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nel 2004 da La Giuntina, Il Quartetto Rosendorf si rivela
come un microcosmo di armonia grazie al potere vivifico della musica dove le
regole sono rigorose e il sentimento viene filtrato da un’opera di
distillazione che lo mostra in tutta la sua purezza.
Nathan Shaham ha voluto raccontare la storia di
quattro musicisti tedeschi ebrei, giunti come profughi dalla Germania in
Palestina nel 1936, a seguito delle leggi razziali naziste, per unirsi
all’Orchestra Sinfonica di Tel Aviv. La “Palestine Orchestra”, fondata nello
stesso anno da Bronislaw Hubermann, aveva l’intento di riunire musicisti ebrei di
valore, cacciati dalle orchestre europee a causa delle persecuzioni, per
mantenere con l’Europa, sempre più lontana, un ponte di collegamento
“culturale” al di sopra degli orrori dilaganti. Il grande Arturo Toscanini, per
andare a Tel Aviv a dirigere il
concerto d’inaugurazione della nuova orchestra, rifiutò un invito al festival di Bayreuth.
La narrazione è una
polifonia raffinatissima che ha una struttura a specchio con le
quattro voci dei musicisti del quartetto e la voce dello scrittore raccolte in
cinque diari.
Kurt Rosendorf, licenziato dalla Filarmonica di Berlino in quanto
ebreo, per salvarsi è costretto a lasciare la Germania, la moglie, che è ariana,
e la figlia quattordicenne promettente pianista, in un distacco dilaniante, non
solo per gli affetti, ma anche per l’abbandono della cultura tedesca alla quale
sente di continuare ad appartenere. Lo spostamento in Palestina per lui rappresenta
soltanto una via di fuga dall’antisemitismo, nella
nuova terra cerca di vivere al di là della storia e della geografia e la musica diventa la sua nuova patria. Fonda
il Quartetto da camera Rosendorf, al quale verrà riservato tutto il tempo
lasciato libero dagli impegni dell’orchestra, ne è l’autorevole primo violino e
raccoglie intorno a sé gli altri tre componenti. “Un quartetto è una società
umana in miniatura. Vi sono rappresentate tutte le relazioni umane, tutto
l’arco delle emozioni che è compreso tra l’attrazione e il rifiuto, tra la
competizione e l’aiuto reciproco. Un luogo affascinante.” (Konrad Friedman).
Konrad Friedman,
l’unico sionista del gruppo fortemente attratto dalla causa d’Israele, assume
il ruolo di secondo violino: “Un secondo violino che non
sogna di far parte dei primi violini è un bene prezioso per un’orchestra. Suona
la sua parte, certe volte noiosa, come se tutta l’opera si reggesse su di lui.
Suona con l’umiltà del filosofo, che sa che se i coloristi non avessero
perfezionato le tinte e i pennelli i pittori non sarebbero stati in grado di
creare i loro capolavori”. Kurt
Rosendorf.
Bernard Litovsky,
abile violoncellista, è deciso a fermarsi in Palestina, dopo tanti spostamenti
vorrebbe mettere radici, è un personaggio irrequieto, curioso, pieno di vita,
talvolta imprudente al punto di trovarsi coinvolto in situazioni politicamente
a rischio.
Eva
Staubenfeld, l’unica donna del quartetto, è di una
bellezza sconcertante e ha una personalità ipnotica, misteriosa e gelida che
attrae inevitabilmente gli uomini. Vive la propria sessualità con una libertà
assoluta, odia il fatto di essere ebrea e ha alle spalle un vissuto terribile,
ma suona la viola con un talento eccezionale, durante le prove e i concerti la
musica la trasfigura e dà voce alla sua anima.
Il diario dello scrittore Egon Loewenthal, sopravvissuto a Dachau, appare nel capitolo
finale. Grande estimatore del quartetto, di cui segue tutti i concerti e le
tournee, in amicizia con i singoli componenti è affascinato dall’armonia
scaturita dall’insieme delle diverse individualità che durante le esecuzioni si
fondono in un tutt’uno superbo.
“Fra tutti gli
argomenti a disposizione, diranno, questo idiota ha scelto di analizzare le
relazioni di un gruppo di musicisti che in questo nostro folle secolo suonavano
le opere felici del secolo precedente! E’ probabile che non esista un luogo più
lontano dalla realtà del nostro tempo di questa stanza dove quattro musicisti
esercitano le loro dita per dare la loro interpretazione di opere che sono già
state suonate un’innumerevole quantità di volte. Ma alla fine sono giunto alla
conclusione che questa è stata una decisione giusta. Un quartetto d’archi è un
microcosmo. E’ una sintesi dell’intera esperienza umana. Al suo interno nasce
una fratellanza forzata nella quale sono tenuti sotto controllo tutti gli
istinti umani, una fratellanza che è una condizione necessaria in ogni comunità
che vuole portare a termine il proprio compito.”
Nei quattro diari dei musicisti ciascuno parla della
propria storia anche in relazione alle dinamiche che intercorrono con gli altri
tre componenti il gruppo ed emergono i lati più intimi e oscuri. Gli stessi
eventi narrati da quattro voci diverse a volte sono dissonanti, i punti di
vista si moltiplicano e i fatti e le relazioni si arricchiscono di
sfaccettature inattese con spunti ironici molto godibili.
Il diario dello
scrittore tiene le fila di tutta la vicenda e aggiunge ai temi dell’esilio,
dello struggimento di vivere in un paese estraneo privi del sentimento di
appartenenza, della musica come patria dei “senza patria”, dei problemi legati
alle complessità e ai conflitti nel nascente Stato d’Israele, quello della
lingua madre. Loewenthal è infelice in una terra che non riesce a considerare
“patria”, un luogo dove si viene guardati con sospetto se si parla la propria lingua,
l tedesco, e si sente “Un uccello a cui hanno tagliato la lingua.”
La lingua tedesca è la sua Heimat, il fulcro della sua esistenza. “Chi si accontenta di un
vocabolario di trecento parole non potrà mai capire perché noi scrittori non
abbiamo altra patria che la nostra lingua madre. Uno scrittore senza una lingua
è come un violinista dalle dita spezzate”.
Il romanzo, bellissimo, è soprattutto un tributo
all’universalità della musica che trascende i confini, le divisioni, i
conflitti e le sofferenze con il suo magico potere catartico.
Nathan Shaham è stato addetto culturale
dell’Ambasciata d’Israele a New York e vicedirettore della Radiotelevisione
israeliana. Oltre a scrivere, suonava la viola nel quartetto d’archi del suo
kibbutz del quale era membro dal 1945.
La magia della musica nella sua recensione
RispondiEliminaLo vado a leggere!
RispondiEliminaGrazie
RispondiEliminaLa musica spesso da senso alla propria vita. Bella la recensione, fa venir voglia di leggere il libro.
RispondiEliminaLucrezia
DALLA SUA RECENSIONE SI SPRIGIONANO NOTE DI VITA
RispondiEliminaMIRIAM
La musica che suscita emozioni, la musica che evoca ricordi, la musica che guarisce le ferite dell'anima, la musica che semplicemente ti da piacere ... chi la conosce e ne gioisce sa qual è il suo fantastico potere, anche nei drammi dell'umanità! Recensione davvero invitante.
RispondiElimina"La narrazione è una polifonia raffinatissima che ha una struttura a specchio con le quattro voci dei musicisti del quartetto e la voce dello scrittore raccolte in cinque diari": ambiente musicale, tema storico-culturale, biografia sono gli ingredienti che mi motivano alla lettura!! Grazie. Cinzia
RispondiEliminaE' un libro che mi catturò anni fa. Mi affascinò vedere la musica come la patria comune per uomini che, costretti ad abbandonare la propria patria d'origine, non ne avevano nessuna, in quanto Israele era una patria "in costruzione". La recensione di Annalisa ben restituisce l'ambientazione, i sentimenti, le sensazioni che trapelano dal romanzo. Ogni personaggio è ritratto esattamente come nel romanzo. Complimenti!
RispondiEliminaRomanzo affascinante che coinvolge e cattura. Affronta molti temi e Annalisa ne ha fatto una panoramica perfetta. Brava !
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