di Alessia Ghisi Migliari
Ciò che è nascosto sussurra, appena sceso il tramonto del 31
ottobre.
Si scruta il calare della penombra – stavolta amica e rifugio, e non pericolo
che inghiotte.
Una donna di cui non vediamo il volto palpa l’inconsistente
spessore della luce.
Si sa che questo è il momento in cui il velo si fa più sottile.
Il velo tra “qui” e “Altrove”, mistico altro luogo del dopo-senza-tempo,
abitato da chi non è più.
A Samhain, il capodanno celtico, oltre il crepuscolo, si è più
vicini alle proprie radici, si conclude un cerchio, si inizia un nuovo
percorso.
O, almeno, così si dice.
Le tradizioni sono importanti, anche quando rimaneggiate; vengono dal remoto,
da più parti, con nomi diversi, come archetipi junghiani. Ma la sottile trama del velo non è percepibile a tutti.
Che poi, i veli sono ovunque: sono la danza di Salomè, sono le tende che giocano con il vento, chiudendo lo sguardo tra
dentro e fuori.
Sono le parole non dette, le verità non sapute, quelle che non sono concepibili e visibili, celate.
Sono i segreti di donna, i divisori per proteggere o rinchiudersi, i giochi di sensualità,
le espressioni degli occhi quando non vogliono tradirsi.
Questo velo però è diverso – almeno, così si dice (ripetiamolo).
A questa sconosciuta pare di sentirlo.
“Lei” non ha un nome.
O, meglio, ne può avere molti, perché in questi tempi in cui si rimaneggiano
usi antichi, molte “lei”, e non solo, si mettono a studiare storie trascorse;
si cerca sempre un proprio percorso interiore, quando la vita pare sbarrare le
strade abituali.
Le faccende spirituali, insite, si risvegliano di solito quando si ha il cuore
pesante: rifugio di disperazione o rivelazione che era in attesa in un angolo, poco
importa.
C’è da preparare un banchetto, oggi.
A Samhain, bisogna ricordare gli antenati, celebrarli, riconnettersi con le
proprie origini, per poi contemplare la vita che va a riposare, ma solo per una
stagione, perché in realtà da subito, lentamente, ricomincia tutto.
Dunque Lei imbandisce una tavola.
Mette i frutti della terra di questo periodo ben disposti.
Qualche piatto, e su un piccolo altare, fotografie e cristalli e oggetti cari.
No che non è un argomento macabro.
È una festa quieta.
Accende le candele, ha decorato con foglie autunnali e castagne la casa.
Sulla soglia, ha posto dei dolci: son per coloro che non hanno nessuno che li
ricordi – almeno, così si dice. Una musica di pianoforte, tranquilla, mette a proprio agio la
sera.
Lei ricorda – tanto, di ognuno di chi non è più, con un senso di gratitudine
per essere stata amata, per ricordarsi chi è, da dove viene, così poi, magari,
si va avanti.
C’è un tempo per essere leggiadra come un’adepta di Isadora Duncan, libera e
selvaggia sulla spiaggia, e uno per Samhain.
Che a pronunciarlo è difficile.
Lei lo vive a modo suo; non che ci sia un giusto o uno sbagliato.
I dogmi sono restrittivi, e dall’altra parte bisogna stare attenti quando
arrivano ondate New Age che rischiano talvolta di annacquare e svendere certi
temi.
Le sembra simpatica la versione commerciale, di questa data – verranno infatti i
bambini del vicinato, e lei ha le caramelle pronte, e saranno tutti allegri nei
loro costumi di Halloween.
Brucia lo stoppino, si sentono nell’aria cannella e vaniglia, sulla tovaglia
zucche, mele e vino. “Ricordi quella volta che…?”, interroga l’aria, sperando che qualcuno senta.
Qualcuno di preciso, che non ci rivela.
Si impegna in una visualizzazione: ha studiato a fondo i benefici psicofisici
delle varie forme di meditazione, ma lei se la cava meglio così.
È mezzanotte quando il velo si fa il più sottile possibile – almeno, così
si dice. Bisogna rispettarlo, sia chiaro. Non tentare di oltrepassarlo, ma solo star lì vicino, come si appoggerebbe la
fronte a un vetro, aspettandosi lo stesso gesto da chi è dall’altra parte.
Ci dovrebbe essere cautela e rispetto, per l’ignoto, anche solo per prudenza.
Nella sua mente, appoggia la mano a una sorta di lenzuolo di seta, bianco,
appeso ai rami di alberi lungo il sentiero di un bosco che crea nel suo
immaginario.
Un’ombra le appare dall’altra parte, ben nota, una sagoma benevola.
Il profilo al di là del drappo appoggia la mano alla sua, le pare di sentire la
pressione sul palmo, mentre ondeggia l’inesistente tessuto.
“Grazie di essere venuto”, dice a bassa voce.
Vorrebbe aggiungere altro, ma non lo fa.
A molti lei sembrerebbe strana – chissà perché nelle religioni globalmente
accettate ci si può rivolgere ai defunti e a Creature Supreme, ed è “fede”, ma
in ciò che sconfina dei canoni, dalle
statistiche, è stravagante o patetico.
Ma non è il caso di distrarsi.
Vive nell’istante di questo incontro – che sa essere in lei (delle faccende
filosofiche sul concetto di realtà se ne frega).
È che sente nettamente un senso di profondo mistero, di presenze ingannate dal
visibile, di dimensioni neanche raggiungibili col pensiero, ma manifeste tutto
attorno, costantemente, segreti in piena luce e unici bagliori concessi, per
intuire che c’è Altro, e molto.
Domani andrà a lavoro, uscirà la sera, guarderà un film.
Adesso è però sul divano a salutare l’invitato d’onore del banchetto
invisibile.
Che è stato così importante per lei: un padre, un amico, un
amante, un nonno, un avo… noi non lo sappiamo.
Samhain è fine, è inizio.
È riflettere su ciò che si è coltivato e raccolto, proteggersi dai mesi freddi
che verranno, fisici e simbolici, mentre già si riprende a costruire.
Il velo adesso tornerà a farsi spesso.
Se esiste, c’è un motivo.
Eppure, accidenti, come lo sente, che c’è celato Qualcosa, ovunque.
Sta per rialzarsi e le pare di percepire le ultime parole, da oltre la cortina:
“Adesso vai: provieni da noi e a noi, e quindi tu non sei sola, mai”.
Samhain è antenati, sangue e storie ignote sotto la pelle; è
radici e domani; è zucche, mele, fotografie e candele. E che si chiami come si
vuole, questa data, non importa, ché tanto Jung, aveva ragione sul filo rosso
che unisce l’Umano.
Ognuno ha il suo Samhain.
Queste sono poche righe che ritraggono un pensiero; si viene tutti
da molto lontano, figli di lunghe reti che si perdono chissà quando, figli di
molti prima di noi – per cui, magari, è proprio vero, che non si può essere
soli, soli davvero, anche quando ci sentiamo tali, perché conteniamo vicende
sconosciute che attraversano secoli.
Forse siamo circondati da segreti che si tradiscono, quando
vogliono e con chi vogliono, ma solo di un millimetro e nulla più.
E, dopo, tacciono.
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