.
-
Non torno volentieri in paese, preferisco la vita qua
in città; se anche capitasse ci sarà parecchia folla e non è facile incontrarsi.
-
Io penso di sì e nel caso tu venissi non mancherà certo
l’occasione per una bevuta:se vuoi metto un segno di riconoscimento per farmi
trovare. Una parrucca verde potrebbe
andare
Nessun sorriso sul viso di Birgitte o nei suoi cristalli
azzurri.
- -Vedremo. Ma dimmi di te, che fai di bello qui a Bolzano
oltre ad aiutare gli abitanti dei paesi?
- -Sto cercando una palestra dove salire sul ring.
- - Sei un pugile? Non si direbbe, con quell’aria distratta
e il fisico smilzo!
-
Mi piace dare qualche pugno al sacco che ho a casa, ma
sto passando la vacanza da solo e mi sono fatto amico il divano. Ci facciamo
certe serate…
- - Non mi sembra che ti serva fare a pugni per conoscere
ragazze e trovare compagnia.
-
Gioco in attacco perché sono un timido patologico. La
boxe, poi, la considero una metafora dell’amore e del sesso.
- -Ti piace il sesso estremo, quello violento? Oppure vuoi
condurre l’incontro con le tue regole e vincere sempre?
- - Il sesso è violenza, si tratta di un incontro senza
esclusione di colpi, qualche volta sei vincitore e altre vieni sconfitto. Ma
spero di non sentirti dire che non ti
piace lo sport.
Birgitte non replica con sorrisi neppure all’ultima battuta.
- -Basta così o il proprietario mi licenzia; ti saluto,
magari ci vediamo domani. Se non dovrai curarti per i pugni presi in palestra.
Tutto sembrava a posto, gli ospiti della prima settimana di
agosto erano partiti e Peter metteva ordine nei registri in attesa dei nuovi
arrivi. Il Maso Sironi riposava alle pendici dello Sciliar accanto al sentiero
che da Fié conduceva al laghetto: era la meta ideale per chi amasse soggiornare
nella quiete e ammirare il paese, la vallata con il verde a perdita d’occhio
e le coltivazioni di frutta. Anche gli escursionisti non disdegnavano di assaggiare
i dolci e gli spuntini, all’aperto o nell’accogliente sala, secondo la stagione.
Ogni cosa era come vent’anni prima:
l’area sterrata oltre la siepe che recintava la proprietà, le pareti e la porta
di legno, le sei piccole camere al primo piano con le anguste finestre e la
sala da pranzo al pianterreno, la piccola area dedicata alla lettura, un tè,
una partita a carte.
Nel mezzo di quella sala, due ore dopo, discuteva con un
uomo di mezza età ben piantato, chioma biondastra. Peter non aveva nulla
in comune con lui, magro com’era, i corti capelli neri e i lineamenti gentili
del volto: seduti a un tavolo, davanti ai resti del pranzo, sorseggiavano il
caffè.
- - È solo accogliente, possibile che ti accontenti di
dieci mentre potresti avere cento? – dice il tipo biondo.
- - Smettila con questa storia, io dirigo il maso e mi va
bene così. Hai forse mangiato porcherie o bevuto aceto?
- - No di certo, ma rifletti: quanto renderebbe ampliare la
struttura e dotarla dei moderni comfort? -Conosco almeno tre chef in grado di
aiutarti nel salto di qualità: faresti concorrenza al Turm.
- -Certo, così qua fuori ci sarebbe un parcheggio zeppo di
Mercedes o altre auto lussuose e finirei sulla Guida Michelin.
- - Saremmo sulla guida, se io ci metto uomini e soldi.
Il fratello filantropo, non
avevo dubbi: il prezzo più alto lo pagherei io visto che diventerei il tuo
sguattero.
-
-Mi piace vivere
in modo semplice, non ho bisogno di una villa come la tua.
- -Non dire cazzate. Di cucina e ospitalità non capisco
nulla, ma posso trasformare questa stamberga in un resort cinque stelle e ci
sarebbe una fetta anche per te.
- -Ti ho già detto di non pensarci. Inoltre trascuri un
piccolo particolare: non credo che nostro fratello sarebbe d’accordo, sai come
la pensa sul maso. Il suo tutore ha comunque l’ultima parola.
- -Quel deficiente di Lois e le nostalgie della famiglia e
del nonno: l’unica cosa buona che il vecchio ha fatto è stato costruire questa
stamberga.
- - Il nonno ha cominciato con qualche capra e una capanna,
dovresti ricordarlo.
- - Non si è spinto oltre il suo naso; l’idea di intestarlo
a tutti e tre, poi, è stata la torta sulla ciliegina.
- -Nessuno poteva prevedere i guai che ha avuto Lois.
- - Quello non è un problema, dammi l’okay e ci penso io. La
finiresti di lavorare solo per pagare i fornitori e le ristrutturazioni del
maso.
- -Niente da fare, con te raccoglierei solo le briciole.
Il pranzo è finito. Adesso, se non ti dispiace, devo lavorare.
- -Vai pure ad accogliere quei quattro turisti che si
portano da casa perfino cibo e carta igienica: non hai capito proprio nulla di
come vanno le cose. Sei su un carro che arranca ai bordi della strada, mentre
potresti sfrecciare in una cabrio sportiva.
Senza un saluto Rodolfo Sironi si alzò e abbandonò la sala
da pranzo e lo stabile; prima di salire sull’auto, una di quelle Mercedes che
il fratello non avrebbe mai voluto vedere nel parcheggio, lanciò un'ultima
occhiata rabbiosa al maso scuotendo la testa. Accese il motore e si avviò,
conducendo i numerosi e potenti cavalli verso l’ufficio di Castelrotto sotto i
colpi di frusta dell'acceleratore.
Quella, in zona, era una filiale dell'azienda milanese di
Sironi: anni prima aveva cercato fortuna in Lombardia nel settore edilizio. Non
amava il paese di origine come il resto dell’Alto Adige in cui vedeva solo
nostalgie verso un impero fallito; gli affari andarono avanti e, il lavoro
rendeva bene con appalti per aziende pubbliche e costruzione di complessi
residenziali. Negli anni la vocazione turistica dell’area dello Sciliar era
incrementata nei numeri e nella qualità dei servizi: la compravendita e la
costruzione di alloggi per turisti tedeschi e italiani si dimostrò redditizia e
Sironi aveva fiutato l’affare. Il maso gestito dal fratello stava in una
posizione ideale per diventare un alloggio di lusso atto a soddisfare una
richiesta in costante aumento; il nonno aveva intestato la proprietà ai tre
fratelli lasciandone l’usufrutto a Peter, visto che Lois e Rodolfo avevano di che
vivere. Queste, in sintesi, le notizie che Munnacci aveva al momento raccolto
sguinzagliando i suoi cani da tartufo a Milano e dintorni: come tutti i
cronisti, aveva informatori in parecchie zone della città che attingevano a
fonti discrete e ben informate.
Giunto nell’ufficio il costruttore fu accolto da Linda, la
segretaria. La donna era con lui da quando, circa dieci anni prima, aveva ripreso
contatti con i compaesani e alcuni agenti immobiliari del luogo. Quarant’anni,
single e devota al datore di lavoro: in paese correvano voci che tra i due ci
fosse di più che il tempo in comune nell’ufficio, ma entrambi ignoravano le dicerie e
proseguivano per la loro strada.
- - Buongiorno Linda, ci sono novità?
- - Dipende da quale risposta vuole ascoltare.
- -Comincia con la parte buona, ti prego.
- - C’è poco da dire: il cantiere a San Valentino lavora rispettando i tempi previsti. Nessun
problema.
- - La parte brutta la immagino: i nostri vecchi amici,
giusto?
- - In effetti sono
tornati alla carica.
- - Ho appena finito di rovinarmi il fegato con mio
fratello Peter, quel balordo non sente ragioni.
Linda lasciò cadere gli occhiali, fissati a una catenina,
sul seno fasciato da una camicia sbottonata.
Sironi notò quanto il decolleté reggesse il confronto con la forza di
gravità e risalì verso il collo e il viso. Realizzò di non avere mai osservato la
donna nei particolari: il corpo atletico, l’ovale del viso senza rughe e gli
occhi azzurri, glaciali ma sensuali.
- - Concentri le energie su Lois: se cede la sua quota
Peter sarà in minoranza…
- -…e non potrà opporsi al progetto. Penso sia la strada
migliore, ma lui non sente ragioni e ha un tutore.
-
Le vie del destino sono imprevedibili e gli uomini sono
deboli. Ognuno ha un punto su cui fare leva.
-
Mi hai appena suggerito la via da seguire. E la
scorciatoia, se la prima non si rivelasse sicura.
Linda inforcò gli occhiali e, dando un profilo perfetto a
Sironi, tornò al suo posto e riprese il lavoro con aria compiaciuta.
Il giorno di Ferragosto a Fié si rinnova la tradizione di
una festa paesana: centinaia di abitanti del paese e delle zone limitrofe si
mescolano a turisti occasionali e abituali. Nell’area predisposta si mescolano
colori, profumi e suoni di uomini e donne, strumenti e cucine. Il tutto
innaffiato da litri di birra e vino, ai tavoli con le panche condivise tra amici
e sconosciuti o in piedi accanto ai banconi della mescita.
Mario Pinozzi non ama tutto ciò e, nelle abituali vacaze
estive, ha scientemente evitato la festa con la sua folla chiassosa e allegra:
difatti solo in quell’occasione gli scarponi fanno il loro dovere e il
proprietario vince l’atavica pigrizia sfidando i sentieri dell’Alpe di Siusi.
Quel giorno aveva almeno due motivi per recarsi alla festa:
una promessa a un uomo semplice, simpatico e sfortunato che sembra combattere
contro la solitudine. Come lui. La speranza di rivedere Birgitte poi lo
solleticava ben oltre l’idea di dividere una birra con il buon Lois.
Tra la nebbia dei pensieri le gambe lo guidarono sino al
banco del bar; un’animata discussione gli portò di nuovo immagini nitide e
suoni chiari.
- -Non puoi farmi questo, siamo fratelli: io ci perdo un
sacco di soldi, a te che importa? Avrai la tua parte e potrai comprare quello
che ti piace!
- - Non capisci, sei mio fratello. Il fratello di Lois che
non capisce. Lois ha la fidanzata, la fidanzata che si chiama Marta. È in
ospedale, in ospedale che ha la gamba rotta. Un incidente, con la macchina.
Lois non vuole i tuoi soldi, Lois andrà a vivere nel maso con la sua fidanzata.
Lois lo sa.
- -Ah, ah, ah, ah! Sei più divertente che patetico, povero
scemo. Non potrai mai vivere nel maso, con la tua “fidanzata” poi: questa è
davvero buona! Hai dimenticato dove abiti, in che zoo torni ogni sera? Quella
specie di canile per bestie acciaccate o bastardi che nessuno vuole. Povero
ingenuo, sei il degno nipote di tuo nonno.
- - Il nonno era buono, lui. Non era come te che vuoi
tutto.
- - Inutile sprecare altro fiato con te, il mio cane
avrebbe già capito, ma tu…
Tra i due si gettò Mario che affrontò Rodolfo tenendo le
mani nelle tasche dei pantaloni: sentiva crescere la fame, i muscoli tirare, i
pugni chiusi e le nocche sbiancare. Affondò la spinta, le fodere delle tasche
cedettero. Parlò a Lois, gli occhi piantati in quelli di Rodolfo
- -Tutto bene amico?
Andiamo a farci una birra com'eravamo d’accordo.
-
E tu chi cazzo saresti. Il paladino dei deficienti?
La destra di Mario uscì dalla tasca, il pugno serrato.
La presa fu delicata ma ferma.
La mano gentile e magra, le unghie smaltate.
Lo sguardo diceva di
no.
Le parole non servirono.
La fame si placò.
Per il momento.
-
Ma guarda, come mai da queste parti? E conosci pure
questo bel tipo? Dall’accento non mi sembra uno del posto: forse è meglio
avvertirlo di non perdere tempo con te, Birgitte.
- - Il solito gentiluomo, - disse la donna – ma non è una
sorpresa. Anche se non ti vedo da parecchi anni noto che le brutte abitudini
tornano sempre a galla. Come la merda.
- - Detto da te è un complimento; in quanto a voi godetevi
la festa. Specie tu, straniero: sappiamo essere ospitali, ma non ci piace chi
fa troppo il curioso a casa nostra.
- -Da quando questa è di nuovo casa tua? – Birgitte
attaccò a gamba tesa – Te ne sei andato dicendo a -tutti che erano solo
contadini ignoranti: sei tornato per qualche buon affare?
- - Bevete una birra alla mia salute, lo ripeto. A te,
povera cassiera, auguro di fare bene i conti e capire da che parte stare. Tu,
fratello, attento ai cattivi incontri: gira
brutta gente per strada.
Sironi abbandonò il gruppo dopo un’occhiata assassina a
Mario e un cenno di saluto al fratello. Questi, con aria di sconfitta, biascicò
parole ruvide.
- -Lois ha due fratelli, ma Lois è solo. Lois ha tanti
amici, ma non ha una famiglia: a Presule ogni sera mangio con tante persone,
brava gente. Anche gli operatori sono bravi, loro s'incazzano quando non prendo
le medicine, ma sono bravi. Loro non mi dicono che sono scemo, non mi dicono
che sono una bestia…
Mario e Birgitte scambiarono uno sguardo d’intesa e il
medico era in procinto di replicare, ma Lois lo bruciò sul tempo.
- - Io vado, ho visto un operatore della comunità. Si
chiama Christof, è bravo lui, mi ascolta. Ciao, dottore. Ciao Signora.
L’assortito gruppo si andava assottigliando, sotto i colpi
delle beghe familiari e le ferite dell’animo. Mario colse l’occasione.
- - Beviamo qualcosa o mi lasci solo in questa massa di
persone felici?
- - Io vedo persone che mangiano e bevono, non ho idea di
quante portino una maschera sotto cui nascondono un viso triste o incazzato.
- - Sei una che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto.
- - Il bicchiere è sempre pieno: noi vediamo solo quello
che ci resta da bere, ma sopra ci sta l’aria. Nella vita è lo stesso, siamo
circondati da letame che riempie ogni spazio
vuoto.
- - Dal letame nascono fiori bellissimi, tu lo confermi
anche se hai qualche spina di troppo. Ti va di riempire un poco di questo
spazio insieme? Anche solo per scansare un po’ di questa puzza.
- - Non hai ascoltato Rodolfo: navighiamo in acque diverse,
non mi piacciono i marinai.
- -Ti sembro un qualunque marinaio?
Birgitte sorrise, solo con la bocca. La verità fu colta da Mario nei suoi occhi
chiari e nelle parole scure.
- - Al bar mi hai detto che nel sesso ci sono vincitori e
vinti: anni fa ho incontrato un uomo che intese il mio rifiuto come una
sconfitta. Si prese la rivincita con la
forza di maschio: un match senza arbitro. Da allora ho perso l’amore degli
uomini.
- - Rodolfo ne sa qualcosa?
Nessuna risposta: lei osservò la folla fissando un punto
oltre il prato, lontano anni luce.
- - Almeno c’è una fortunata?
- - Ci vediamo per vincere la solitudine, senza pretese o
contratti per il futuro.
- - Lei è in vacanza?
- - Viviamo entrambe a Bolzano, questo è un piccolo paese
con piccole persone. In città se mi chiamano puttana posso rispondere che per
loro sono la Signora Puttana! E tu non hai nulla da nascondere nel posto in cui
vivi?
- - Non dove abito, a Genova. Ma io sono nato all’ombra di
Dolomiti in miniatura, le Alpi Apuane: non in un paesino come questo, comunque
tra le occhiate di chi ti pesa con lo sguardo per l’auto che guidi o le scarpe
con cui calpesti le cacche per strada.
- - Non sei uno che fugge di fronte a dei pettegoli.
- - Sono uno cui viene fame quando s'incazza e mi succede
per motivi che pochi capiscono. Genova è riservata, solidale, ma si fa i cazzi
suoi: a me sta bene così.
- -Per essere un tipo vorace mi sembri magro.
- - La mia fame è diversa, mi sazio con i pugni e Sironi
stava per diventare il mio pasto. È già successo anni fa per una ragazza, lo
zio mi ha accusato di avere abusato di lei dopo una visita.
- - L’hai “mangiato” a forza di pugni.
- - Ci sono andato vicino e ne è uscito malconcio: ora sai
perché cercavo una palestra di pugilato.
-
Mi dai addosso, ma anche tu fuggi dalle altri e la tua
“fame” mi pare un pretesto per sfogare la solitudine.
- -Ammetto di avere navigato in solitaria su mari agitati
e la boxe mi ha aiutato a fuggire dalle lusinghe dell’alcool: è facile
rifugiarsi in un bicchiere quando si è feriti. L’istinto del pugile torna, ma
di rado divento feroce. E lo faccio solo quando è necessario.
- --Okay Dottor Lecter, basta chiacchiere e andiamo a farci
una birra: preferisco assecondarti piuttosto che diventare carne frollata!
- - Adesso ci siamo, ma niente alcool per il pugile.
I due si allontanarono per accodarsi alle persone in fila per
il boccale; ai margini dei tavoli affollati da avventori colorati e rumorosi
Peter Sironi osservò il finale della rappresentazione, sorpreso di come
Birgitte e lo sconosciuto avessero affrontato Rodolfo. Si diresse senza fretta
verso il maso: doveva pensare alla cena, avendo concesso un giorno di riposo al
cuoco. Mentre affrontava la prima salita pensò che fosse giunto il momento di risolvere i problemi con il
fratello, una volta per tutte, e che talvolta un volto noto può apparire sotto
una luce diversa.
Il suono insistente del telefono lo accolse all’ingresso del
maso procurando una nota di fastidio: telefonata in pieno pomeriggio del
Ferragosto significava un cliente dell’ultima ora o una seccatura, non
prevedeva una terza evenienza.
- -Maso Sironi, come posso aiutarla?
- -Come stai Peter, tutto bene?
La cornetta si fece pesante e calda, quintali di lava appena
solidificata. Le parole uscirono a fatica, graffiando la lingua e i denti.
- -Si lavora mentre gli altri sono in vacanza, la solita
vita.
- - Degli affari di famiglia che mi dici?
- -Mio fratello è tornato alla carica, ci siamo parlati e
mi sono rotto. La cosa non può andare avanti in questo modo.
- -Sapevo che sei un bravo boy-scout. Aspetto tue notizie.
– fine della chiacchierata.
E inizio dei ragionamenti: le richieste del fratello erano
assurde e i debiti, per Rodolfo, stavano diventando un problema difficile da
gestire. Quella gente aveva la base oltre confine, ma i soldi investiti negli
affari in Lombardia facevano una cifra a sei zeri: Rodolfo aveva bisogno di
riqualificare il maso, rientrare almeno per una parte del debito e prendere
fiato. Le telefonate a Peter giungevano a cadenza pressoché quotidiana: pur evitando frasi esplicite il
messaggio era chiaro, cristallino. La questione si doveva risolvere in tempi
brevi: la pazienza era agli sgoccioli e i masi di legno sono un ottimo
combustibile. Domani la faccenda sarebbe giunta a un epilogo, comunque: le
speranze nel colloquio che aveva programmato erano ridotte al lumicino, ma in
tutto quel buio sperava che anche una pallida fiammella avrebbe permesso di
scorgere la via buona.
Ferragosto a metà settimana non fa molta differenza per i
turisti: una giornata da dedicare, come le altre, a riposo e relax, sport o
passeggiate. Anche per chi vive di turismo è una giornata come quelle che la
precedono e la seguono, scandita da ritmi ed esigenze degli onnipresenti
vacanzieri.
Per Lois Siriani, era una giornata speciale: l’azienda in
cui lavorava mettendo l’esperienza al servizio dei giovani, era chiusa per
ferie. Era libero e aveva chiesto a Christof,
l’operatore sociale che si occupava di lui, un permesso speciale: Lois era
disciplinato e si faceva onore sul lavoro, contribuiva attivamente alle
iniziative della comunità quali mostre o eventi in cui erano coinvolti abitanti
del posto e turisti. Assumeva regolarmente la terapia e stava bene, era
allegro: era innamorato. Gli occhi
sorridevano e Christof aveva detto sì.
- - Sì! Sì! Sì! Davvero?
- - Te l’ho appena detto, Lois.
- -Lois può andare all’ospedale a Bolzano?
- -Certo, ma vedi di rientrare entro le 18. Conosci le regole, oggi non è un giorno di
festa.
- - Sbagliato, Christof!
Per Lois Sironi oggi è festa: vado all’ospedale, a Bolzano. Oggi vedo
Marta la mia fidanzata, la abbraccio: ha la gamba rotta, voglio che guarisce
presto. Se l’infermiera non sta in mezzo ci baciamo, riusciamo a darci un
bacio!
La professione di Christof non prevede la strisciata di un badge
la mattina e la sera, né tiene conto dell’orologio o del calendario. Nelle sue
dotazioni non mancano mai il caricabatteria del cellulare, l’accendino (a
reintegrare la stecca settimanale di Marlboro pensa la segretaria), un paio di
pizze nel freezer e la birra. Chi gli vuole bene discute spesso con lui della dieta
personalizzata a base di nicotina, alcool e lievito mescolato a pomodoro,
mozzarella e wurstel. L’interessato replica mostrando gli esiti abilmente
falsificati di analisi del sangue e, digrignando i denti macchiati di nicotina,
mastica parole arrochite per chi lo considera una bomba con il timer
attivato. Quella bomba pronta a
esplodere per tutelare ragazzi e ragazze del centro dai loro simili dominati
dall’indifferenza, eppure pronti a mutare in belve a difesa di tane e cuccioli
minacciati da “gente che deve stare internata”. I normali che accettano i
marginali fin a quando questi non si allontano dal perimetro in cui sono
relegati e si avvicinano al mondo.
Lo stipendio non è certo l’incentivo a lavorare senza orari
e in reperibilità ventiquattro ore al giorno; le ferie, poi, una chimera. Certo
ci sono i bonus a pareggiare i conti e remunerare degli straordinari perenni:
Lois era uno di questi extra, il più cospicuo e puntuale di tutti. Anni di
lavoro paziente, da contadino di montagna: semina accurata e protezione del
germoglio da vento e temporali. Primavere ed estati per la maturazione e,
infine, la raccolta del frutto. Lois stava crescendo a nuova vita sull’albero
della comunità, sano e forte: ancora acerbo, ma con la prospettiva di essere
colto a breve.
Il morale di Lois era alle stelle, passeggiava nervosamente
nei pressi della fermata in attesa dell’autobus per Bolzano: pochi minuti di
attesa, qualcuno di più per il breve tragitto verso la città, poi pranzo
insieme a lei nel giardino dell’Ospedale. Marta stava meglio, la giornata era
splendida e, con una sedia a rotelle, poteva essere accompagnata all’esterno:
non si trattava di uno dei prati dell’Alpe di Siusi, ma Lois aveva con sé lo
zainetto con tutto il necessario. Pane, formaggio del maso di Peter, niente
vino rosso che disturba la terapia della mattina; poi lo strudel e un thermos
con del buon caffè, non quella brodaglia scura dei distributori automatici.
Controllò più volte l’orologio: tre minuti e sarebbe
arrivato l’autobus. Aveva il biglietto, doveva solo annullarlo in vettura,
sedersi e godersi la strada.
Nel frattempo continuava a passeggiare, più rilassato: forse
il conto alla rovescia lo aveva confortato e pregustava l’incontro.
Nessun suono di clacson, né rumore di frenata: un tonfo
sordo e la sgommata. Il grido di una donna, l’accorrere del barman che serviva i
tavoli all’aperto, le imprecazioni cacofoniche nella lingua del luogo.
Lois giaceva su un tappeto scarlatto dal profilo irregolare,
parto di un artigiano crudele. Gli occhi chiusi, la destra serrata sul manico
dello zainetto, sulla bocca la smorfia che simulava un sorriso. Oltre ai suoni
degli umani e la sirena dell’ambulanza in arrivo il sordo latrato di un cane
completava la colonna sonora del dramma.
- - E’ sicura che fosse un furgone nero? -il Maresciallo De
Palo piantò gli occhi in quelli della nonna che stringeva a sé il nipotino.
- - Non saprei dire se era nero o soltanto scuro.
- - Della targa neanche parlarne, immagino.
- - Non vede che è preoccupata per il bambino? Come
pretende che possa ricordare i particolari.
- -Buongiorno, Christof. Scusa, ma una cosa del genere qui
non si era mai vista.
-
Non si è trattato di un incidente. La nonna non
demordeva.
- - È presto per dirlo, certo il guidatore non si è neppure
fermato per controllare.
-
Lo ha investito di proposito! – la nonna strinse il
bambino più forte – Io e Dietmar stavamo per attraversare, il furgone ha
accelerato e ha colpito quel poveretto. Non è stato un incidente. Ora porto a
casa mio nipote, poi vengo da lei e mi renderò utile: qui non vogliamo che
scorrazzi certa gente! Fine delle chiacchiere.
Afferrò la borsa della spesa, riversa sul marciapiede, e si
allontanò con il piccolo.
- -Io vado in ospedale, e dopo…
- -Vengo anch’io, – Mario Pinozzi esclamò ansante
piombando tra i due - ho saputo ora e mi sono precipitato. Sono un amico di
Lois.
- -Prendi fiato, ho l’auto qui vicino. Saremo a Bolzano in dieci minuti.
- -Vacci piano Christof
– sentenziò il Maresciallo – un ferito grave per oggi basta e avanza.
- -Qualcuno ha avvertito i fratelli di Lois? – Mario
biascicò tra i sospiri.
- -Per quale motivo? Sarebbe solo tempo sprecato.
Guidava l’auto placido, con la sinistra: la destra impegnata
a dare breve vita a troppe sigarette, i resti che venivano riposti nel posacenere
sovraffollato. Mario Pinozzi avvertiva il principio di torcicollo a causa della
testa posata sul finestrino aperto per metà.
- - Hai qualche idea sul colpevole? – espirò il fumo sul
volto di Mario, misto a parole affilate.
- - Ieri Lois ha litigato con il fratello, alla festa del
paese.
- - Quale dei due?
- -Alla festa non sapevo che fossero in tre, mi riferisco
a un certo Rodolfo. Quello stronzo lo ha offeso e Birgitte mi ha bloccato
mentre stavo per tirargli un pugno.
- - Conosci Birgitte? È raro vederla a Fié: ti ha
raccontato qualcosa dei suoi guai? Ma
forse è ancora presto e non si sente a proprio agio con uno appena conosciuto.
- -Ci siamo appena frequentati, mi ha accennato alla
violenza subita.
- -Ti ha raccontato veramente tutto?
- - Che intendi?
- -Lasciamo stare, sono cose sue e nel caso sta a lei
parlarne. Dimmi di Lois, come ti ha “agganciato”?
- -Mi ha chiesto un passaggio a Bolzano.
- - Andava dagli amici su a Renon, un classico.
- -Ha detto che la
fidanzata è ricoverata in ospedale.
- - Già, un incidente mentre guidava. Anche per lei circostanze
singolari: nessun testimone, nessuna telecamera, il guidatore dell’altro mezzo
che non si è fermato.
- - Un'auto?
- -Non ricorda, tutto troppo veloce. Dai rilievi sull’auto
e per strada potrebbe trattarsi di un grosso SUV.
Continuava a guidare e fumare, rispettando il limite di
velocità e rinunciando a sorpassare un furgoncino carico come un mulo da soma. Mario
sbirciò l’ora e osservò distratto la città che li accoglieva con ordine ed
eleganza: i caffè e le panetterie, gli hotel dall’aria impeccabile e gli
abitanti vestiti da sarti precisi. L’arrivo in ospedale è il medesimo, che tu
ci lavori o ci vada a visitare una persona cara. Entri, svolti e sali delle
scale: quella mattina i gradini parevano numerosi parecchi e troppo alti. La
salita al terzo piano, dove stava la rianimazione, ricordò ai due uomini un
sentiero ripido che appesantiva le gambe, in lotta contro la gravità. Un
fardello più gravoso di qualsiasi zaino attrezzato pesava sulle spalle e sul
cuore: Mario si sentì dall’altra parte della barricata presidiata ogni giorno
contro i mostri. Quelli che sapeva affrontare con bisturi e strumenti, mentre
per gli orrori del luogo aveva a disposizione solo la fame, la smania. E lei
stava crescendo, i muscoli s'irrigidivano, il cuore pompava, i sensi si
facevano acuti.
-
Ciao Christof, oggi anche il sole mi sembra pallido:
forse non ha voglia di vedere le troppe porcherie del mondo che illumina.
L’uomo si era avvicinato senza rumore, a dispetto della
mole. I capelli rossi e la barba, appena
più scura, circondavano un viso avvezzo al sorriso, nei giorni normali.
-
Sapevo che non saresti mancato. – poi, indicando il
medico - Marco ti presento Mario Pinozzi, un amico comune di Lois
I due scambiarono una muta stretta di mano, mentre Christof guardava
oltre il vetro, nell’acquario che ospitava esemplari indifesi accuditi da loro
simili indaffarati e silenziosi.
- Marco è proprietario di un piccolo
stabilimento, la palestra professionale in cui il buon Sironi svolge il compito di allenatore.
- Quando
potrà riprendere gli “allenamenti”? – Marco parlò con voce debole, stonata per
la sua stazza
- Non saprei.
Alla risposta di Mario i tre lanciarono un’ultima occhiata
oltre il vetro, infine andarono.
Mezz’ora dopo, al tavolino del bar in cui lavora Birgitte,
Christof spegneva l’ultima sigaretta del pacchetto con Mario a contare invano i
mozziconi. In loro compagnia tre tazze
sporche e le tracce dell’ennesimo strudel.
- -Uscirà dal coma?
- -È presto per dire qualunque cosa: le costole rotte, un
rene andato e le gambe spezzate. Non so.
Mentre il medico rispondeva la mano chiusa a pugno batteva
con cadenza regolare sul tavolo, le tazzine che tintinnavano.
- - Andava alla grande, non aveva crisi. Marta è una donna “normale” che gli vuole
bene: a parte noi sarebbe stata l’unica ad andare a sincerarsi delle sue
condizioni. Neppure i fratelli si sono visti.
Il pugno si fermò e si aprì disteso, per riposare.
- - Lois è con noi da cinque anni, dopo un incidente al
maso del fratello. Un qualche choc che ha subìto lo ha allontanato dal mondo, l’oblio
era la sua difesa verso qualcosa o qualcuno.
Il ritmo riprese, cadenzato. Le tazze lo assecondarono danzando.
- - Era come una pianta destinata a seccare, nonostante
fosse innaffiata e ben esposta alla luce
- - Come sei riuscito a salvarlo?
- - Un giorno stavano sistemando la strada che porta alla
casa-alloggio, noi rientravamo dopo una gita e transitammo in quel punto.
Mentre attendevamo di passare Lois è sceso e si è avvicinato agli operai,
discutendo con loro. L’ho lasciato fare, mi pareva eccitato mentre di solito si
chiudeva a riccio. Non ci volevo credevo, ma ha dato loro dei consigli per risolvere
un problema che li bloccava.
- - Che è successo dopo?
- - Il capocantiere è venuto a parlarmi in ufficio: era
rimasto colpito dall’esperienza e l’intraprendenza di Lois e mi ha chiesto di
farlo lavorare con lui. Ciò non era possibile, ma abbiamo trovato la soluzione
adatta nella piccola fabbrica di Marco, che hai appena conosciuto.
Le tazze riposavano.
- - Dove sono spuntate le foglie e cresciuti i germogli.
- - Oltre ad avere conosciuto Marta che lavora là come
impiegata. Ora sono entrambi in ospedale, lei chiede sue notizie e ho dovuto mentire trovando una scusa.
Un pugno solo, ben assestato: il tavolo barcollò, le tazze
accolsero parte delle cicche. Birgitte si precipitò dai due con aria
preoccupata.
- -Basta chiacchiere, bisogna che parli con i fratelli di
Lois. Di Rodolfo ho già un’idea, domani vado al maso. Mi accompagni tu?
- -Niente da fare, sono a Trento per lavoro.
- -E tu che fai? – rivolto alla donna. Gli occhi di
Birgitte saettarono verso Christof, poi s' incollarono su Mario.
- -Due volta a Fié in tre giorni è troppo per me. Io ne
sono fuori.
- -Okay vado solo, dammi l’indirizzo: vediamo se il tipo
della montagna è migliore di quello della città. E tu Birgitte dimmi quanto devo per questo
campo di battaglia.
Il blues graffiante giunge dal cellulare, posato sul tavolo
accanto al ricordo di strudel e cappuccino. Mario lascia scorrere le note
sfidando gli sguardi di disapprovazione degli altri clienti. Il display mostra
lampeggiando a intermittenza il soprannome affibbiato a Bruto Munnacci, il
giornalista milanese.
- -Ciao Pulitzer, era ora ti facessi vivo. Come te la cavi
nell’afa della metropoli?
- - Sto come un
papa: strade deserte, niente rumore e negozi chiusi.
- -Vieni a trovarmi, ci facciamo un giro sui monti.
- -Tu mi vuoi morto: aria pura e passeggiate, sarei come un
astronauta senza casco su Marte.
- Andiamo al sodo, i tuoi segugi hanno
fiutato nuove tracce di Rodolfo Sironi?
- Certo, e si fermano ai bordi di un lago di
merda.
- Ne ho sentito l’odore quando gli ho
parlato, due giorni fa.
- Non parliamo di cacca di bambino, qui si
tratta di liquame: mai sentito parlare dei Markovic?
Mario volge gli occhi al cielo. Solo quando li abbassa e si
guarda attorno realizza che dai tavolini vicini in parecchi s' interessano alla
conversazione.
- - Ci sei ancora? Sai che quando mi fermo perdo il filo. –
incalza Bruto.
- - Vai avanti, ma stringi: non ho tutta la giornata –
protegge cellulare e bocca con la mano, come un calciatore in campo. La
curiosità all’intorno sale al livello rosso.
- - Si tratta di affaristi croati privi di scrupoli, che
speculano nell’edilizia. Il tuo Sironi ha fatto affari con loro, ma con la
crisi le case non si vendono. Questi sono incazzati neri, vogliono i soldi e
hanno poca pazienza.
- - Non sbagli un colpo, sei stato prezioso come sempre: un
diamante tra i sassi.
-
Fottiti. Quando ti rivedo a Milano?
- - Non so dirtelo, ma è troppo presto: le cicatrici
bruciano ancora.
- -A chi lo dici. Un abbraccio…E attento a dove
metti il naso.
Dopo il breve scambio di battute Mario si guarda intorno circospetto:
osserva i clienti ai tavoli portando la
loro curiosità a livelli di guardia. Pagato il conto si alza e va, tastando più
volte l’incavo dell’ascella: strizza l’occhio a un’anziana tedesca e attraversa
la strada diretto al Maso Sironi, sghignazzando soddisfatto.
La giornata è fresca,
ma il sole si è appena liberato dagli abbracci indesiderati delle nuvole di
piombo: ricorda a tutti chi è il padrone in questa stagione accarezzando la
pelle con tocchi ardenti.
Alla gente del posto sono sufficienti dieci minuti per
raggiungere il maso: Mario ne impiega quarantacinque. Dopo i primi cinque il giubbotto
è annodato alla vita; al quindicesimo le maniche della camicia sono arrotolate
e in breve è sbottonata. A dieci minuti dalla meta Mario è un automa con il
motore surriscaldato e, all'arrivo, il maso è una vista gradita quanto quella
dell’oasi a un beduino nel deserto. Vede
gli alberi con la frescura dell’ombra e l’acqua
corrente della fontana in cui, paonazzo e disidratato, si lascia cadere
come il famoso beduino nella polla d’acqua tra le palme. Scarpe e vestiti
inclusi.
- -Dove credere di essere, alle terme? Gradisce forse un
massaggio o preferisce una sauna?
- - La prego, basta calore! Se proprio vuole, mi porti una
limonata ghiacciata. Signor…?
- - Sono Peter Sironi, il proprietario del maso. E della
fontana che sta usando come vasca da bagno.
- - Molto piacere, Mario Pinozzi: per la limonata ci pensa
lei o vengo al bar?
- -Esca dall’acqua e mi segua. Le prendo qualcosa per
asciugarsi.ù
Mario il beduino esce suo malgrado dalla polla fresca
nell’oasi e segue il suo abitante stanziale, con il miraggio della bibita
ristoratrice. Peter lo accoglie nel
garage adattato a deposito di materiale: l’ampio locale ospita casse di birra,
un armadio sgangherato con le ante accostate da filo di ferro, due poltrone
sfondate accanto a un ceppo usato come tavolino. In un angolo riposa un veicolo di grossa
cilindrata coperto da un telone cerato, gli pneumatici sporchi di fango; a lato
attrezzi da lavoro, una vanga e una zappa.
- -Si spogli e si
asciughi.
Peter porge a Mario
un telo di cotone sfrangiato, ma pulito.
- - I suoi clienti bevono limonata vestiti come mamma li ha
fatti?
- - Le posso dare una tuta: è vecchiotta, ma l’ho lavata
ieri. Si vesta, mentre vado a prendere
da bere.
Apre l’armadio e recupera una tuta in acetato che ha visto
tempi migliori. Appena Peter si è
allontanato, Mario toglie alla meglio l’umidità dal corpo e sprofonda in una
delle poltrone. Sironi torna con un vassoio e due bicchieri di limonata: ne
porge a Mario e sorseggia la sua.
- - Fresca, ottima. Ci voleva dopo quella sfacchinata.
Il bicchiere di Mario è svuotato all’istante, anche del
ghiaccio. Sironi sorseggia dal proprio come un Inglese dalla tazza di tè del
pomeriggio.
- - Si vede che arriva dalla città, per pochi metri è ridotto
come uno che si è perso nel deserto.
- - Odio la fatica fine a se stessa: camminare in salita
sotto il sole è da pazzi. In fondo sono in vacanza, mi faccio il mazzo con il lavoro
tutto l’anno.
- - Non è certo l’unico, non mi sono mosso dal maso dalla
vigilia di Ferragosto. Di cosa si occupa?
-
Mario asciuga la fronte, di nuovo sudata e calda. La
bocca si fa asciutta, le parole sono sabbia ruvida.
- -Lavoro in ospedale, faccio il chirurgo plastico.
- - Un artista, un produttore di bellezza.
- - Direi un sarto che rimette in sesto abiti sciupati. O
un Don Chisciotte che combatte draghi solo con una lancia.
- -Solo nelle favole l’eroe uccide il drago facendo tutto
da solo.
Troppo forte il sole, lo sapeva: gli occhi si fanno pesanti
e le gambe molli. Hai cinquant’anni e ne senti il doppio, vergognati.
- -Non credo alle favole, ma vedo draghi e mostri ogni
giorno.- poi, diretto -Che mi dice di suo fratello?
- -Lois? Una tragica fatalità: non è mai stato fortunato,
ma finire investito da un furgone…
- - Parlavo di Rodolfo: sa che ha minacciato Lois?
Anche la testa pesa un quintale: Mario la scuote, tenta di
alzarsi. La gravità è quella di un pianeta alieno, lo schiaccia nella poltrona;
la nebbia nel cervello, dissipata per una frazione di tempo.
-
Come sa del furgone?
Non era sul giornale e la tv…
Un accenno di fame, il cuore pompa energie a braccia e
gambe: queste accennano invano ad un passo con le braccia tese verso Sironi che
beve tranquillo. Poi viene accolto dal pavimento e cala l’oscurità.
Il gestore del maso si alza e controlla il polso di Mario,
poi recupera una corda dall’armadio con cui lega polsi e caviglie del medico.
Senza sforzo apparente lo piazza sulla poltrona come un fantoccio, controlla i
legacci e gli chiude la bocca con del nastro. Recupera i bicchieri e dirige
verso l’esterno, quando vede giungere un’auto che parcheggia nello spiazzo
antistante: sorride e pensa che la giornata si stava facendo molto
interessante.
- -Guarda chi si vede, cosa ti porta da queste parti?
Nostalgia del passato o forse gradisci solo una fetta di strudel: qui da me è
buono, dovresti saperlo.
- - Non t'illudere Peter, Birgitte scende dal mezzo
lasciando la portiera aperta - l’unico fatto certo è che talvolta le fogne s'intasano
e il liquame inonda le strade. Volevo solo capire se possiamo pulire per conto nostro,
senza che ci mettano mano degli estranei.
- -Ci sono tanti modi di pulire, dipende solo dalla
sporcizia che bisogna togliere di mezzo.
- - Tu sei un esperto in materia, ma non sono qui per
questo. Sai cosa è capitato a tuo fratello?
- - Quale dei due, il magnate o lo scemo?
Birgitte resta accanto all’auto, osserva l’uomo con il
vassoio e si guarda attorno. Nessun altro aveva parcheggiato accanto a lei.
- - Hai ospiti oggi?
- -Con questa giornata sono tutti a scarpinare sui
sentieri.
- - Neanche un cliente di passaggio, cosa insolita. Pensa
che cercavo un amico, e credevo di trovarlo qua.
- -Qualcuno che conosco o ti sei convertita a forza di vivere giù in città?
- - Non ha importanza, ti lascio lavorare e me ne torno a
casa.
- - Quanta fretta di andare, c’è qualcosa di strano: sei arrivata
parlando di Lois che ha avuto un incidente e te ne vai perché non hai trovato l’uomo
che cercavi.
- -Non ho mai parlato di Lois, né di incidenti.
Birgitte si getta in auto e blocca le portiere, le chiavi
cadono dalla mano rigida e scossa da tremiti. Si piega per raccoglierle e una
grandine di vetro le copre capelli e spalle: quando si solleva il viso è spinto
dal lato del passeggero e il corpo con lui, con violenza più e più volte. Non aveva mai pensato di
salire sul ring per la rivincita e sviene gustando il proprio sangue prima di
sentire l’arbitro contare.
La riunione alla sede di Trento è stata breve, il tempo
minimo indispensabile per sbrigare la burocrazia: comunque troppo secondo i
parametri di Christof. Sale in auto e si accinge a manovrare per uscire dal
parcheggio, in retromarcia: nell'angolo del sedile nota lo zainetto di Lois,
raccolto in ospedale, e una smorfia deforma il volto. Spegne l’auto e rovescia il contenuto: un
plaid macchiato di caffè, il berretto rosso e una busta di plastica trasparente
con fogli scritti a penna. La grafia è del suo protetto, elegante e ordinata:
il segno di un uomo che stava componendo a fatica il puzzle della vita, nuovamente
frammentato da mani impietose.
Christof legge a voce alta, ascoltando nelle parole il tono
e il ritmo di Lois.
“La Signora è bella, a Lois piace la Signora: gli occhi sono
limpidi come i laghi della montagna. Dagli occhi vedi dentro di lei e ci sono
cose belle.
Mio fratello ha gli occhi scuri, come la notte senza luna e
senza stelle: non vedi nulla e hai paura di camminare.
Ma la notte arriva sempre e se non sei a casa ti prende, ti
sta sopra come una coperta fredda. La
notte ha preso la Signora, è entrata dentro di lei, con il freddo.
Al maso non c’era nessuno.
Niente turisti, il maso era chiuso, il maso del nonno.
Lois ha visto la notte che inghiottiva la Signora, la
Signora che gridava. Al maso non c’era nessuno e Lois era andato per fare
merenda: lo strudel è buono.
Ma la notte è scesa presto, all’improvviso. Lois è scappato,
Lois è entrato nel garage: c’era la grande auto nera. Lois è entrato nella
grande’auto; era nera come la notte, ma dentro di lei non faceva freddo.
E Lois non sentiva più la Signora che gridava”
L’uomo massaggia con l’indice gli occhi chiusi, scuote la
testa e la adagia nel palmo delle mani. L’incastro non era impossibile, parte
della storia la conosceva, ma osservando il quadro aveva sempre fissato il
centro della rappresentazione. I dettagli a margine non aggiungevano nulla di
utile, il pittore li aveva solo abbozzati: solo quando torni di fronte a una
tela che hai osservato cogli le pennellate sfuggenti, i colori appena
accennati. Puoi persino intravedere la firma dell’artista. Afferra il telefono
portatile e scorre velocemente la rubrica.
- -Ciao, hai da fare?
- -La solita routine, e tu?
- -Sono a Trento, ma rientro a tutta velocità.
- -Qualche problema a Lois, è forse peggiorato?
- -Non si tratta di lui, ti spiegherò strada facendo. Tu
sei nei pressi di Fiè, ti dirò dove andare, ma prima passa in comunità e porta
con te Franz e Luciano. A dopo.
Inserito l’auricolare al cellulare, Christof esce dal
parcheggio ala stregua di un pilota dopo il pit-stop ai box; gli insulti di un
settantenne a passeggio con il cane lo inseguono invano.
La grande auto nera e Lois si erano incontrati in precedenza e lei non aveva dimenticato.
Christof entra in autostrada con violenza: pesta
sull’acceleratore quasi si trattasse di un cranio da frantumare, cambia le
marce maneggiando la leva come una clava e inveisce con clacson e abbaglianti
contro chiunque osi frapporsi tra lui e la pista che lo conduce verso il
passato di Lois. Nonostante il presente
si presenti molto più nero dell’oscurità senza stelle sotto la quale le
montagne riposano innocenti.
Al ritorno dalla dormita senza sogni il respiro è strozzato,
la bocca incollata da un sapore di gomma dolciastra: Mario reprime a fatica il
conato e inspira più volte l’aria dal naso, libero. Sa cosa significherebbe
vomitare con la bocca chiusa e, sconfitta la nausea, rallenta il respiro e rifiuta
l’assalto dell’adrenalina: non adesso, niente fame che accelera cuore e
respiro, tira sui legacci solidi stretti intorno a braccia e gambe, serra i
pugni.
Il luogo è familiare, ma nella poltrona di fronte non siede
Peter Sironi e gli occhi di Birgitte lo osservano vacui: i laghi di montagna
sono intorbiditi, nell’acqua limpida qualcuno ha sversato liquame di
fogna. Il telone cerato è a terra, la
“grande auto nera” rivede la luce dopo il riposo forzato: il furgone presenta
una vistosa ammaccatura frontale, il fanale destro rotto e la griglia deformata. Sul paraurti in alluminio la chiazza rosso
scuro ricorda il secondo incontro con
Lois, dopo anni d'indifferenza.
- -Ben svegliati, fatto buoni sogni? Peter chiude la porta del garage e si rivolge
a Birgitte. - Il tuo compare dottore è stato patetico con il tentativo di
aggirare l’ostacolo. Sono un villano,
come ama dire il cittadino Rodolfo, ma non tonto. Tu poi, con il tuo finto
sguardo di cerbiatta impaurita, in cerca di un fantomatico amico: vieni quassù
dopo anni per insegnarmi come si lavano i panni sporchi, infine tiri in ballo
mio fratello.
Peter cammina nel garage tenendo le mani dietro la schiena,
controlla il furgone e verifica i legacci dei prigionieri. Scuote i capelli di
lei e i residui del cristallo compongono una breve e triste melodia sul
pavimento; con la mano accarezza il collo delicato e lo serra dolcemente,
scuotendo il capo.
- - Hai nostalgia del maso o di un pomeriggio particolare?
Un mugolio rabbioso e strozzato attira l’attenzione di
Sironi.
- -Il cittadino impiccione deve dire qualcosa.
Raggiunto Mario gli assesta un ceffone e strappa con
noncuranza il nastro dalla bocca. Il medico risponde con un grugnito e uno
sputo.
- - Sentiamo le novità, ma è inutile urlare, non sono sordo
e non ci sono ospiti. Vuoi ridere? Stasera alla casa- alloggio dove vive Lois
proiettano un documentario sulle Dolomiti: i pigri buzzurri di questa settimana
non hanno voluto perdersela, tornati a casa potranno descrivere luoghi
bellissimi senza aver faticato per vederli.
Mario sorride e respira con la bocca aperta: anche l’odore
del garage è migliore del sapore che aveva sulla lingua. Fissa Peter senza dire una parola e ascolta
il proprio corpo, prosegue con la tattica di tenere a bada la smania e la fame
che gli impedirebbero di ragionare.
- - Come stai Birgitte, che ti ha combinato questo bastardo?
- - Non ti ascolta, interviene Peter -tu hai bevuto un
sonnifero mentre lei si è presa un paio di pugni. È sveglia da tempo ma resta
muta e fissa il vuoto. Peccato, mi divertirò da solo: spiacente anche per te,
ma ti limiterai a guardare.
- -Ho di fronte un vero gigante delle montagne, - Mario,
con calma – che chiama “cittadino” con tono sprezzante chiunque non porti
scarponi o abiti in un maso. Forse chi
vive nel cemento è più marcio di chi respira aria pura? Chi abita in un condominio intrallazza meno
di un contadino dell’Alpe? In questi giorni ho conosciuto tre uomini nati da
queste parti: uno è in coma, il secondo ha un'azienda colabrodo e creditori
feroci mentre il terzo, dall’animo nobile e dedito alla vita sana, tiene
sequestrate due persone. E ha tentato di uccidere il fratello.
- -Non sono miei fratelli: Rodolfo ha mollato tutto anni
fa per guadagni facili e oggi vuole il mio aiuto per tornare a galla. Lois vive
in un sogno da quando è nato: dapprima il maso con me, poi questa fidanzata…
- - E nel mezzo? – Mario a gamba tesa.
- - La qui presente – Peter indica Birgitte senza
distogliere gli occhi da Mario – che lavorava con me al maso mentre Lois vagava
per campi e sentieri. Le ho proposto di
metterci insieme, ma lei ha risposto che c’era mio fratello, lo scemo. Capisci
questa stupida? Era bella, tanto, niente a che vedere con le donne di queste
parti: lavoravamo insieme e scherzavamo, passavamo bei momenti, le chiedo di
unirci e lei pensa volessi fare una società. Quando ho spiegato i miei sentimenti,
mi ha riso in faccia: l’ho presa come volevo, con la forza, e come ha meritato.
Quell’idiota di Lois è rientrato sul più bello e la festa è stata troppo breve:
sparito per ore, quando è tornato era un' altra persona.
- - Rodolfo voleva la quota di Lois per metterti in
minoranza.
- -Lois ha un tutore, ma se decidesse in modo cosciente di
cedere la sua parte il legale non si opporrebbe.
- - Ma tu preferisci che le cose restino come sono.
Peter scuote la testa e intreccia le mani, passeggia
sconsolato.
- - Stavi andando bene, ma adesso non ci siamo. Io non
voglio dividere la torta con Rodolfo: i suoi creditori, gentaglia italiana e
altri che vivono in Croazia, mi hanno
proposto di toglierlo dai piedi. Con un fallimento dell’azienda milanese
recuperano soldi,ma bisogna che qui al maso in minoranza finisca Rodolfo: lui
sarebbe fuori dai giochi, io gestirei il resort e loro potrebbero riciclare
denaro come investitori. Ho chiesto di nuovo a Lois di cedermi la sua parte, ma
lui ha un chiodo fisso: venire a lavorare e vivere qui con la fidanzata.
- - Se Lois morisse la sua parte sarebbe divisa equamente
tra te e Rodolfo.
- -Certo, ma in condizioni di equilibrio i Croati
farebbero la differenza: farebbero saltare
l’affare con Rodolfo, il fallimento gli salverebbe la pelle e mi cederebbe la
sua parte a un prezzo stracciato.
- - Una famiglia da spot pubblicitario: augurati solo che
Lois se la cavi.
- - Non mi sembri nelle condizioni di fare minacce: il
furgone è ben nascosto, tu e Birgitte siete miei ospiti e di certo non son un
pericolo quei quattro idioti con cui viveva Lois.
- - Ne parli già al passato, ti rammento che è ancora vivo.
-
A lui penserò con comodo, ora lasciami divertire un
poco. Goditi lo spettacolo, poi me la vedrò con te.
Peter si avvicina a Birgitte e slaccia le corde alle gambe,
la solleva e la adagia sulla poltrona libera: le sfila le scarpe e i pantaloni,
strappa le mutandine e afferra le gambe affusolate. La donna è l’elemento
inanimato della scena: mentre Sironi si appresta alla violenza, Mario si dimena
tentando di forzare le corde e accenna ad alzarsi. L’uomo lascia Birgitte e sferra un pugno,
spingendo di nuovo Mario a sedere.
- -Tu a cuccia – carica la gamba destra per sferrare un
calcio – botolo ringhioso.
La frase è strozzata:
Birgitte assale Peter alle spalle avvinghiandosi con braccia e gambe al collo e
alla cintura. Tenta di serrare la presa e farlo cadere, ma riceve una gomitata
nello stomaco che le strappa un grido soffocato e molla la presa. Si volta e la colpisce con un calcio, poi si
piega verso di lei. La testata di Mario
lo colpisce nella schiena facendolo cadere in avanti:il medico gli è addosso,
legato e impedito nei movimenti ma Sironi resta sorpreso per una frazione di
tempo. Poi scrolla il fardello e lo allontana, s'inginocchia
sull’avversario e ne stringe il collo con una presa granitica: la fame e la
smania sono forti, ma le mani di Sironi non hanno esitazioni e la stretta si fa
più serrata. L'adrenalina scorre meno
veloce e le luci si abbassano, il ghigno sopra di lui è sfuocato.
L’ultimo suono che Mario percepisce è simile a un gong
smorzato, poi il peso di un sacco che lo
schiaccia prima del buio.
Dalla finestra socchiusa arriva un alito fresco, il respiro
silenzioso dell’angolo di città in cui riposava lo ha svegliato senza grida o
strattoni. Riconosce le lenzuola bianche e gli arredi, sono i medesimi in ogni
ospedale. Anche l’odore.
- -Sto diventando un cliente assiduo di cliniche e reparti
di traumatologia. – Mario si ascolta mentre fissa la porta chiusa.
- -Sei un'auto con qualche ammaccatura, ma i carrozzieri
del posto non sono male.
La voce è vicina, subito si materializza Christof che
esibisce un sorriso convinto.
- -Come stai gladiatore?
- -Questa mi mancava, - Mario ricambia il sorriso - non
sono più un tipo da arena: pensa che non ho dato neanche un pugno. Solo una
testata, come uno stambecco di queste parti.
- -In compenso la faccia dice che ne hai presi.
- -Mi appello ai giudici: ero legato e l’avversario
sferrava colpi bassi. Piuttosto dimmi di Birgitte, come ha assorbito la cosa?
- - Abbastanza bene, ha preferito andare a casa e leccarsi
le ferite nella cuccia.
- - Il fratello sbagliato che fine ha fatto?
- -È nel letto accanto a Lois, le donne picchiano duro.
Birgitte l’ha steso con un colpo di badile alla testa.
- -Fiuuuu! Sembrava alla sua mercé invece mi ha salvato la
pelle.
- - Ha salvato entrambi, quando sono arrivato con tre amici
mi ha raccontato come sono andate le cose: di certo Peter non vi avrebbe
risparmiato.
Mario distoglie lo sguardo e torna a fissare la finestra: di
nuovo la sua vita è stata nelle mani di altri. Pensa a una sorta di
contrappasso per il proprio lavoro: risultati eccellenti, corpi restaurati,
vite restituite alla normalità ogni maledetto giorno. E quel “senso per i guai”
che non può evitare di assecondare, grazie al quale riceve insulti, minacce e
tante botte; la “fame” è pronta a trasformarlo e difenderlo, ma teme di
lasciarle il controllo perché sarebbe lei a gestire le portate e le macchie
sulla tovaglia risulterebbero indelebili. È già successo, insieme all'alcool che pretendeva di ammorbidire le cicatrici.
- - Birgitte non reagiva – continua Christof – perché stava
vivendo di nuovo l’incubo dello stupro da parte di Peter: è lui il bravo
ragazzo responsabile di tutto.
- - Le ha rovinato la vita…
- - Non capisci ancora, Lois ha assistito alla violenza ed
è fuggito dal mondo: lo ha descritto in un diario che custodiva gelosamente.
Quel fatto e le ambizioni di Peter ci hanno portato a questo punto: pensare che
entrambi pensavamo a una trama ordita da Rodolfo.
- - Che fine ha fatto il fratello manager vicino alla
bancarotta?
- - Ho chiesto al Maresciallo De Palo: sembra evaporato,
nessuna traccia.
- - Non credo andrà molto lontano. Tornando all’altro
fratello, Lois non sarebbe stato un pericolo, fino a quando fosse rimasto nella
sua dimensione; ma ha avuto il torto di
innamorarsi e voler tornare al maso.
- - Da qui il rischio che ricordasse tutto, e di rivivere
l’episodio aprendo gli occhi su chi aveva accanto. Comunque era un intralcio
per i piani di Peter: l’incidente della fidanzata era una prova generale del
suo, o forse il fratello pensava che togliendola di mezzo Lois non sarebbe
stato un pericolo.
- -Dalla medesima nidiata sono cresciuti due lupi e un
piccolo cane innocuo.
- -E tu, Mario, non pensi mai a una tana con dei cuccioli?
Preme la mano sugli occhi, ma sa che resteranno asciutti.
- - Non esiste una donna adatta a un cavaliere che caccia i
mostri cavalcando un mulo.
- -Combatti, e questo non è male. Hai assaporato la
sconfitta, ma gusterai anche la vittoria e se trascorri i tuoi giorni defilato
alla fine non avrai ferite, ma voltandoti vedrai una strada vuota.
- - Che mi dici di Christof invece, chi ha vicino a sé?
- -Tante persone e nessuno in particolare. Non ho orario o vacanze tra la casa-alloggio
e le scartoffie: ho passato la vita ad accumulare scatole di altri sugli
scaffali e tenerle in ordine. Quando ho aperto la mia ho trovato solo polvere:
pensa per tempo a mettere cose preziose nella tua.
- -Ho avuto la mia occasione e me la sono fatta scippare:
ancora una volta per guardare i guai attorno a me non ho tenuto stretta la
bellezza che avevo accanto. Ma questa è solo un’altra storia.
- -Devo andare, ma ti lascio due cose: Lois ha ripreso
conoscenza e Birgitte mi ha dato un biglietto. Ciao, quando torni al Fiéé batti
un colpo.
Mario odia la comunicazione 2.0, gli SMS, i post su FaceBook
e altri messaggi distanti con cui oggi i suoi simili si conoscono, si studiano
e si lasciano. Non parliamo di una sana litigata con offese e rivendicazioni,
neanche una telefonata: una pagina voltata o strappata senza fissare negli
occhi l’altro o l’altra che piange o t'insulta.
Capisce che Birgitte ha cercato una mediazione, la strada a metà tra due
chiacchiere e un freddo messaggio di testo: un cuore gelato ha bisogno di calma
e tempo per riscaldarsi.
“Un cantautore delle tue parti diceva che dal letame nascono
fiori, ma questi per quanto belli siano possono essere strappati. E un fiore strappato non sopravvive, perde
colore e profumo, si asciuga in superficie e all’interno: può essere conservato
tra le pagine di un libro e ritrovato da un lettore casuale che vedrà comunque
solo una traccia di colori e aromi di un tempo. Grazie per avere rispettato
quel fiore secco e avermi riposto nel libro in cui mi hai trovato"
La giornata volge al termine, ma in un’altra camera di un
piano diverso dello stesso ospedale una vita si era appena destata: maledicendo
il dolore al volto e al busto si alza e indossa i vestiti come meglio può. Sale le scale contando le fitte e raggiunge
il vetro: sorride e alza la mano. Accanto a lui una donna minuta, sorretta da
due stampelle e con la gamba destra ingessata, accosta la fronte al cristallo e
vi posa la mano sinistra aperta.
Lois Sironi, cinquantadue anni e nato a Bolzano, non si
avvede di Mario mentre protende le dita verso Marta. Il medico prende il
cellulare e si allontana mentre scorre la rubrica sino alla voce Pulitzer.
- -Ciao cronista da strapazzo, hai il taccuino con te?
- - Sei senza speranza, mai sentito parlare di tablet? No, aspetta
forse conosci solo il PC e lo chiami ancora cervello elettronico.
- -Prendi appunti come meglio ti pare, ma ti avverto che la storia è spessa.
- -Parliamo della faccenda di Sironi?
- - I Sironi in ballo sono ben tre, però ci sentiamo più
tardi. Vado a casa a fare una doccia: devo togliermi di dosso un sacco di
schifezza.
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