di Annalisa Petrella
Atena non poteva
dimenticare la prima volta che era approdata con Guido a Lipari nell’aprile del
1970. In quel momento non avrebbe mai pensato che quel frammento di fulgore si sarebbe potuto infrangere.
Oggi stava ritornando alle
Eolie, completamente sola, dopo trentadue anni. La nave, partita da Milazzo con
mare mosso, quando si era addentrata nell’arcipelago, aveva dominato il moto
ondoso con una grazia che aveva ricomposto i sussulti sfiorando Vulcano ed era
approdata nel porto di Lipari che si ergeva sulla baia in tutta la sua
magnificenza. Allo sbarco Giannino le corse subito incontro col cartello “Miss
Atena Markaris” e l’avvolse in un abbraccio caloroso:
- Siete ancora tanto bella, Miss Atena!
Bassino, magro e scattante
con la pelle bruciata dal sole, abbrustolita come la crosta del pane casereccio
dimenticato nel forno, non era molto cambiato da allora.
- Lascia perdere,
Giannino, il tempo non perdona! Tu piuttosto eri un adolescente e ti ritrovo
adulto, sono così contenta di rivederti e di sapere che hai una bella famiglia;
al telefono mi dicevi che anche Rosario se la cava ancora bene, passerò nei
prossimi giorni!
– Ne sarà felice, potrete
così vedere la mia piccolina.
- Certamente, ma ora sono
impaziente di tornare a Quattrocchi, muoio dalla voglia di rivedere “Il covo”,
andiamo!
Era una
donna insolita Atena: alta, solida, con una figura elegante che non si
dimentica e che ci si porta dietro ovunque si vada. Aveva un volto greco dal
profilo arcuato che pareva intagliato nella pietra, un volto nel quale la
cupezza dei colori contrastava con la lucentezza degli occhi e della dentatura
smagliante. Prima di salire sulla vecchia Volkswagen la donna si soffermò un attimo
a riabbracciare con lo sguardo la baia al tramonto.
Giannino, caricando i
bagagli, esclamò:
- Miss
Atena, avrebbe potuto spedire anche questi da Firenze, sono pesanti da portarsi
appresso!
Atena sorrise, scuotendo
la nuvola dei ricci ribelli:
- Giannino, grazie, ma non riesco a separarmi
dai miei attrezzi da lavoro!
Inerpicandosi lungo la
strada che collegava i paesi sparsi sull’isola arrivarono alla volta di
Quattrocchi, svoltarono in una carrareccia fiancheggiata da oleandri in fiore,
superarono il cancello e si fermarono nel giardino selvaggio che circondava la
vecchia casa.
Atena avvertì un balzo nel
petto: il “Covo” era lì, identico a quando lo aveva lasciato. Una recente
imbiancata a calce metteva in risalto i colori contrastanti del tetto e delle
finestre e la prorompente bougainvillea fucsia cadeva a cascata dal pergolato sul
vecchio tavolaccio con le panche. In preda alle emozioni la donna fece un giro all’interno
della casa dove neppure il più piccolo dettaglio era cambiato. L’uomo le aprì
anche la piccola dependance:
- Mi
hanno detto di metterle a disposizione anche lo studio del Maestro, sanno che
lei è una pittrice famosa venuta qui per lavorare e hanno pensato di farle
questa gentilezza. Di solito lo tengono chiuso.
Si
guardarono in silenzio e non aggiunsero altro.
- Io
non ho fiatato, Miss. Neanche una parola
Entrambi sapevano che Atena aveva imparato a
dipingere lì, osservando la creatività del suo maestro, lì aveva amato senza
remore l’uomo che l’aveva stregata, lì aveva concepito Ari e lo aveva fatto
nascere.
- Mi
raccomando, se avesse bisogno di qualsiasi cosa mi chiami, il mio numero ce
l’ha.
Dopo aver congedato
Giannino, Atena sistemò tele e pennelli in preda a un tumulto di emozioni e fece
un giro lento nello studio ritrovando gli oggetti del suo passato. La casina in
pietra lavica si apriva in un ambiente molto ampio illuminato da tre finestre e
una porta finestra che inquadravano il mare. Nel locale una parete attrezzata
con scaffali e armadiature su misura raccoglieva tele, cavalletti, materiali e
gli attrezzi più svariati per la pittura, un lungo tavolo di rovere era posto
davanti, un divano un po’ sfondato dai toni caldi con sedie spaiate creavano uno
spazio da conversazione. Poco più in là un paravento sbiadito e orientaleggiante
nascondeva in parte un letto matrimoniale essenziale ricoperto da un telo
giallo sole e da cuscini di varie misure buttati lì come un invito. Tele appoggiate
ovunque anche negli angoli, alle pareti ceramiche e quadri soprattutto di
Guido, in posizione centrale l’ultimo ritratto che lui le aveva fatto nel
lontano 1974. Le vennero le lacrime agli occhi rivedendosi e un certo patema
d’animo l'assalì, ma pensò che per gli altri lei non era riconoscibile: sullo
sfondo si vedevano il mare d’inverno in tempesta e la vegetazione frustata dal
vento, in primo piano il suo volto di profilo, appena accennato, rivolto verso
il cielo terso, il braccio destro piegato all’altezza della vita con la mano
che si intuiva appoggiasse sull’addome della sua figura, in rosso e arancio,
seduta sulla panca. Atena credette che il cuore le potesse scoppiare, in quella
stanza il tempo si era fermato, sapeva che Guido
aveva continuato a lavorare fino alla fine, ma certamente lo aveva fatto negli
studi di Urbino e di Roma. Lì aveva lasciato tutto com’era e ovunque, anche
nella piccola cucina, si avvertiva la presenza di Guido e di quello che avevano
vissuto insieme. Volle calmarsi, sfogliò qualche libro appoggiato sugli
scaffali e tra le riviste d’arte ne trovò una con un segno alla pagina con l’intervista
fattale alla sua prima personale di New York.
Quindi uscì sull’aia che
dominava un mare calmissimo dai toni violetti e si sistemò rilassandosi sulla
panca piastrellata dove, dopo tanto tempo, avvertì finalmente un senso di pace.
La quiete del luogo, che
sentiva suo nell’intimo, la riportò a ricordi lontani: rivide il mare greco
della sua infanzia infelice e le immagini sfuocate del giorno in cui, aveva solo
cinque anni, era rimasta traumatizzata dalla notizia della perdita di entrambi
i genitori, falciati da un incidente automobilistico. Era stata affidata alla
zia Ebe, sorella della madre, che l’aveva tenuta con sé per tre lunghissimi
anni durante i quali aveva compresso e mutilato
la sua capacità affettiva e relazionale. L’austerità e la freddezza di quella
donna nubile, avviluppata in una forma di religiosità estrema, le avevano
riversato addosso paura e sensi di colpa. Poi era entrata in un collegio
religioso femminile e vi era rimasta fino alla maturità. Le visite mensili della
zia rappresentavano per lei un incubo e una noia mortale: domande precise sulla
catechesi, resoconto dettagliato delle valutazioni in tutte le materie,
raccomandazioni concise e imprescindibili sui doveri morali. Le suore avevano
completato l’opera. Non le era mai mancato il sostegno economico, quello no, ma
era cresciuta raggelata da un senso di solitudine profonda e con il carico
pesante dell’insicurezza, della mancanza di autostima e di fiducia nel
prossimo. Malgrado ciò a scuola era riuscita a crearsi un proprio spazio,
sempre ben arginato, nel quale l’interesse per lo studio e il rifiuto di perdere
tempo in passatempi banali le avevano fatto mettere a frutto le proprie risorse,
cosicché negli ultimi tre anni di liceo diventò la prima del suo corso. La cosa
non le attirò certo la simpatia delle compagne, ma a lei non importava granché,
si era costruita una scorza di difesa dai sentimenti e dagli attacchi degli
altri. L’unico momento di relax che si concedeva era ritagliarsi una mezz’ora
dopo pranzo per fare bozzetti a matita o carboncino su un piccolo album rilegato
dalla copertina in seta blu.
Quando aveva deciso di
trasferirsi in Italia all’Università di Urbino, la zia aveva recalcitrato in
tutti i modi, ma Atena, supportata da un diploma con ottimi voti e addestrata a
una dura scuola di resistenza, aveva sfoderato le proprie armi ben affilate per
convincerla. Alla fine l’aveva avuta vinta ed era partita.
L’Italia rappresentava la
libertà, l’autonomia dall’angusto giogo familiare e Urbino si rivelò una scelta
vincente. La città era vivace e animata dalla presenza di studenti provenienti
da tutto il mondo, finalmente Atena poté uscire dall’isolamento cui era
abituata, fare qualche amicizia e imparare a relazionarsi con gli altri. I
corsi di estetica e pittura all’Accademia di Belle Arti risvegliarono in lei desideri
e capacità sconosciute e le indicarono il percorso da seguire.
Poi, al secondo anno conobbe
Guido Branciforte, titolare del corso di Pittura, che, come un uragano, entrò
nella sua vita e la capovolse. Non si era mai innamorata e non cercava storie
d’amore, anzi le evitava accuratamente, tantomeno desiderava infilarsi in
situazioni complicate, ma tutto ciò accadde. La ragazza rimase ammaliata dalla
genialità artistica dell’uomo e dalla sua capacità di trasfondere negli altri
le proprie passioni. La differenza d’età, ventidue anni, non la spaventava e
neppure il fatto che Guido non fosse divorziato,
benché vivesse separato dalla moglie. Lui le spiegò che non lo aveva fatto per
non aggiungere altri problemi alla donna che era caduta in depressione per la
mancanza di un figlio. Del resto, in pieno accordo, ciascuno conduceva la
propria vita liberamente.
Atena e Guido furono
travolti da un amore esplosivo che dilagò occupando ogni spazio e ogni attimo
del loro tempo, appena potevano fuggivano insieme nella casa estiva di Guido a
Lipari che diventò il loro rifugio. L’isolamento del luogo esaltava il loro
desiderio e la voglia di stare soli, ritornavano a Urbino mal volentieri, il
minimo indispensabile per le lezioni, gli esami, e poi correvano di nuovo via al
“Covo” ad amarsi, a dipingere, a discutere, a sognare. Atena si scoprì nuova e capace
di lasciarsi andare a sentimenti totalmente sconosciuti: la bellezza nordica di
Guido, in totale contrasto con la sua sensibilità latina, sublimate dalla
seduzione dell’amore per l’arte, la irretivano in un presente senza confini.
Il giorno in cui ebbe
conferma di essere incinta per lei fu una catastrofe. Improvvisamente si sentì
tradita dalla sorte e dal suo uomo, si disperò come una bambina e pianse sulla
sua spalla non volendo sentire ragioni, poi si chiuse in camera da sola per
ore, ma non riuscì a calmarsi, neppure quando Guido, che invece era felice
della notizia inattesa, le propose di progettare una vita insieme. Più lui
insisteva più lei si rinchiudeva in se stessa in un rifiuto esasperato.
- Non
sono pronta per un figlio e non m' interessa neanche per il futuro! Mi sento
imprigionata! Ti amo, ma voglio crescere, studiare e dedicarmi all’arte come
hai fatto tu. Non sono neanche certa di voler vivere per sempre con te, la
parola sempre mi fa pensare a un obbligo che non lascia via di scampo. Lo
capisci? Io ora voglio te, così come siamo, e non un figlio. Non sono mai stata
una figlia neppure io, lo sai, sono troppe le incognite. Oh Guido, sono così
infelice, non puoi immaginare quanto!
- Amore,
non credo di riuscire a capirti fino in fondo, anche se ci provo, tu hai poco
più di vent’anni, è vero, ma io non ho mai creduto tanto in un sentimento come nel
nostro, questa gravidanza inattesa può solo accelerare i tempi per organizzare
una vita insieme. Avevo creduto che anche tu lo desiderassi, ti prego, diamoci
questa possibilità e fai nascere questo bambino.
Malgrado Atena avesse già
pensato all’idea di abortire, lo sguardo implorante dell’uomo e la sua
tenerezza fecero breccia nel muro che si era frapposto tra loro due e capì di
essere stata egoista e categorica; per la prima volta rifletté anche sul fatto
che sarebbe stata una crudeltà togliere il sogno della paternità a Guido che
non meritava di soffrire. Lo strinse a sé, lo baciò e fecero l’amore con un
desiderio potente poi, cenando sulla loggia al lume di candela, Atena accolse la
sua richiesta con un sorriso. Decisero insieme che durante la gravidanza sarebbero
rimasti a Lipari dove avrebbero fatto nascere il bambino.
Accadde poi che, lungo i mesi dell’attesa, Atena
si rendesse conto di essere cambiata, viveva in una scissione continua
altalenante tra serenità e angoscia. In alcuni momenti quando provava a
immaginare il proprio futuro si sentiva assalita da uno stato d’ansia e, con
rammarico, prendeva atto che in lei non si manifestava la gioia della
gravidanza, anzi la graduale trasformazione del suo corpo la turbava e la
infastidiva. Allora distoglieva volutamente il pensiero da questi sentimenti
che considerava disdicevoli e si dedicava alla pittura e alle passeggiate
sull’isola con Guido che era sempre più protettivo e amorevole. Quando però
capì che persino il grande amore per lui si stava trasformando in affetto, un
affetto grande, immenso, riconoscente, ma che offuscava l’attrazione e il desiderio
di una progettualità, ne rimase sconvolta. Non riusciva a spiegarsene le
ragioni se non con il fatto che la nuova vita che andava formandosi dentro di
lei avesse il potere invasivo di neutralizzare l’energia e la passione viscerale
che li aveva uniti.
La notte in cui comunicò a
Guido che dopo il parto si sarebbe trasferita a Firenze da sola e gli avrebbe
lasciato il bambino per sempre, l’uomo che aveva sorvegliato e intuito tutti i
suoi cambiamenti più reconditi, annuì in silenzio, si alzò dal letto stremato, uscì
sull’aia e si abbandonò a lacrime amare.
Aristoteles Branciforte,
fu registrato, per volere di Atena, come figlio di Guido e della moglie Lavinia,
che aveva accettato di buon grado e, dopo una settimana dalla nascita, Atena
partì, lasciandosi tutto alle spalle.
Oggi
Atena rientrò in casa, si fece un caffè e si
accomodò sul vecchio divano. Pensò che la sua vita, dopo la fuga, era stata un
susseguirsi di studi, ricerche, esperienze che l’avevano portata in giro per il
mondo, ma, soprattutto, era stata piena di rimorsi e sensi di colpa. Un
tormento. Non c’era stato giorno della
sua vita in cui non avesse pensato a suo figlio e alla tragedia che lei aveva
innescato con la sua scelta folle, incosciente, ingiusta, irreversibile. Dopo tre
anni aveva trovato il coraggio di contattare segretamente Lavinia, la moglie di
Guido, e le aveva chiesto di darle la possibilità di ritornare sui propri
passi, assicurandole che non voleva interferire nel loro matrimonio, voleva
soltanto trovare un modo per riavere Ari. Lavinia fu tetragona a qualsiasi
proposta:
- Lei
non può accampare nessun diritto sul bambino che risulta a tutti gli effetti
figlio mio e di mio marito, mi sorprende che non se lo ricordi. Ha deciso tutto
lei.
- Lo
so, mi scusi, e le sono grata di quello che ha fatto, ma ho sbagliato, mi sento
un mostro e…il bambino mi manca!
- Vedo
che non ha freni inibitori, prima lo rifiuta, e non ho mai capito con quale
coraggio, poi ci ripensa e si comporta ancora una volta da immatura e instabile.
Come può pensare di offrire al piccolo tutto quello che gli diamo noi! E poi
non le interessa la serenità del bimbo che si troverebbe sballottato in una
situazione difficile, complicata e dolorosa, si rende conto di pensare soltanto
a se stessa e alle sue pulsioni momentanee? Sappia che le impedirò in tutti i
modi di nuocere ad Ari, se lo stampi bene nel cervello!
Le parole di Lavinia la
convinsero che il suo errore era irreparabile: la donna, che amava suo figlio
come se fosse il proprio, aveva ragione su tutti i fronti, soprattutto, - e la
cosa per un verso le aveva fatto piacere -, aveva sottolineato il benessere del
bambino, la sua priorità. Questo le aveva dato il colpo di grazia. Si rese
conto che la rinuncia ad Ari era definitiva, i sensi di colpa per ciò che aveva
fatto non le diedero più tregua e le notti attraversate da incubi e insonnia
diventarono per lei una costante, ma non se ne lamentava, era convinta che
fosse il giusto prezzo da pagare per il suo misfatto.
Rivide Guido
dopo undici anni a New York: se lo trovò davanti inaspettatamente tra gli
ospiti intervenuti all’inaugurazione della sua prima mostra personale, era più
attraente che mai con la sua massa di capelli candidi che si era forse un po’
assottigliata ma incorniciava con un tocco di estrosità il suo viso dai tratti sottili
più marcati dal tempo e la figura maestosa, come
sempre, riempiva la scena. Noto a livello
internazionale come uno degli artisti di successo più innovativi, Guido era con
lei al centro dell’attenzione e veniva avvicinato da tutti per un saluto o un
commento sulle opere esposte.
- Non
potevo mancare oggi, Atena, complimenti! E… dimmi, come stai?
Un’ondata di nostalgia calò
sulla donna che scambiò con l’uomo uno sguardo che li avvinse. La notte insieme
fu troppo breve, dopo l’amore parlarono a lungo, poi, a un certo punto, lui le mostrò
la foto di Ari e le raccontò. All’alba
l’uomo le chiese ancora una volta di non sprecare altro tempo, sarebbero
ritornati assieme e si sarebbero presi Ari con loro. Atena aveva catturato per
sé un attimo di eternità, ma sapeva cosa doveva fare. Si vergognò all’idea di
tradire la dedizione di una donna che aveva accettato senza riserve il figlio
di un’altra, un’altra che lo aveva rifiutato e, per di più, le aveva strappato
via il marito per sempre. No, non poteva. Gli disse che il bambino andava
tutelato ad ogni costo e prima di tutto, anche del loro amore. Trattenne con sé
la foto e pregò Guido di lasciarla andare per la sua strada.
Lo aveva rivisto soltanto
un’ultima volta in ospedale, era stato lui a chiamarla prima di morire e lei l’aveva
raggiunto. Nel corridoio, andandosene, aveva incontrato suo figlio per la prima
volta, era insieme a Lavinia che la presentò freddamente come un’ex collega del
marito. Furono pochi secondi rubati a un’intera vita: Ari era bello, delicato
ma infrangibile e con lo sguardo greco, un fulmine.
Aveva poi chiuso in
cassaforte la lettera che Guido le aveva consegnato nella quale le aveva voluto
attribuire, come volontà testamentaria, l’usufrutto del “Covo”, ma Atena non
intendeva avvalersene, le bastava prenderlo in affitto ogni tanto, la casa
apparteneva a suo figlio.
I giorni a Lipari furono
produttivi, Atena fece lunghe passeggiate nei punti panoramici fermandosi a
tracciare numerosi schizzi e uscì in barca con Giannino e Rosario che si
dedicarono alla pesca mentre lei li ritraeva con carboncino e pastelli. L’ultimo
giorno di vacanza sull’isola fu doloroso, il distacco da quel luogo le pesava, dopo
aver radunato le proprie cose si era spostata nella casina a lavorare, sarebbe
partita nel pomeriggio. All’improvviso sentì la frenata dell’auto nel cortile e
se lo trovò alle spalle mentre dava un ultimo ritocco alla tela. Si girò e lo
vide, Ari la sovrastava di tutta la testa, le sorrise:
- Ho
pensato di venire di persona a ritirare le chiavi per conoscerla, ci siamo
incontrati qualche tempo fa in un momento infelice. Sono il figlio di Guido, Aristoteles,
in casa mi chiamano Ari da sempre. Lei è Atena Markaris e sono orgoglioso che
sia stata qui.
Atena era congelata in un
blocco di ghiaccio a dispetto dei trenta gradi, ma s’impose il controllo, si
alzò, gli diede la mano e disse:
- Grazie
di essere venuto personalmente, non credo di meritare tanto, ma ne sono contentissima.
Mi ricordo di lei Aristoteles…
- Mi
chiami pure Ari, è meno imperativo, e mi dia del tu, se vuole.
- Va
bene, ma a patto che anche tu me lo dia, Ari.
- Affare
fatto.
- Mi
dispiace per tuo padre, davvero tanto!
- Grazie!
Tu sei stata una sua collega all’Università, se non sbaglio, ma so che sei
andata in America e ti sei dedicata alla pittura, con successo. A tempo pieno?
- Oh
sì, Ari, sono stata fortunata a incontrare il favore del pubblico e dei critici
e ho privilegiato la pittura, anche se ho appena accettato un incarico
d’insegnamento a Firenze, dove sono rientrata dopo una lunga assenza. Basta
girare per il mondo, l’Italia mi mancava!
- Lo
vedo, hai voluto ritornare a Lipari nella casa di papà per trovare ispirazione?
Mi manca mio padre sai, tantissimo. Mi piacerebbe sapere come vi siete
conosciuti, so che ti apprezzava. Basti dire che nello studio di Urbino ha
appeso un tuo quadro dietro il suo tavolo da lavoro.
- Davvero?
Ne sono gratificata, lui è stato il mio maestro preferito in Accademia e ci
siamo frequentati per qualche tempo, pensa che sono già stata qui, ma era tanto
tempo fa, ero giovanissima.
Non
ci siamo mai persi del tutto. Ma, scusami, vuoi un caffè? Ci metto un minuto a
preparartelo, aspettami.
Ari osservò con attenzione
il quadro di Atena e gironzolò per lo studio, notò alcune tele appoggiate in un
angolo, le sollevò da terra e le mise sul tavolo, non le aveva mai notate.
Erano abbastanza grandi e piene di luce e colore, gli piacevano e quando la
donna rientrò chiese:
- Papà
ha prodotto tanto e ha avuto, come del resto tutti voi pittori, fasi diverse per
le tecniche e gli esperimenti artistici. Questi lavori che non ho mai notato
devono risalire al passato. Li conosci?
Atena avvertì un senso di
pericolo:
- Hai
un buon occhio artistico, è vero queste tele risalgono almeno a trent’anni fa,
non c’è dubbio.
- E
tu c’eri quando lui le dipingeva?
Il pericolo si stava
concretizzando:
- Certo,
Ari, è stato proprio nel periodo in cui ci frequentavamo, ti piacciono?
- Ed
eravate amanti, vero? - lo disse sottovoce con un’impudenza quasi innocente.
Atena ebbe un colpo al
cuore, tacque per un momento per rinfrancarsi, ma capì che non poteva
arrampicarsi sugli specchi:
- Vuoi
mettermi in imbarazzo, capisco. Come faccio a negare l’evidenza?
- Scusa
se mi sono permesso, ma in quel quadro c’è la tua immagine, non ci sono dubbi!
Ho sempre pensato che fosse una musa ispiratrice del passato e ora finalmente
l’ho conosciuta - Rise in un modo spontaneo privo di doppi sensi.
- Sì,
Ari, lui e tua madre erano separati in quel periodo. Non voglio negarlo, è stato
un amore breve e indimenticabile. Ma si sa che le cose belle finiscono a volte,
comunque è andata così.
- Io
credo alle storie d’amore, sapessi quante volte mi sono chiesto il motivo per
cui i miei vivessero insieme, ho sempre pensato che ci fosse qualcosa che non
funzionasse tra loro. Intendiamoci, sono stati due genitori ineccepibili, ma si
capiva che l’intesa tra loro era formale, un bambino respira la felicità quando
c’è.
- Credo
che la tua nascita li abbia fatti riavvicinare e che l’amore per te sia stato
un collante prezioso.
- Sarà,
ma alla mia età, mi trovo a pensare se valga la pena di sacrificare una vita con
poco amore, o addirittura senza, per un figlio che potrebbe stare bene comunque
anche con genitori divisi, se responsabili. Mi dispiace per loro, se lo hanno
fatto. Mia madre nega ogni evidenza e papà, quando una volta ho sollevato la
questione, mi ha sorriso e mi ha risposto che era d’accordo con me, ma bisognava
tenere conto che talvolta subentrano circostanze avverse. Era un uomo
adorabile, ma sibillino.
- Ari,
se fossi in te non mi tormenterei su queste riflessioni, sei giovane e maturo,
vedo, e saprai fare per te le scelte migliori.
Di
cosa ti occupi?
- Lavoro
in uno studio d’architettura e mi occupo di beni da restaurare, un nesso con
papà in fondo c’è.
- Ottima
scelta, se avrai occasione di venire a Firenze avrai spunti per il tuo lavoro.
- In
verità ci vengo ogni tanto, vado in Sovrintendenza e vedo degli amici con i
quali ho frequentato i corsi di restauro.
- Fantastico,
se ne avrai voglia potremo incontrarci nella mia galleria e magari … una
fiorentina!
- Mi
farò sentire sicuramente. Potrei accompagnarti io all’aliscafo, se ti fa
piacere.
- Piacere?
Un favore, Ari, un grande favore!
Era in macchina con suo
figlio, lo aveva di fianco a sé per la prima volta e chiacchieravano come se si
conoscessero da sempre. Atena era contenta di non aver tradito la propria
scelta di tacere la verità, era stata brava anche se le sarebbe tanto piaciuto
uscire allo scoperto una volta per tutte, Ari non meritava menzogne, ma c’era
tempo e le cose sarebbero maturate senza forzature. Aveva aspettato tanto.
Quando Ari rientrò nello
studio al “Covo” si precipitò davanti al quadro che ritraeva Atena da giovane,
lo staccò dal muro per guardarlo meglio alla luce del giorno, lo girò e
riconobbe la scrittura di suo padre:
“Attesa”. Lipari 1974.
Bellissimo ed emozionante!
RispondiEliminaMi sono commossa nel finale. Brava!
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaHa trattato con maestria un argomento forte e ne è uscito un racconto che colpisce in profondità.
RispondiEliminaL'argomento, come lei rileva, è difficile e non è stato semplice svilupparlo in una narrazione convincente. Grazie.
EliminaI tuoi racconti catturano e ti prendono dentro tra suspense e sorpresa, una bellezza.
RispondiEliminaSei molto cara, grazie.
EliminaUna donna complicata che suscita emozioni diverse, ma, comunque, rispetto.
RispondiEliminaVolevo che Atena, pur con la sua non accettazione iniziale della maternità, ne uscisse con dignità.
EliminaMi piace tanto questa storia d'amore e di maternità sofferta narrata con delicatezza.
RispondiEliminaNe sono contenta!
EliminaAtena è un personaggio bellissimo, controverso e solido come uno scoglio.
RispondiEliminaUno scoglio tra i flutti del mare.
Eliminaamore a 360 gradi sullo sfondo di un paesaggio incantevole. Il tutto mette in risalto la tua sensibilità e capacità di cogliere ogni minimo particolare della natura che ci circonda e della natura umana.
RispondiEliminaM.
Cara M., la natura è una fonte d'ispirazione ineguagliabile. Grazie!
EliminaRacconto veramente emozionante e con un finale a sorpresa che fa bene al cuore. Si legge tutto di un fiato... Complimenti!
RispondiEliminaLucrezia
Cara Lucrezia, ti ringrazio tanto!
EliminaDecisamente felice il colpo di scena finale che non chiude la storia ma la ...apre e lascia il lettore ad arrovellarsi se l' agnizione sia
RispondiEliminaun evento che facilita il rapporto o lo rende complesso; se tutto finirà nel ritrovarsi o nel perdersi per sempre. Giusto, Annalisa, coinvolgere chi legge lasciando le cose sospese!
Cara Renza, il finale aperto mi è parso il modo migliore per concludere il racconto, mettendo in gioco la fantasia del lettore. Grazie!
EliminaBel racconto, con un finale non scontato!
RispondiEliminaGrazie!
EliminaDelicato e profondo, hai trattato un tema molto difficile riuscendo a dipingere le molteplici sfumature di Atena. Bellissimo il finale aperto.
RispondiEliminaLudmilla
Ti ringrazio, cara Ludmilla.
EliminaScritto bene, ma proprio bene. Tocca corde di sentimenti struggenti. Non è possibile non partecipare e commuoversi. Perché non raccogli i tuoi racconti in un libro?
RispondiEliminaCaro Vittorio, ti ringrazio tanto anche del suggerimento.
EliminaMi è sembrato di esserci sull'isola, di sentire i suoi profumi e di vedere quel mare che diventa violetto. Hai espresso in poche pagine un argomento che potrebbe essere oggetto di un romanzo, senza nulla togliere alla personalità della protagonista e alle sue e nostre emozioni. So che non è facile, brava! anna catacchio
RispondiEliminaGrazie, Anna, del bellissimo commento!
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