di Marco Moretti
(foto dal web) |
Si
udì un tentativo malriuscito di soffocare una risata, Mario ricordò con piacere
la bocca di Susan.
-
Arrivo
con un taxi tra mezz’ora.
-
Facciamo un’ora.
-
Quarantacinque
minuti.
Fu
il turno di Mario per la risata.
-
Susan, tipico nome dalle origini arabe.
Maestra di contrattazione.
-
Hai vinto, ci vediamo dopo il bagno nel
caffè.
Doccia,
barba, vestiti e colazione.
E
riflessione: una divisa, anche quando smetteva il camice. Jeans, maglione e
piumino in inverno; jeans, polo e niente altro in estate. Con minime variazioni
nelle stagioni di mezzo.
Rifiuto
ponderato della folla, tradotto solitudine, con la sfortuna di turno nei pochi intervalli.
Di recente sempre più brevi.
Cercò
di abbreviare anche l’attesa di guida turistica e tassista sfogliando il
giornale: la cronaca locale narrava dell’incendio che aveva ridotto in cenere
l’allevamento canino di Stefan Juric, oltre a carbonizzare una trentina tra
cuccioli e animali adulti; la struttura si trovava nella pineta tra Roma e
Ostia, non lontano dal mare. Un prefabbricato in materiale altamente
infiammabile in cui i cani nascevano e crescevano in attesa di un padrone. O
un’adozione, come preferiva dire Sandra.
Jeff
si materializzò sulla poltrona accanto a Mario e lo osservò con aria di sfida.
Scacciò l’immagine e il “senso per i guai”, lui con i cani non ci azzeccava
nulla. Pensò a Sandra e alla dicitura sul biglietto da visita.
Poi
vide Susan, in carne e ossa. Dopo i saluti le mostrò l’indirizzo, dandosi dell’inguaribile idiota recidivo.
-
È lontano dal posto in cui andiamo
oggi?
-
Un chilometro scarso, a piedi è una
bella passeggiata.
-
Sei libera per l’ora di pranzo…e nel
primo pomeriggio?
-
Vada per il pranzo, ma prima devo
vedere una persona. L’orfanella che ho adottato…e il mio fidanzato
-
Non sono geloso, vedrai che riusciamo a
fare tutto.
Bel gesto il tuo, coraggioso. L’età
della piccola?
-
Si pensa intorno ai nove mesi, è stata abbandonata
e non potevo sopportare il posto in cui viveva. Lui non approva, ma se vuole me
deve prendere il pacchetto completo.
Un
incubo: gemelle, adozioni, compagni recalcitranti o peggio. Basta, nessuna
voglia di “sfamarsi”, prenderle o darle: solo due passi sui ciottoli della via
consolare, respirare storia e fare qualche domanda a Sandra.
Si
chiese quanto stava mentendo a se stesso.
Lo
verificò poche ore dopo, con l’arrivo del fidanzato di Susan: il tipo si palesò
in modo inequivocabile nei panni di Mister Congiuntivo. Anch’egli pareva
indossare una divisa, la stessa del viaggio in treno, la medesima strafottenza quale
accessorio indispensabile. Con lui stava l’orfanella, o meglio il bestione
trascinava la piccola: si trattava di un esemplare di cane meticcio. Bianco e
nero, il muso corto e simpatico, lo sguardo attento; corte orecchie penzolanti
completavano la figura.
A
Mario piacque, cioè dovette ammettere che era carino.
Zampettava
con aria felice e curiosa, cercando di opporsi ai frequenti strattoni della
bestia a due zampe che la teneva al guinzaglio.
-
Il solito stronzo, - Susan mordicchiò
le unghie, già ridotte male - guarda poi se uno deve portare fuori il cane
vestito come per andare in ufficio.
-
Non siamo in montagna, - replicò Mario
con un ghigno - ce lo vedresti con gli scarponi?
-
Ma neanche conciato così, Moony ha bisogno
di correre. E lui lo sa bene!
Il
duo si avvicinò, la cagnolina diede uno strattone e si liberò del guinzaglio.
Raggiunse Susan e abbaiò scodinzolando, poi annusò Mario e lo fissò silenziosa
roteando la coda.
-
Ci piace, mi pare che ci piace. –
sentenziò Mister Congiuntivo.
-
Tu sempre in ritardo, poi questa fissa
di trascinarla!
-
È un cane, deve annà ‘ndo volemo noi.
Ce lo devi insegna’ subito.
Pinozzi
tirò una riga su Mister Congiuntivo e accanto scrisse Zanichelli, ultima
edizione.
-
Romolo, il mio fidanzato. - Susan aveva calcato sul “mio”? - Il dottor Pinozzi,
un cliente.
-
Susan è la meglio da Roma in giù. –
sorriso inamidato, mani in tasca.
-
Penso anche in su. - rispose Mario, il
fratello di Remo che cercava di capire se fosse un complimento.
-
Non riesci proprio ad arrivare puntuale,
magari sei anche nato il giorno dopo.
Susan
non intendeva mollare, parlava inginocchiata accanto alla cagnolina. Le accarezzava
i fianchi.
-
Che devo di’, ieri il treno da Napoli
pareva addormito. Semo arrivati a Termini
due ore dopo.
Da
Zanichelli a Dizionario di sinonimi e contrari: sincero, schietto, leale.
Bugiardo, falso, ambiguo. E stronzo. Qualche pelo si era alzato, un baio di
battiti in più: il “senso” bussava. Neanche troppo timido.
-
Non ci conosciamo? – disse Pinozzi – Il
suo viso non mi è nuovo, mai stato a Genova?
-
Il mio viso nun si scorda! Magari mi hai visto sul giornale, io…
-
Basta con le chiacchiere, - Susan
intervenne decisa scattando in piedi, ricordando a Mario la tigre che irrompe
in un pascolo.
-
Genova non c’entra niente, adesso noi
andiamo e tu hai altro da fare.
Moony
si era nascosta dietro le gambe di Pinozzi, Romolo si grattava il mento e Susan
continuava a decapitare le unghie.
Mario
pensò che due bugie erano sufficienti, per il momento.
-
Bene, mi è venuta fame - sorrise, non
stava mentendo - penso che Moony non sarà un problema. Si va?
-
Occhei, occhei pure io c’ho da fa’.
Buon appetito attutti.
-
Salutami Juric…e Bogdan. - disse la
donna.
Dizionario rise sguaiato.
-
Si, come li pesci!
E
salutò con due dita alla fronte, poi girò sui tacchi. Tronfio, i passi che pestavano
su pietre romane.
Raggiunsero
l’indirizzo sul biglietto da visita di Sandra, meno di due chilometri in compagnia
di una tramontana dispettosa. Susan si strinse nella giacca, Mario verificò la
legge dell’inestensibilità del colletto di un piumino, Moony zampettò con le
orecchie sollevate: due allegre bandiere nere.
“Puppet
rest” si mimetizzava nella vegetazione mediterranea, udirono i latrati prima di
scorgere le costruzioni: una decina di casupole basse, in legno, parevano
seminate nella pineta da una mano frettolosa. Nessuna simmetria, ordine o
traccia di planimetria: vialetti in pietra facevano la spola da una costruzione
all’altra, un’alta rete di recinzione montava la guardia. Camuffata con i
colori della natura, come le telecamere che solo un occhio esperto poteva
scovare. Al pari delle casupole, sulle cui pareti mani esperte avevano disegnato
alberi, siepi, fiori.
-
Che sorpresa! - disse Sandra, materializzata
da una porta mimetizzata quanto il resto. - La mia amica e il compagno di
viaggio “misterioso”.
-
Ciao, - Susan con un abbraccio - ma
risparmiati la storia della sorpresa. Ci hai individuato almeno da cinque
minuti.
-
Inutile negarlo, anche se non speravo
nel dottor Pinozzi. - sorriso soddisfatto.
Mario squadrò Susan, ma la vide
altrettanto sorpresa.
-
Ho la memoria di una reflex digitale, -
ridacchiò Sandra - e avevo già incontrato il suo volto.
-
Complimenti, ma se l’ha visto sul
giornale avevo di certo un occhio pesto e altri lividi.
-
Quelli passano, il resto della
“polvere” invece?
-
In tutta franchezza non ci faccio molto
caso: ogni volta che passo il panno se ne accumula altra. Dovrò decidermi e
pulire a fondo.
-
Usi prodotti e strumenti adatti, mi
raccomando.
Susan
assisteva perplessa sul punto di dire la sua, ma giunse Jeff ad alta velocità:
ingaggiò Moony che, liberata del guinzaglio, lo inseguì abbaiando felice.
-
C’è da fidarsi a lasciarli andare così?
Le
due guardarono Mario come un vegetariano che chieda se c’è carne in un minestrone.
-
Abbiamo buoni guardiani, - disse
l’ospite - sei d’accordo Susan?
-
Se non è convinto potremmo fare le
presentazioni, più tardi.
Mario
allargò le braccia in segno di resa.
-
Vi credo sulla parola, ora che dite di
riempire lo stomaco? Da queste parti ci sono un paio di posti che…
-
Non esiste - irruppe Sandra - ho già
due ospiti, ma il cibo non è un problema. Andiamo.
Seguendo
una sorta di navigatore satellitare interno, l’ospite guidò il gruppo nel
dedalo di viottoli e casupole. Tra latrati e guaiti. Jeff era a suo agio, Moony
rizzava le orecchie e annusava in più direzioni incerta sul percorso da
seguire.
Passarono
accanto a un edificio basso, squadrato, le finestre e la porta chiuse. Ai lati
della soglia due statue di grandezza naturale, Mario giudicò fossero alte più
di un metro: raffiguravano cani fieri, neri, muscoli da culturista, stavano
seduti. Jeff li ignorò, Moony lanciò un guaito e si allontanò riparando dietro
le gambe di Susan. Le statue avevano occhi magnifici, sembravano seguire il
gruppo.
-
Zuul e Vinz, - disse Sandra a Mario indicando
i due animali - continua a camminare e parla sottovoce.
Susan abbozzò un ghigno sottile,
Mario osservò le fronde degli alberi.
-
Paura che spaventi i passerotti?
-
No, mi spiacerebbe ti ritrovassi a
terra. Indossi una giacca pulita.
-
Nel terreno non ci sono radici, - rise
di gusto - non stiamo correndo quindi…
Mario si zittì, i muscoli di Zuul
gli erano parsi più pronunciati.
Pensò
a uno scherzo della luce.
Poi
lo udì: il suono sordo, simile a un brontolio ancestrale, proveniva dalla
porta.
Che
era chiusa.
Sigillata.
Pensò
che le due statue erano di fattura pregevole, notò perfino i denti bianchi in
quella di sinistra.
E
realizzò.
Nel
momento in cui ricordò i Ghostbusters che affrontavano Zuul e Vinz, sul
grattacielo, pensò che Sandra non assomigliava per nulla a Sigourney Weaver.
In
compenso i trenta passi che lo separavano dalla meta gli parvero altrettante
miglia.
Sandra
li condusse in una delle casupole attrezzata come foresteria: un monolocale con
tavolo e sei sedie, una parete con piccola cucina e frigorifero, l’altra che si
affacciava con una vetrata su un giardino recintato. Nell’angolo illuminato dal
sole un divano e due poltrone. Occupate da altrettanti uomini con l’aria
tutt’altro che felice.
-
Bogdan lo conoscete, - disse Sandra -
l’altro è suo cugino Stefan. Ha passato la notte in bianco e perso ben altro
che le ore di sonno. Loro sono Susan e il dottor Mario Pinozzi.
I
due si alzarono per salutare. Mario, entrato per ultimo, ricambiò e fece una
carrellata sui personaggi della rappresentazione: due uomini, uno giovane e il
secondo di mezza età. Il primo fissava l’altro, capo chino e spalle curve, con
rispetto e qualche grammo di compassione. Delle due donne, Susan scrutava in
ordine il pavimento, il tavolo e altri arredi: il trucco per non fissare Bogdan
e il cugino. Sandra stava al centro del locale, gambe divaricate e piedi rivolti
alla porta; un’occhiata all’orologio, poi gli occhi sui cugini. Pinozzi
registrava i dati, le posture, i gesti, i volti. Nelle trenta miglia virtuali
appena percorse qualche pelo si era alzato, la frequenza cardiaca premeva
sull’acceleratore e i muscoli tiravano.
Perché?
Non
certo per i due potenziali pericoli da Ghostbusters, quelli non indossavano
maschere né dovevano dissimulare le loro intenzioni. Semplicemente si
mimetizzavano nella natura, come quelle costruzioni, la recinzione, le
videocamere.
E
le persone all’interno di questa oasi nella pineta?
-
Fra poco arrivano le vettovaglie, -
Sandra polverizzò ogni ipotesi rivolgendosi a Stefan e Bogdan - Susan e Mario
sono affamati e voi due avete passato la notte in bianco. Ci vuole un break.
-
Intanto beviamo qualcosa, - disse Susan,
srotolando le parole - posso preparare un aperitivo.
Bogdan
annuì con un sorriso che non raggiungeva la sufficienza, Stefan restò congelato
nella tristezza, Sandra diresse verso il pensile della cucina.
Mario
disse la sua.
-
Per me acqua con ghiaccio, al massimo
una Coca e limone.
-
Come sarebbe, non ci fa compagnia? - la
voce di Sandra sapeva di rimprovero.
-
Alcool più Pinozzi uguale guai. E per
oggi mi sembra che siamo a posto.
La
padrona di casa non replicò e prese alcune bottiglie, bicchieri e shaker che
lasciò sul tavolo. Indicò il tutto a Susan e si fece da parte, in paziente
attesa.
Mario
raggiunse Bogdan e Stefan che erano di nuovo seduti, questa volta sul divano,
un cenno del capo e si lasciò cadere nella poltrona vuota.
-
Brutta storia, hai avuto parecchi
danni? - disse all’allevatore di cani rimasto senza allevamento.
Questi
non rispose e diede un’occhiata interlocutoria a Bogdan, che fece un cenno di
assenso.
-
Tutto in fumo: costruzione, carte,
camioncino.
Cani no, loro non in fumo. Loro bruciati, ricorda storie di nazisti
e forni?
Uguale.
Chi volere male cani? Chi
uccidere animali è peggio di bestia!
Mario
non replicò, Bogdan strinse il braccio del cugino e serrò le labbra.
-
Tu sa dove noi arriva? - Stefan fissava
Mario.
Lo posso immaginare.
No, tu no immagina. Tu ascolta.
Altra
occhiata a Bogdan e nuovo segnale di via libera. Poi gli occhi chiari si
chiusero.
-
In mio paese guerra lunga, cattiva.
Guerra mai bona, ma da noi slavi lotte sempre feroci. Religione, etnie,
enclavi: tutte scuse, sai unica cosa comune? Uomo. Tu mai visto animali fare
guerra? Mai visto esercito cani attaccare gatti? Uomo cattivo, soldato feroce,
chi comanda soldati vera bestia.
Juric
prese una pausa, respirò a fondo, osservò il gruppo che ascoltava. Mario
accarezzava una barba inesistente, Susan aveva riempito un bicchiere con un
litro di vino e tentava di rimediare. Sandra ascoltava concentrata, la spalla
appoggiata al frigorifero. Bogdan si era adagiato nel divano, gli occhi ancora
serrati.
-
Ma anche donne diventano cattive in
guerra, - Stefan continuò la cronaca - per difendere figli, per paura, per
vendetta. E male resta dentro: tu dottore, sa che non c’è vaccino per male.
Avvelena tua vita.
Stava una piccola bambina in mio paese, Ivanka undici anni,
lei perso genitori. Aveva cucciolo di cane e tutti aiutava lei: un giorno
soldati arriva, fucila uomini e uccide cane. Nostra milizia salva però noi e
prende prigionieri soldati. Ivanka anche lei salva, lei offre aiuto per pulire.
Voleva aiutare.
Bogdan
aveva aperto gli occhi e fissava Mario, ma non lo vedeva. Susan stava in
ginocchio con il mento sul tavolo. Sandra una statua di ghiaccio.
-
Ivanka portava anche mangiare
prigionieri, capo milizia diceva poi loro processo in città.
Bambina portava zuppa a comandante
soldati.
E una sera lei taglia gola con rasoio.
Capo milizia dice che non può punire
bambina, ma altri soldati sanno.
E fucila tutti soldati.
Il
silenzio, breve, è disturbato solo dal ronzio del frigorifero e del respiro Bogdan.
Solo il vino che sgocciola sul pavimento scandisce i secondi.
-
Poi guerra continua e Ivanka cresce,
con male dentro, e uccide ancora. Punisce uomini. Un giorno va in paese di mio
cugino, da parte sbagliata di confine, e qualcuno accusa lui di parlare con
soldati.
Da quel giorno lui parla con nessuno: Ivanka tagliato lingua
e dato a cane.
E poi rideva, lei sempre ride quando
uccide o punisce. Ride come bambola.
Mario
avvertì un fastidio al collo, le unghie della mano erano screziate di rosso.
Aveva accarezzato il mento, grattato e infierito sulla pelle. Nessun dolore,
nessun segnale della fame che monta quando fronteggia il male e i mostri:
neanche nausea, solo l’idea di stare sull’orlo di un buco nero.
-
Guerra finisce, ma uccidere diventa
lavoro. Anche minacciare e punire, veleno è forte e lei non guarisce.
-
Avevo sbagliato nel giudicare Bogdan, -
Mario si fa coraggio - mi era sembrato un tipo scontroso. O riservato,
accettate le mie scuse. Ma la tua storia che c’entra con oggi?
-
Ora conclusione. Ivanka sempre firma
suo “lavoro”, lascia una S: iniziale di suo cane, Sinisa. Vuoi vedere schiena
di Bogdan? No, meglio tu guarda vicino rovine bruciate, trova S fatta con
sassi.
-
Ancora manca un tassello, perché avrebbe
bruciato il tuo allevamento? Non torna, lei amava il suo cane.
La
voce di Sandra disse la sua restando fuori campo, alle spalle di Mario.
-
Raccontagliela tutta, Stefan. Sbaglio o
la provenienza di molti tuoi cuccioli è poco chiara? Magari hai dato fastidio
alle persone sbagliate.
-
Sandra, non mi pare…- Susan tentò una
difesa.
-
Cosa? Sai bene che parecchi cuccioli
giungevano dai Balcani! “Importati” da mercanti senza scrupoli al soldo di
qualche mafioso: gente che si arricchisce perché qualche borghesuccio che non
ha mai avuto un cane cerca il giocattolino di carne per suo figlio.
La
donna parlava fissando Juric, gli girava attorno come uno squalo fa con il
naufrago che a stento resta a galla. Occhi negli occhi, l’allevatore accennò ad
alzarsi. Susan trattenne Sandra per un braccio, una frazione di tempo.
-
Resta seduto e taci, e tu lasciami! -
diede uno strattone - Voi invece ascoltate, anche tu cuginetto innocente.
-
Ora mi sembra che stai esagerando. -
Mario scattò in piedi. Le mani in tasca, davanti aveva una donna. Ma era già
capitato.
-
Oh, abbiamo un paladino. Visto che
siamo passati al tu, fammi il favore di stare muto.
L’aria
che li separava era pochissima, il torace di Sandra si alzava e si abbassava
veloce. Mario strinse i pugni nelle tasche.
-
Sono tutto orecchi, cerca di non
annoiarmi.
Sandra
riprese a circumnavigare divano e poltrone. E proseguì con la sua storia.
-
Che bello, un pacchettino che si muove
sotto l’albero di Natale. Poi la bestiola cresce, sporca e perde pelo e voilà:
con un gesto del prestigiatore finisce in strada.
Mario
scosse la testa e scrutò Susan che perdeva qualche lacrima dall’angolo degli
occhi.
-
Qualche bestiola si imbatte in persone
come Susan, e la scampa. Poi che c’entra Stefan con chi acquista un cane e poi
se ne sbarazza?
-
Bravo avvocato, un applauso. - Sandra
batté le mani - Hai idea di quanti cuccioli non superano i cinque mesi di vita?
-
No, - Pinozzi tentò una debole difesa -
ma è un problema di proprietari. Ops, di adozioni sbagliate.
-
Basta! Non sai di cosa parli,
discutiamo di cuccioli strappati alla madre inseminata più volte l’anno per
produrre carne da macello! Passaporti falsificati per importare cani deboli e
destinati a morire a causa di parassiti, che li hanno infestati nel doppiofondo
di camion o furgoni. Solo in questo Juric può citare i nazisti, i viaggi di
quelle bestiole ricordano i treni che correvano verso le camere a gas!
Bogdan
scattò come il pupazzo di una scatola a sorpresa, le mani tese in avanti, un
suono gutturale gli sfuggì dalla bocca spalancata.
Mario
tese la gamba…e lo sorresse nella caduta. Poi lo abbracciò, come si fa con un
pugile che picchia forte, come si fa con un amico demoralizzato.
Nessuno
pensò a Stefan.
-
Tu, donna sbagliata! - abbaiò, i denti
scoperti a pochi centimetri di Sandra - Io uscito da giro, capito miei errori e
pagato. Pagato caro, perché io detto non voglio più vostri cani che muore. Loro
dice okay, poi manda Ivanka e distrugge tutto. Perché? Dimmi tu, donna che sa
tutto!
Seguirono
secondi cristallizzati: persone, oggetti e mobilio divennero il prodotto di una
stampante 3D. Statue a grandezza naturale di uomini e donne che avevano cessato
di parlare e soffrire, simulacri di vite sospese.
Per
poco, troppo poco.
La
porta venne spalancata con forza e girò sui cardini, infrangendo la piroetta
sulla parete. Cinque volti fissarono la figura sulla soglia.
E
ciò che stringeva nella mano destra.
-
Bongiorno alla compagnia! Ciao amo’…toh
ce stà pure la babbiona del treno. Stateve boni, - brandiva la pistola, agitata
con la canna puntata verso il gruppo - tu, canaro da du’ soldi e pure il cugino
chiacchierone!
Stefan
accennò ad avanzare, Mario lo trattenne. Bogdan fu stoppato a fatica da Sandra.
Susan riuscì a parlare per prima.
-
Brutto figlio di una…
-
Amo’, lassa sta’ mi madre. Statte bona
e vie’ qua.
-
Muori! Che cazzo ti sei messo in testa,
credi di essere uno della banda della Magliana?
-
Statte zitta allora, ma non di’
cazzate. Quanno annamo a magnà da Gino o all’ Hotel a Frascati i mei quatrini nun te fanno schifo.
Lei
si zittì e riprese a decapitare le unghie, dal punto che aveva lasciato.
-
Assettateve che ve racconto ‘na storia.
Daje. - la pistola spazzava l’aria.
Romolo
prese una sedia e la trascinò vero la cucina, si sedette a cavalcioni e
attaccò.
-
Ce stà uno Slavo che vende cani a
Ostia, in pineta. Se vole allarga’ e chiede in giro, tiene il grano e amici al
suo paese. Ma deve esse’ ‘na cosa che pare pulita, contatti boni, ce vo’ uno
del posto. E arriva Romolo, che se move bene e nun parla. Poi ce sta il cugino
dello slavo, autista: Fiumicino, hotel, capito?
Così gli affari vanno bene, lo slavo lavora, Romolo se
fidanza e c’ha proggetti. Ma lo slavo
non scuce quatrini veri, solo spicci.
Un
ghigno, la cicatrice si allunga in una ruga. Il sorriso sghembo di un joker
malato.
-
E nun po’ annà, Romolo vole li soldi
veri.
Poi, un giorno, lo slavo tiene
un’alzata d’ingegno e vo’ uscì dar giro. Fare le cose ammodo, tiene rimorsi: porelli quei
cani…Ma deve paga’ un conto salato.
E Romolo nun ce stà, chiama un amico bravo col piccì e ai
compari niente grano. E quelli se ‘ncazzano e bruciano tutto. E Romolo dice “ce
metto io gli euri e famo noi gli affari”. Fine.
Dieci
occhi lo fissano, nel vano tentativo di utilizzare risorse in dotazione solo al
Kryptoniano, ancora una volta la voce più giovane abbrevia il silenzio.
-
Perché i cani, che ti hanno fatto?
-
Niente amò, dovevamo solo fa’ pulizia.
E da’ un messaggio.
-
Non chiamarmi amore, conosci solo la
parola! - Susan si avventò brandendo il
cavatappi, Romolo la colpì al volto con la pistola.
La
giovane rimbalzò, soccorsa da Mario e Sandra. L’odio negli occhi fece spazio
alla cruda consapevolezza.
-
Finisce così? – si sorprese che
stringeva le mani di Mario.
-
Ce l’hai voluto tu. Addio amo’…
Susan
chiuse gli occhi, Bogdan e Stefan si alzarono, Mario si piazzò davanti a Susan.
Sandra gridò.
Un
nome.
Con
gioia.
-
Jeff!
Il
cane era entrato spiccando un balzo e serrando le mascelle sul polpaccio di
Romolo; Moony lo seguiva a ruota, abbaiava in modo confuso e incerta sul da
farsi. I cinque sotto tiro osservarono l’attacco, troppo a lungo. La preda
temporanea colpì alla testa Jeff con il calcio dell’arma, il cane si accasciò
senza un guaito. Allontanò poi Moony con un calcio e puntò ancora la pistola
verso Mario e gli altri, indietreggiando: il medico piegò le braccia, Sandra
urlava e Susan singhiozzava. I due cugini schiumavano rabbia.
-
Mo me so’ rotto. - Romolo alzò la mira.
-
Anche io, hi hi hi. Abbassa quella
pistola, caro!
Alessia
versione risorse umane si era materializzata sull’entrata: in tuta Adidas e
arma con silenziatore. A Mario, per un secondo, dispiacque che non vestisse di
giallo e tenesse in mano una spada di Hanzo.
-
E tu chi cazzo saresti? - Romolo
spostava lo sguardo dal gruppo alla nuova arrivata.
-
Alessia…ops Ivanka, se preferisci. Hi
hi hi.
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