martedì 5 marzo 2024

LA SINDROME BIPOLARE


(di Marisa Vidulli)



LA SINDROME BIPOLARE 



Quando il suo sorriso sembra malinconico si chiama Monna Lisa. 

Quando sembra allegro, Gioconda. E’ la prima opera d’arte bipolare.

(Fabrizio Caramagna)





Marina guardava sconsolata come si stesse rapidamente esaurendo il flacone

del suo profumo preferito dal nome strepitoso, La vie est belle di Lancôme. 

Lo aveva comprato nel magico periodo della sua malattia bipolare,  l'euforia 

per ricordarsi della bellezza della vita quando fosse ritornato il periodo buio,

la depressione che  arrivava puntuale come la morte, inesorabilmente  dopo

sei mesi di felicità esagerata, anche se non è mai troppa la felicità!


Ora era in euforia, dormiva poco e non vedeva  l'ora che spuntasse il giorno 

per riempirlo di gioia, musica, colori e progetti a volte irragionevoli.  

Lo capiva da sola quando girava per casa ululando:

 "Con i miei quadri farò il botto!". Al contrario, in depressione, dormiva sem-

pre, non voleva svegliarsi mai, sperava piovesse o almeno in una giornata 

grigia, perché il sole le dava anche fastidio. Questo alternarsi dell'umore aveva un 

nome: la Sindrome Bipolare. “Su e giù per le scale” l'aveva scherzosamente 

denominata sua sorella, che non ne capiva la gravità e non sapeva che strazio 

dell'anima fosse per lei e anche per chi le stava accanto. Nessuno capiva, 

né poteva aiutarla, solo aspettare che finisse.

Il figlio maschio teneva il calcolo dei mesi e non sbagliava mai, nel frattempo 

le diceva: “Poi passa”. Non sapeva il ragazzo, poi fattosi uomo adulto, che la 

madre cercava i ponti più alti della città da cui buttarsi e sfracellarsi, né aveva 

idea che la madre cercasse la pistola che il marito, finché era andato ad allenarsi 

al poligono col suo amico, teneva nascosta tra le lenzuola riposte nell'armadio 

grande e una volta era caduta in testa a sua madre che cercava nella biancheria. 

Insomma, la depressione era un inferno per lei soprattutto, ma anche per gli

 altri che tuttavia vi avevano fatto l'abitudine, loro lei no. Individuati tre 

ponti buoni per l'insano gesto, ma a lei sembrava sano, il problema era come 

recarvisi. Non guidava, quindi doveva andarci in taxi, poi scendere, pagare e 

dire: “Vada pure, che mi devo solo ammazzare, sarà un attimo, nessuno da 

portare indietro”. Insomma, farneticava e non ne veniva a capo. Al contrario, 

in euforia affermava ai suoi familiari e amiche: “Mi tengo su, faccio il possibile, 

mangio bene, tanta ginnastica, un po' di yoga, cerco di riempire il bicchiere che 

prima vedevo solo mezzo vuoto, una grande passione riempie di gioia le mie 

giornate, scrivere, ho buone amicizie, poche ma vere, figli bravi e tanto 

amore, tanto, e pienezza che mi ha insegnato mia sorella. E ringrazio 

ogni giorno che viene, ringrazio la vita affrontando gli inevitabili problemi, 

uno alla volta, come mi ha insegnato mio marito che è sempre con me notte 

e giorno”. In euforia mi alzo la mattina allegra, scendo dal letto e penso: 

“Che bello, quante cose intorno da fare”, mentre in depressione vorrei 

dormire fino a sera, penso: “Che schifo di giornata, speriamo piova, se c'è il sole 

urlo di rabbia o mi sparo”.

Era soprattutto la notte il momento più fecondo, anche nel sonno la mente 

non quietava, elaborava piani, strutture, pensieri, migliaia di idee per progetti 

nuovi per i suoi quadri, la poltrona su cui sedeva per vedere la tv spesso 

sbatteva contro il muro provocando danni al delicato rilievo di gesso,pen-

sava: “Chi se ne frega, tanto l'anno prossimo sarò morta” e giù a dondo-

larsi e scrostare il prezioso rilievo del muro di cui poi amaramente si pen-

tiva nel periodo euforico e si sarebbe data pugni in testa a vedere quel bel  

muro rovinato.

L’ultima volta, nel 2023, era in euforia, ben sei meravigliosi mesi di gioia pura, 

quadri a bizzeffe e due premi anche, vinti all'ultima mostra allestita, si ripeteva: 

“Ma bon, mi manca niente, faccio la vita del michelasso, mangio, bevo, dormo, 

dipingo e vado a spasso”.

L’ultima volta, nel 2023, in depressione si chiedeva se avesse soldi sufficienti 

per l'eutanasia in Svizzera, al che il figlio avvocato le spiegava che era 

riservata ai malati terminali e non agli aspiranti suicidi. Poi contava sulle dita 

e affermava perentorio: “Tra tre mesi ne sei fuori e passeremo un bel Natale”. 

Il 24 dicembre, la mattina si svegliò in euforia, il calcolo del figlio era esatto, 

e ricominciò a essere felice, dipingere, cantare a squarciagola, mandare mail 

alle amiche, tutto ciò però in un modo esagerato, quasi a compensare 

quelli persi prima, sopra le righe sperando come sempre che la depressione 

non tornasse mai più.




 

4 commenti:

  1. Bisogna ricordarsi che non tutto il male viene per nuocere, a volte anche nella tristezza si possono trovare idee per i quadri come fecero molti grandi pittori del passato!

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  2. e che dire dei grandi scrittori

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  3. Sempre brava, Marisa, e mai banale in questi tuoi racconti di vita quotidiana che parlano di momenti belli ma anche faticosi. Mi piace leggerti. Giovanna

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  4. Bello interessante e vero!!!!

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