di Mimma Zuffi
Esploso letteralmente negli anni Venti con i gruppi degli
"Hot Five" e degli "Hot Seven", Satchmo attraversò un
periodo di mezzo, negli anni Trenta, in cui divenne leader
di grandi orchestre di scarso rilievo, formate con elementi di secondo piano
che, se dovevano porre maggiormente in evidenza il protagonista, non erano
certamente in grado di sostenere un così arduo confronto con la tromba che
ormai dominava la scena del jazz di quel tempo. Era l'era dello swing e
il pubblico rispondeva entusiasta a questa logica, anche perché gli
arrangiamenti, ben congegnati consentivano anche di ballare e di dimenticare
tutti i sacrifici cui l'America era stata costretta dalla Grande Crisi del
1929. Verso la metà degli anni Quaranta i tempi erano cambiati e l'impresario
di Luis Armstrong, Joe Glaser, si accorse che il pubblico chiedeva qualcosa
d'altro, un gruppo più ristretto di jazzmen, in grado di reggere la sfida di Louis e
di esibirsi in una sorta di parata di assoli eseguiti impeccabilmente e con una
classe che poteva almeno confrontarsi con quella enorme del leader.
Nacque così la struttura degli "All Stars" che
durerà per tutto il rimanente arco della vita di Armstrong, con gli alti e
bassi inevitabili che il difficile carattere di Satchmo imponeva, ma sempre con
elementi di primo piano, se si pensa che nel gruppo sono passati, lasciando un
segno consistente della loro presenza, musicisti come i batteristi Sidney
Catlett e Cozy Cole, i pianisti Earl
Hines e Billy Kyle, i clarinettisti Barney Bigard, Edmund Hall, Peanuts Hucko,
i trombonisti Jack Teagarden e Trummy Youngm per non citare che alcuni tra i
tanti jazzmen
che hanno collaborato con lui in quell'autentica sfilata di stelle di prima
grandezza che furono gli "All Stars".
Nell'ultima delle formazioni di "All Stars"con cui Armstrong si è esibito, pochi anni prima della morte, stanco e malandato di salute il Louis degli anni Sessanta preferiva cantare più che suonare, anche se si hanno ancora degli squarci di luce vivissima quali solo la sua tromba sapeva provocare. Più di una volta, in questo periodo, era stato costretto a interrompere le tournées per improvvise ricadute che lo costringevano a lunghi periodi di inattività. Era molto dimagrito e si trascinava a fatica sul palcoscenico, sorretto solo da una ferrea volontà di continuare a dare tutto se stesso al pubblico che aveva cominciato ad amarlo tanti anni prima, quando la forza dell'attacco alla tromba sbalordiva tutti per il vigore che sprigionava. I suoi partners erano ben consapevoli del dramma umano che Louis stava vivendo. Satchmo sapeva accendere un forte senso di solidarietà nei suoi collaboratori, provenienti da scuole e stili diversi, ma sempre convergenti nel classico linguaggio del jazz tradizionale. Il clarinettista Joe Murany si era formato presso il gruppo dei "Chicagoans", alla scuola di Max Kaminski e di Jimmy McPartland e, pur non possedendo il fraseggio legato e tipicamente creolo di Barney Bigard o di Edmond Hall, sapeva offrire al suo leader il contributo di un accento lirico che rappresenta in fondo il più saldo motivo di incontro tra il jazz bianco, di cui Murany era valido esponente, e la scuola afro-americana più autentica. Più vicino allo stile swing il pianismo di Marty Napoleon, anch'egli bianco, di Brooklyn, che poteva vantare una lunga esperienza con le big bands di Charlie Ventura e di Buddy Rich, e quindi offrire al gruppo di Armstrong un buon sostegno sul piano puro dello swing. Analodo discorso si potrebbe fare per il bassista Buddy Catlett, che aveva vissuto esperienze ancor più moderne con Conte Candoli e Sonny Stitt, e per il batterista di Honolulu, Danny Barcelonam scoperto alle Isole Hawaii da Trummy Glenn, certamente l'uomo di maggior spicco di quest'ultima formazione di "All Stars di Satchmo, che realizzò l'ultima tournée europea del trombettista. Vibrafonista fornito di ottimo senso dello swing, ma prevalentemente trombonista, Glenn collezionò varie presenze in orchestre di grande rilievo degli anni Trenta e Quaranta, come quelle di Benny Carter e di Cab Calloway, ma l'impegno più consistente seppe fronteggiarlo con molta coscienza quando nel 1946 andò a far parte dell'orchestra di Duke Ellington, con la quale rimase cinque anni, qualificandosi come il miglior continuatore di Tricky Sam Nanton, che fu un maestro nell' uso della sordina wa wa. Forte di questo lungo e valido tirocinio, Tyree Glenn seppe recare a gruppo degli "All Stars" di Armstrong il contributo di un solismo essenziale ed efficace, intriso anche di quello stile remoto proveniente dal Sud degli States, che gli veniva oltre che dalle origini texane, anche dalla militanza nell'orchestra di Bob Young che negli anni Trenta aveva accompagnato il grande blues singer Ma Rainey. Nel brano That's My Desire (https://youtu.be/fBI_RGwdtUU), Glenn si esibisce anche nel canto,cercando di tener vivi quei duetti divertenti e densi di umanità che Luis intrecciava con Trummy Young, il trombonista che precedette Glenn nel gruppo, e con Velma Middleton la enorme cantante che Louis prediligeva oltre ogni dire.
Nell'ultima delle formazioni di "All Stars"con cui Armstrong si è esibito, pochi anni prima della morte, stanco e malandato di salute il Louis degli anni Sessanta preferiva cantare più che suonare, anche se si hanno ancora degli squarci di luce vivissima quali solo la sua tromba sapeva provocare. Più di una volta, in questo periodo, era stato costretto a interrompere le tournées per improvvise ricadute che lo costringevano a lunghi periodi di inattività. Era molto dimagrito e si trascinava a fatica sul palcoscenico, sorretto solo da una ferrea volontà di continuare a dare tutto se stesso al pubblico che aveva cominciato ad amarlo tanti anni prima, quando la forza dell'attacco alla tromba sbalordiva tutti per il vigore che sprigionava. I suoi partners erano ben consapevoli del dramma umano che Louis stava vivendo. Satchmo sapeva accendere un forte senso di solidarietà nei suoi collaboratori, provenienti da scuole e stili diversi, ma sempre convergenti nel classico linguaggio del jazz tradizionale. Il clarinettista Joe Murany si era formato presso il gruppo dei "Chicagoans", alla scuola di Max Kaminski e di Jimmy McPartland e, pur non possedendo il fraseggio legato e tipicamente creolo di Barney Bigard o di Edmond Hall, sapeva offrire al suo leader il contributo di un accento lirico che rappresenta in fondo il più saldo motivo di incontro tra il jazz bianco, di cui Murany era valido esponente, e la scuola afro-americana più autentica. Più vicino allo stile swing il pianismo di Marty Napoleon, anch'egli bianco, di Brooklyn, che poteva vantare una lunga esperienza con le big bands di Charlie Ventura e di Buddy Rich, e quindi offrire al gruppo di Armstrong un buon sostegno sul piano puro dello swing. Analodo discorso si potrebbe fare per il bassista Buddy Catlett, che aveva vissuto esperienze ancor più moderne con Conte Candoli e Sonny Stitt, e per il batterista di Honolulu, Danny Barcelonam scoperto alle Isole Hawaii da Trummy Glenn, certamente l'uomo di maggior spicco di quest'ultima formazione di "All Stars di Satchmo, che realizzò l'ultima tournée europea del trombettista. Vibrafonista fornito di ottimo senso dello swing, ma prevalentemente trombonista, Glenn collezionò varie presenze in orchestre di grande rilievo degli anni Trenta e Quaranta, come quelle di Benny Carter e di Cab Calloway, ma l'impegno più consistente seppe fronteggiarlo con molta coscienza quando nel 1946 andò a far parte dell'orchestra di Duke Ellington, con la quale rimase cinque anni, qualificandosi come il miglior continuatore di Tricky Sam Nanton, che fu un maestro nell' uso della sordina wa wa. Forte di questo lungo e valido tirocinio, Tyree Glenn seppe recare a gruppo degli "All Stars" di Armstrong il contributo di un solismo essenziale ed efficace, intriso anche di quello stile remoto proveniente dal Sud degli States, che gli veniva oltre che dalle origini texane, anche dalla militanza nell'orchestra di Bob Young che negli anni Trenta aveva accompagnato il grande blues singer Ma Rainey. Nel brano That's My Desire (https://youtu.be/fBI_RGwdtUU), Glenn si esibisce anche nel canto,cercando di tener vivi quei duetti divertenti e densi di umanità che Luis intrecciava con Trummy Young, il trombonista che precedette Glenn nel gruppo, e con Velma Middleton la enorme cantante che Louis prediligeva oltre ogni dire.
Le esibizioni di Satchmo, di solito, di aprivano con quel When it's Sleepy Time Down South (https://youtu.be/AB4oiOi60Eo) che evocava
nei suoni e nelle parole le lontane pianure della Louisiana, di quel Sud
profondo e struggente che per Louis aveva
significato la prima educazione sentimentale, con gli alberi di magnolia, il
grande padre fiume a due passi, e la vecchia Storyville dalle luci rosse dove
il giovane cornettista aveva iniziato la sua folgorante carriera. Il canto
malinconico si chiude, come al solito, con il "good evening" rivolto
a tutto il pubblico dal leader e e inizia la grande parata di motivi cari a Satchmo,
temi più moderni e più legati alla logica della musica leggera, dalla canzone
di cuccesso, com'è il caso di I Love Paris, di A Kiss
to Build a Dream On o di The Girl From Ipanema, il classico tema di Jobim che il jazz ha utilizzato molto
all'epoca della sua evoluzione, e al contempo brani più strettamente saldati
con la tradizione del Sud, come St.
James Infirmary, Indiana, Muskrat Ramble e Ole Miss, mille volte eseguiti da Louis e sempre
ricaricati di una verve nuova e affascinante che, nelle dolenti
esecuzioni precedenti la morte, sembra come velata di quella reclinata
malinconia che l'eloquio e i suoni spezzati e spesso frantumati servono a
rendere ancor più drammatica. C'è un filtro sottile che, quasi come un
paradosso, rende forse ancor più suggestive e captanti queste esecuzioni
estreme di un uomo che ha riempito con la sua presenza dominante cinquant'anni
di jazz nel mondo, e tale circolazione ideale la si avverte fra le note, ma
anche nel caldo applauso del pubblico, che si ripeteva come un fantastico
rituale ad ogni apparizione del leader, ma che in questo doloroso frangente
assume un ruolo di più sensibile umanità, come se il saluto della folla
servisse a gratificare Louis ancor più del consueto, e a fargli dimenticare la consapevolezza
amara di un lucido declino, inaccettabile ma inevitabile nel corso naturale
degli eventi. Era facile al pianto, alla commozione in questi ultimi anno di
vita, Satchmo, lui che affrontava il pubblico con il riso fragoroso e gioioso
del nero che la vita e il successo hanno reso felice, e non bastava il conforto
che gli recavano la moglie Lucille e i suoi partners per evitargli le lacrime, come accade in quei vecchi d'altri
tempi le cui corde sentimentali, infragilite dal trauma dell'essere, cedono più
facilmente alla piena del calore umano che gli altri, i superstiti, si
preoccupano di infondere.
Vorrei chiudere con questo pezzo tanto conosciuto e amato:
I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself what a wonderful world
I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself what a wonderful world
che splendido ritratto di un uomo splendido che con la sua cornetta ha affascinato il mondo. Grazie.
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