di Boris Bertolini
Si
potrà discutere all’infinito del perché il nostro paese finisca il più delle
volte a dover occupare posizioni di rincalzo nelle varie classifiche, ma di
certo non perché sia, in generale, a corto di talenti.
Uno
di questi è sicuramente l’autore di cui ci occupiamo in questo numero.
Sto
parlando di Guido Manuli (Cervia, 1931), disegnatore, animatore, ma anche
sceneggiatore e regista di lungo corso.
Guido Manuli
Dopo
essersi trasferito a Milano, ove inizia a lavorare come illustratore, nel 1960 incontra
Bruno Bozzetto, con il quale forma un sodalizio destinato a produrre molti
capolavori, siano essi cortometraggi o lungometraggi.
Passiamo
brevemente in rassegna alcuni di questi titoli: I Due Castelli, di cui è, insieme a Bozzetto, soggettista e autore
delle animazioni; West and Soda e Vip – Mio fratello Superuomo, in cui
ricopre il ruolo di Direttore dell’animazione e dei disegni; Allegro non troppo di cui è
co-sceneggiatore; nonché
tre lavori dedicati al Sig. Rossi .
Contemporaneamente
a queste importanti esperienze professionali, Manuli si dedica alla creazione
di spot pubblicitari e personaggi che appaiono all’interno di sigle televisive.
Suo,
per esempio, è Johnny Bassotto, cane
detective, che compare nella sigla del programma Uno dei tre, anteprima del programma RAI abbinato alla Lotteria
Italia Chi? (1977), così come tanti
altri, realizzati sempre all’interno della Bozzetto Film.
Johnny il Bassotto
Arriviamo
ora al 1982, anno in cui Manuli, per così dire, decide di fare il grande balzo,
mettendosi in proprio.
Nei
primissimi anni di questa sua nuova fase professionale, continua a produrre
sigle televisive e spot pubblicitari per le emittenti italiane pubbliche e
private.
Oltre
a queste realizzazioni, crea anche una serie di cortometraggi dei quali cura
script, animazione e regia.
Uno
è Incubus (1985), che narra di un
pacioso quanto anonimo signore - il classico impiegato di mezza età, per
intenderci - che, sin dal suo ritorno a casa, in una giornata qualsiasi, è
testimone di episodi pazzeschi e incredibili, che gli si materializzano di
fronte mano a mano che sale con l’ascensore verso casa.
Una
volta a letto, si trova poi immerso in una serie infinita e concatenata di
incubi, di volta in volta sempre più spaventosi, fino al suo risveglio
definitivo, il mattino successivo, e al suo ritorno in strada per andare al
lavoro.
Qui,
di nuovo, vive una situazione allucinante che lo porta a dubitare di essere
effettivamente sveglio: strade deserte, edifici vuoti, nessun segno di vita.
A
questo punto il colpo di scena: in realtà tutti si sono nascosti dietro un
enorme grattacielo, come a voler fare un gigantesco scherzo al povero
malcapitato.
Il protagonista di Incubus
Si
riconoscono in questo lavoro alcune delle peculiarità che hanno caratterizzato la
produzione di Bozzetto, con cui Manuli ha da poco smesso di collaborare: il
tratto grafico, che già anticipa il grottesco della storia, il piacere di
esplorare il lato paradossale, ma non per questo meno angosciante, della
vicenda (due esempi sono la ragazzina in stato interessante che accusa il
protagonista di averla ridotta in quella condizione, o, come già detto, il
finale), il ritmo della narrazione.
Un
altro cortometraggio di questo periodo è Più
uno meno uno (1987), il cui motto è “La vita è un film – Senza ciascuno di
noi è un altro film” (che sembra rifarsi a “La vita è un sogno” di Calderón de la Barca).
Esso
mostra come può cambiare l’esistenza di svariati individui a seconda che
ciascuno di noi sia al mondo oppure no (appunto, il più uno o meno uno).
Questo
cartone animato è suddiviso in due sezioni: nella prima abbiamo diversi momenti
della vita di un individuo, dal suo concepimento fino alla sua dipartita, e il
modo in cui egli interagisce con altri individui in molteplici circostanze;
nella seconda queste stesse situazioni, e gli stessi individui, ci vengono
presentati in assenza del nostro protagonista, in un gioco del tipo “vediamo
come sarebbe andata a finire se non fosse intervenuto”.
Il momento chiave
di Più uno e meno uno
Anche
qui l’autore ama giocare con il paradosso e con un pizzico di ironia, ancorché
amara: lo stesso protagonista non ne è esente in quanto, infatti, passa da un
lavoro precario e improbabile a un altro.
In
ogni modo, per ognuno dei personaggi è in serbo una sorte non brillante nella
seconda metà del cartone (la versione “meno uno”), anche se, a dire il vero,
per alcuni pure l’incontro con il protagonista non è foriero di positività.
In
soccorso a questa visione delle cose giungono anche lo stesso tratto grafico,
scarno, per certi versi “puntuto”, ma elegante, e l’uso del colore, che alterna
magistralmente toni tenui a “macchie” più vivide.
Dopo
qualche anno, nel 1991, vede la luce Volere
Volare, lungometraggio a tecnica mista (animazione + live action)
realizzato a quattro mani con Maurizio Nichetti.
I
due, che avevano già avuto modo di collaborare durante la genesi di Allegro non troppo (ricordate Nichetti
nei panni del disegnatore?), terzo lungometraggio di Bruno Bozzetto, firmano
congiuntamente regia e sceneggiatura.
In
Volere Volare si narra la
trasformazione del protagonista, Maurizio, interpretato da Nichetti, da
individuo in carne e ossa a cartone animato egli stesso.
Costui
è un timido ometto, che di lavoro fa il doppiatore di cartoni animati ed è
sempre in caccia di rumori dal vero da utilizzare come effetti sonori.
Un
giorno incontra Martina, impersonata da Angela Finocchiaro, un curioso
personaggio che cattura il cuore del nostro, innescando il processo di
metamorfosi.
Un momento della
metamorfosi di Maurizio
Con
il progredire della loro storia, Maurizio si trasforma sempre di più, fino a
diventare in tutto e per tutto un cartoon, cosa che peraltro non gli preclude
la possibilità di portare a buon fine la propria storia con Martina.
Questa
pellicola, dalla trama semplice ma funzionante, ha dalla sua la carica di simpatia
conferitagli sicuramente dalla sceneggiatura e dalla regia del duo
Manuli-Nichetti.
A
questo si deve senz’altro aggiungere la qualità della recitazione dell’intero
cast, di cui fanno parte anche Patrizio Roversi e Mariella Valentini negli
altri ruoli principali, nonché la mimica di Maurizio Nichetti, in una delle sue
più riuscite interpretazioni.
Altro
punto di forza sta nella fresca simpatia delle gag ideate e realizzate dagli autori, una su tutte la scena in cui
Maurizio si prepara la cena, utilizzando attrezzatura cinematografica a mo’ di
utensili da cucina.
Naturalmente
non di secondaria importanza è la presenza della parte di animazione, che, tanto
per fare un esempio, rispetto a Chi ha
incastrato Roger Rabbit?, uscito tre anni prima, qui compie un ulteriore
salto di qualità: non solo si ha l’interazione tra cartone e attore umano ma
addirittura l’animazione si compenetra al personaggio di Maurizio, così da originare
una vera e propria sua “ibridazione”.
Quest’opera
è risultata vincitrice di un David di
Donatello per la migliore sceneggiatura.
Dopo
questa parentesi cinematografica, Manuli torna alla generazione di corti di
animazione con Trailer (1993).
Questo
lavoro è molto importante, sicuramente per il messaggio che esso porta: rappresenta
infatti un grido, di protesta o di disperazione, per le condizioni in cui versa
l’animazione italiana.
Già
l’incipit, dopo i crediti iniziali, è una dimostrazione di ciò: una scritta
trilingue infatti informa che “È nata una nuova generazione di animatori che,
per mancanza di denaro, dei propri film fa solo il trailer”.
Questa
affermazione, cui fa seguito un breve momento in cui appare lo stesso Manuli
nei panni di un “cartoonist” ambulante nonché questuante, è ahinoi, più o meno
valida ancora oggi: sappiamo infatti che la situazione non è cambiata di molto.
Il
trailer presentato all’interno di questo corto, in sé e per sé, poi, è alquanto
assurdo, a metà strada tra l’horror e il thriller, con svariate citazioni da
film di varie epoche (in primis King
Kong), e con un uso della voce fuori campo che si trasforma, non si sa quanto
involontariamente, in un elemento abbastanza esilarante.
Tutto
questo però, in ultima analisi, è solo un pretesto per riaffermare la necessità
di guardare all’animazione come a una vera e propria forma d’arte che necessita
di tutto il sostegno possibile da parte di chiunque possa fornirglielo.
Il
finale del cortometraggio è in linea con il resto del lavoro: si vede apparire
l’ombra di un famoso personaggio di Disney, che getta nel cappello di Manuli...
un biglietto per Eurodisney!
Dal finale di Trailer
Due
anni più tardi viene realizzato L'eroe dei due mondi, dedicato
naturalmente a Garibaldi.
Lungometraggio
commissionate da RAI e Istituto Luce, si avvale della consulenza storica di
Guido Gerosa.
In
questo caso, si immagina che un bambino, di nome Pallino, a seguito di un
naufragio, incontri, sull’isola di Caprera, un anziano signore che gli racconta
in forma di favola la storia di quest’uomo, delle sue gesta e,
conseguentemente, la storia del nostro Risorgimento.
Nonostante
l’indubbio tono eccessivamente agiografico della sceneggiatura, (per esempio:
nel film non si accenna minimamente ai fatti di Bronte, ma d’altra parte come
si può parlare male di Garibaldi?), ciò che è veramente di valore in questo
lungometraggio è innanzitutto l’idea di usare la tecnica del flash back per far rivivere le imprese
del nostro eroe nazionale.
La copertina del
DVD L'eroe dei due mondi
Poi,
la grafica utilizzata per supportare questi momenti narrativi: un tratto molto
originale, di pretto stampo fumettistico oserei dire, sia per quanto riguarda
il layout sia per quanto riguarda l’uso del colore, giocato su infinite
sfumature di una, massimo due tonalità di base.
Anche
l’animazione, durante il racconto, si muove su un piano assolutamente originale,
avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera accattivante e avvolgente, proprio
come un flusso di memoria.
Una
nota interessante: nella troupe che ha contribuito alla realizzazione di questo
lungometraggio troviamo ancora Maurizio Nichetti, questa volta quale
realizzatore delle scenografie.
Di
qualche anno più tardi è Casting
(1997), che si raffigura come una pura parodia del mondo del cinema: qui si
immagina il casting effettuato per trovare gli interpreti del cartone animato Biancaneve: vengono passate in rassegna
svariate tipologie umane, femminili e maschili, il tutto condito da una
notevole vena di umorismo, che sconfina nel demenziale.
Alla
fine, comunque, i cartoni animati si prendono la loro rivincita sull’autore (Manuli,
intendo dire), che fa una fine davvero ingloriosa.
Un aspirante
Principe Azzurro in Casting
Detto
di Monster Mash (2000), coproduzione
Italia-USA, storia di mostri messi sotto processo in quanto non più in grado di
spaventare nessuno, il successivo lavoro di Guido Manuli di cui vorrei parlare
è Aida degli alberi (2001),
lungometraggio liberamente ispirato all’opera di Giuseppe Verdi Aida.
Vi
si narra la vicenda di Aida, principessa del Regno di Arborea, e Radames,
giovane guerriero del Regno di Petra, reciprocamente innamorati nonostante i rispettivi
popoli d’appartenenza siano da anni in guerra fra loro.
La
loro storia è complicata dal fatto che Amneris, giovane figlia del re di Petra,
è a sua volta innamorata di Radames e dagli intrighi del Grande Sacerdote di
Petra, Ramfis, il quale vuole che suo figlio Kak, più interessato al cibo, in
verità, si sposi con Amneris, al fine di divenire lui stesso il vero regnante
di Petra.
Radames,
per di più, viene anche condannato a morte per aver favorito la fuga di
Amonasro, padre di Aida e re di Arborea, catturato durante una battaglia.
Alla
fine, comunque, come in ogni favola che si rispetti, il cattivo Ramfis viene
neutralizzato, Aida e Radames possono coronare il loro sogno d’amore, che
coincide anche con la fine delle ostilità fra i due popoli.
Radames (di spalle)
ed Aida
E
Amneris, vi chiederete voi? Beh, Amneris finirà con lo scoprire in fondo che
anche il pacioso e goloso Kak ha notevoli virtù e decide quindi di consolarsi
con lui... in fondo è comunque lei la figlia del Re di Petra, destinata ad
assurgere al trono e a comandare, senza contare che, nel mutato clima politico
che si è creato tra Petra e Arborea, non serve più un re bellicoso.
Realizzato
in collaborazione con la casa di produzione Lanterna Magica, avvalendosi della
sceneggiatura, oltre che dello stesso Manuli, di Umberto Marino, questo è a mio
avviso sicuramente il più disneyano di tutti i lavori del nostro.
Lo
stile grafico, l’animazione, la presenza di canzoni nei momenti più cruciali
dal punto di vista del dramma psicologico che coinvolge i personaggi, tutto si
rifà alla tradizione d’oltre oceano.
Non
solo questo, naturalmente: anche il modo in cui sono delineati tutti i
personaggi, a cominciare dagli animali “antropomorfizzati” nei loro
comportamenti, strizza decisamente l’occhio al mondo Disney (da Pocahontas ad
Aladdin, giusto per fare due nomi a caso).
Vale
la pena comunque sottolineare che siamo di fronte a un lavoro di pregevolissima
fattura e che non scade nella melensaggine o, peggio, nel ridicolo.
I
personaggi sono comunque ben delineati e ben calibrata è la suddivisione dei
ruoli del tipo “caratterista”: in questo senso fantastico è il coccodrillo
goloso di biscotti, che piange a comando e nelle cui lacrime si riflettono le
immagini di ciò che sta succedendo in giro per il mondo (una specie di specchio
magico, insomma).
Un’ultima
annotazione prima di salutare questo lavoro: esistono tantissime e incredibili
somiglianze fra i personaggi, gli ambienti, gli oggetti che compaiono in questo
lavoro e quelli che troviamo in Avatar
(2009), il film di J. Cameron che tanto successo ha avuto al botteghino in
tutto il mondo.
Al
di là di eventuali contenziosi (di cui si ignora l’esistenza e che non
interessano chi scrive) fra gli autori, questo fatto può essere interpretato come
un indiretto riconoscimento della validità della nostra scuola in fatto di
animazione.
L’ultima
creazione, ma solo in termini puramente cronologici, di Manuli è la serie
televisiva Acqua in bocca (2007-2008-2011),
realizzata in co-produzione con RAI e MAGA Production.
Si
tratta di brevissimi episodi da 5 minuti l’uno che hanno come protagonisti due
simpatici e svitati pesciolini (Pippo e Palla), che vivono in un acquario
all’interno di un appartamento occupato da una classica famiglia (la famiglia
Carugati nella fattispecie, formata da Ma’, Pa’ e i figli Chris e Sara) con
annesso gatto di ordinanza.
In
questi episodi, realizzati con la tecnica digitale 3D, la vita di questa
famiglia e le sue dinamiche vengono viste e vissute dal punto di vista... dei
due pesci, che ci danno la loro personalissima interpretazione di tutto ciò che
accade nell’ambito della famiglia.
Il
tutto tenendo anche conto della differente indole e psicologia dei due pesci,
uno ingenuo, a volte anche sciocchino, l’altro che si vuole dare un contegno da
“pesce di mondo”, ma che anch’esso non poche volte rivela la sua vera natura
sempliciotta.
Ne
nascono così degli episodi che, grazie anche alla loro brevità e alle
situazioni a volte surreali che rappresentano, strappano il sorriso.
Il logo della serie
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