a cura di Sandra Romanelli
Santiago de Las Vegas, Cuba 15 ottobre 1923 - Siena 19 settembre 1985
Desidero ricordare Italo Calvino, nel centenario dalla nascita, con tre opere che mi hanno lasciato ricordi indelebili e mi hanno aperto la strada per proseguire e approfondire la conoscenza del resto della sua straordinaria produzione letteraria.
IL BARONE RAMPANTE (1957) è uno dei tre romanzi che fanno parte della trilogia del volume intitolato: “I nostri antenati” (1960); gli altri due sono: Il visconte dimezzato (1952) e Il cavaliere inesistente (1959).
Trama
Cosimo Piovasco di Rondò, rampollo di una nobile famiglia ligure, all’età di 12 anni, dopo un litigio con i genitori per un piatto di lumache, si arrampica su un albero del giardino di casa e decide di non scendere mai più. È il 15 giugno 1767: quel giorno inizia la sua avventura sugli alberi che durerà cinquant’anni e finirà nel 1820 a Ombrosa, un paese immaginario della Riviera ligure.
Questa stravagante decisione, rispettata da tutti, non gli impedirà, comunque, di mantenere i contatti con le persone, soprattutto con il fratello Biagio, voce narrante, e gli consentirà anche di incontrare l’amore e di innamorarsi perdutamente di Viola D’Ondariva.
Conoscerà pure un pericoloso brigante: Gian dei Brughi che aiuterà a fuggire dalla polizia e durante la sua permanenza lassù sugli alberi, si appassionerà alla lettura dei libri di cui Cosimo é provvisto, fino a quando non verrà arrestato. Però, anche allora, Cosimo riuscirà a raggiungere la finestra della sua cella per portargli altri libri.
Nei suoi spostamenti, da un albero all’altro, il protagonista attraverserà paesi, città, stati, incontrerà personaggi della storia come Voltaire - desideroso di conoscere l’uomo che vive sugli alberi-, filosofi come Diderot, lo zar di Russia e persino Napoleone, con cui parlerà a lungo e, in italiano affermerà:- Se io non era l’imperatore Napoleone avria voluto ben essere il cittadino Cosimo Rondò.
Entrano a far parte del romanzo anche precisi riferimenti storici, come la Rivoluzione francese (5 maggio 1789) e la Restaurazione.
Cosimo trascorrerà tutta la sua vita lassù; neppure la morte del padre lo farà discendere dagli alberi e quando sentirà che la sua ora di lasciare il mondo sta per sopraggiungere, si appenderà al filo di una mongolfiera di passaggio e si lascerà cadere in mare.
Ed. Mondadori 1995
Della fertile produzione di Calvino, questo è stato il primo libro che ho letto. Quando iniziai la lettura mi resi subito conto di trovarmi davanti a una narrazione e a una scrittura assolutamente diverse da tutto ciò che avevo avuto l’opportunità di leggere fino ad allora. Certamente, ogni autore ha il suo stile e ogni romanzo è diverso dall’altro; ogni storia può avvincere e lasciare un’emozione, tenendo incollati alla lettura, ma del libro Il barone rampante mi conquistò soprattutto, oltre all’idea originale, la narrazione fantastica come una fiaba, però arricchita di riferimenti, di personaggi e luoghi ben precisi, riguardanti la storia del Settecento e primo Ottocento: un intreccio insolito, dove fantasia e realtà, messe a confronto si fondono insieme magnificamente.
De Il barone rampante mi piacque subito l’idea condivisibile del protagonista di rifiutare le imposizioni, di lasciare tutto quanto lo infastidiva e di liberarsi della zavorra che la quotidianità ci procura, per andare a vivere in una dimensione diversa, senza orpelli, né limiti.
Di certo Il Barone rampante contiene un messaggio di libertà e di leggerezza, condizioni che ci consentono di allontanarci dall’inferno dei viventi (com’è definito il vivere in “Le città invisibili“ (1972); la leggerezza ci permette, inoltre, di prendere una certa distanza dalle cose e dall’affanno che esse ci procurano ed è quindi una componente essenziale per vivere bene.
Italo Calvino, nel libro “Lezioni Americane” (1988), scrive:«Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore».
E per questo cita il poeta, scrittore, filosofo francese Paul Valery: “il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume”.
La piuma cade a terra per una legge di gravità che non dipende da lei, mentre l’uccello riesce a sfruttare le correnti d’aria, vagando nei cieli per sua volontà e decidendo lui come muoversi con leggiadrìa.
“FIABE ITALIANE” ( ed-Einaudi 1956) è una raccolta di duecento fiabe delle varie tradizioni orali di altrettanti luoghi e regioni d'Italia. riunite in 3 volumi da Italo Calvino e da lui stesso tradotte in una lingua più semplice. Il titolo completo dell'opera, che ne chiarisce la natura, è Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti da Italo Calvino. Einaudi fu il primo editore a pubblicarle nel 1956, a cui ne seguirono altri.
Si tratta di una raccolta in tre volumi: Fiabe delle regioni del Nord, del Centro, del Sud tra le quali possiamo citare: Giovannin senza paura, Giricoccola, Il soldato napoletano, Giufà, Cecino, Rosmarina, Gallo cristallo, Pierin Pierone, I cinque scapestrati, I tre castelli, Il principe granchio, Prezzemolina, per non parlare di tutte le altre.
Iniziai a leggere i tre volumi di Fiabe italiane grazie alla mia passione per il teatro.
Il regista della compagnia di cui facevo parte desiderava portare in scena Le Fiabe e aveva lasciato a ogni attore la possibilità di sceglierne, tra le tante, una di suo gradimento. Aveva poi realizzato un copione e creato un’ambientazione scenografica in cui ognuno di noi si inseriva con la propria fiaba, che si collegava con la successiva.
Le due arti, quella dello scrittore e quella dell’artista di spettacolo, possono infatti fondersi, o come si dice oggi “contaminarsi” e dar vita a un’ulteriore creazione artistica.
In quello stesso anno in cui noi studiavamo il copione, approdò a Milano, al teatro Giorgio Strehler, Fiabe italiane (Italian Folktales) uno spettacolo in inglese con soprattitoli in italiano, liberamente tratto dalla celebre raccolta di fiabe di Italo Calvino. La Prima andò in scena nel gennaio 2010 al Teatro Carignano di Torino, lo spettacolo fu poi rappresentato al San Ferdinando di Napoli e infine, nel febbraio 2010 giunse a Milano.
La regia era affidata all’artista italo-americano John Turturro.
Nato a Brooklyn nel 1957 l’artista italo-americano, nel tempo, aveva sempre desiderato riallacciare un rapporto con la propria storia personale. Per questo, affascinato dall’autore e dalla lettura delle fiabe, (il primo libro ricevuto in dono da Katherine Borowitz, attrice statunitense, oggi sua moglie) cercò di catturarne l’anima, lavorando su un incrocio di lingue e continenti.
Intervistato riguardo la messa in scena di questo spettacolo, John Turturro dichiarò di trovare le fiabe irresistibili per la bellezza e la grazia che esprimono, ma anche perché rappresentano l’umiltà di un’Italia senza confini, lo specchio di un continente più che di una nazione e, pur rappresentando una realtà durissima, hanno il pregio di cercare di ridare speranza a chi non ne ha.
Molto entusiasti per la scelta di questa stessa opera, tutti noi attori della compagnia, insieme al nostro regista, andammo a vedere lo spettacolo diretto da Turturro. Notammo subito che le fiabe portate in scena erano, per lo più, diverse dalle nostre, ma, se da un lato questo ci dava la possibilità, come spettatori, di inoltrarci in ambienti e luoghi differenti, dall’altro, rilevammo che i personaggi di entrambi gli allestimenti presentavano situazioni molto affini, di resistenza alle avversità e di superamento di povertà e conflitti.
Lo spettacolo di Turturro mi piacque molto; in particolare mi colpì la realizzazione scenografica e gli effetti speciali che impreziosivano lo svolgersi delle storie, tanto che, nonostante siano trascorsi molti anni, li ricordo ancora con piacere.
Il SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO (1947) é il primo libro scritto da Calvino.
A distanza di tanto tempo dalla prima lettura, ultimamente ho voluto rileggerlo.
Racconta la guerra vista dagli occhi di un bambino di 10 anni.
Il protagonista è Pin, orfano di madre e il cui padre è assente perché imbarcato come marinaio. Lui vive in un carrugio vicino al porto con la sorella, detta La Nera di Carrugio Lungo, prostituta, la quale non ha affetto da dargli, ma solo sostentamento. Per questo il bambino trascorre molto del suo tempo in mezzo agli adulti, in un’osteria frequentata, per lo più, da partigiani e antifascisti, dei quali non sempre comprende ciò che fanno e dicono, ma si rende conto che non lo tengono in grande considerazione, soprattutto a causa della sorella che si intrattiene con i soldati tedeschi. Per acquistare un po’ di rispetto da parte loro, decide di rubare la pistola a Frik, un marinaio tedesco, mentre l’uomo è a letto con la sorella e di nasconderla in un luogo molto particolare che conosce solo lui, dove i ragni fanno i nidi. La sotterra molto bene e poi si avvia verso il carrugio per raccontare agli amici antifascisti dell’osteria la sua grande impresa, ma sulla via del ritorno viene arrestato. In carcere conoscerà Lupo Rosso, coraggioso capo di una banda partigiana e poi, via via, altri personaggi importanti della storia: il Dritto, il Cugino, Mancino, la Giglia, i comandanti Kim e Ferriera e il traditore Pelle che, scoperto il suo nascondiglio segreto gli ruberà la pistola. Tuttavia la ritroverà a casa della sorella che l’ha avuta proprio da Pelle. Pin tornerà a nasconderla tra i nidi dei ragni e sul sentiero incontrerà Cugino, uno degli amici partigiani, il quale, forse, proprio con quella pistola, ha ucciso La Nera, come punizione per la sua connivenza con i nazisti. Ma Pin non lo sa e con lui riprenderà il cammino nella notte, in mezzo alle lucciole, con la sua piccola mano nella grande mano calda e soffice di un adulto, in cerca di protezione.
Sono state scritte molte storie interessanti sulla Resistenza, soprattutto da coloro che, come Calvino, hanno vissuto questo cruciale momento storico, ma di questo libro credo si debba apprezzare il modo diverso di raccontarla, perché è un bambino che vive la guerra in una dimensione fantastica e ne subisce le conseguenze senza una vera consapevolezza, ma cercando, a suo modo, di superare le difficoltà. I personaggi con cui stabilisce rapporti di amicizia non sono eroi della Resistenza, ma partigiani che si trovano a combattere contro i fascisti più per casualità, a volte per sfuggire alla prigione, ma per Pin sono adulti da cui ricercare attenzione per colmare lo stato di solitudine in cui vive.
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