-
Si, cioè no. Chiama l’Ispettore Nadini
e digli di correre.
-
In che senso?
-
Non deve allenarsi, ma volare qui con
l’auto. Vai!
Cacciò in bocca una liquirizia e
inspirò profondo.
-
Cara ragazza ti ho sottovalutato, o no?
La
porta si aprì e una sagoma corpulenta proiettò la propria ombra oltre la
soglia: l’uomo scrutò l’ambiente cercando la fonte del ronzio intermittente.
Sembrava provenire dal divano di cui gli occhi, adattati alla penombra,
percepirono la spalliera; aggirò il mobilio e vide una testa ricciuta spuntare
da una coperta a quadri, gli occhiali scivolati sulla bocca. Facendo attenzione
a non urtare nulla diresse al lavandino e riempì un tegame con acqua.-
Se solo ci provi ti stendo.
Se solo ci provi ti stendo.
-
Quando un uomo disarmato ne incontra
uno con l’acqua l’uomo disarmato è un uomo bagnato.
Munnacci
si voltò rapido, per quanto gli permetteva la stazza, e svuotò il tegame sul
divano vuoto: un miscuglio appiccicoso di tè e biscotti in briciole lo
raggiunse in volto.
-
Ah! Vigliacco, hai usato un’ arma proibita.
– le mani a coprire gli occhi, camminò barcollando. – Sono cieco, sono cieco.
Ma ti prenderò come Polifemo con i Proci!
-
Erano Greci, ignorante, sono fuggiti dopo averlo accecato.
-
Cosa cazzo mi hai gettato, fango?
-
I resti di quei biscotti secchi che
avevi in dispensa. Devi solo sciacquare con acqua.
-
Ti sei fatto il tè delle cinque?
-
Veramente era il mio pranzo.
Munnacci aprì il frigorifero e si voltò
imbestialito.
-
Razza di finto pentito, ti sei fatto
pure le birre.
-
Non io, Martina: l’ho trovata di sotto
stanca e affamata.
-
Ancora peggio, ti sei fatto lei!
-
Calmati e ascolta il rapporto: avevamo
fame e volevamo cucinare qualcosa, non c’era nulla e si gelava. Lei ha bevuto
le birre, io un tè preparato nel microonde.
Ci siamo seduti con la coperta sulle gambe mi sono addormentato, non so
quando sia uscita.
-
Secondo te perché abbiamo mangiato
fuori o comprato le pizze?
-
Risposta facile, non sai cucinare.
-
Sbagliato, manca il gas da tre giorni e
quindi niente cucina oltre al freddo. Non hai visto gli operai al lavoro per
strada?
Le
cose che hai davanti agli occhi e non vedi, il mazzo di chiavi che cerchi
mentre lo tieni in mano. Improvvisa una folata di vento solleva la nebbia e
vedi tutto chiaro. O quasi.
-
Siamo due idioti, in tre se contiamo
anche Moruzzi.
-
D’accordissimo su Moruzzi, ma che
c’entriamo io e te?
-
Perché la povera Ersilia avrebbe messo
moka e latte sui fornelli se non c’era il gas?
-
Non ha senso, che significa?
-
Sveglia giornalista, vuol dire solo una
cosa: non è stato un incidente.
-
Martina?
-
Chi altri aveva le chiavi di casa oltre
alla vittima?
-
Che si fa dottor Watson?
-
Cerchiamo di contattare Moruzzi. Chiama
la Polizia.
Compose il 113, la risposta non si fece attendere.
-
Buongiorno, come posso aiutarla?
-
Devo parlare urgentemente con il
Commissario Moruzzi.
-
Avete fondato un club? Oggi è il
secondo, dopo lla giovane strega.
-
Non ho idea di cosa stia dicendo.
-
Meglio, visto che la signorina rischia
una denuncia.
-
Mi chiamo Bruto Munnacci, sono un
giornalista e le ripeto che ho urgenza di parlare con Moruzzi.
-
Per lei è il Commissario, comunque declini le sue generalità.
-
A te e tua sorella, coglione.
Mario sedette sul divano con aria
rassegnata, la mano trovò un pezzo di carta.
-
Bruto e lo zen della diplomazia. Hai un
futuro come ambasciatore.
-
Colpa mia se gli sbirri sono dei
piantagrane? Comunque pare che anche Martina abbia chiesto di Moruzzi.
-
Allora adesso sentiamo cosa ha da dire
lei.
-
La cartomante del quartiere a quest’ora
ha già chiuso bottega.
-
Per fortuna ci sono i telefoni
cellulari. – sventolò il biglietto con il numero della ragazza.
-
Due volte traditore, pure il numero di cellulare:
dammi quella cartaccia.
Con
una zampata degna di un orso a pesca di salmoni afferrò il biglietto e compose
il numero, l’apparecchio in vivavoce. Dopo pochi squilli ascoltarono rabbiosi
la suadente voce femminile, dispiaciuta di come l’utente non fosse
raggiungibile.
-
Che si fa adesso?
-
Dove hai detto che abita Martina?
-
A Monza, non proprio un paesino di
poche anime.
-
Ci sarà qualcuno che la conosce: un’
amica di Ersilia, il medico curante, un vicino di casa.
-
Era una tipa riservata, al limite del
patologico. Non ha legato con nessuno e anch’io a malapena la salutavo.
-
Manda un messaggio a Martina e
dimentichiamoci di Moruzzi, è meglio.
-
Che intendi fare?
-
Ersilia abitava al piano terra giusto?
Che tu sappia ci sono inferriate alle finestre?
-
Dottore, si tratta di compiere un
reato.
-
Tu fai da palo mentre io mi lavoro la
finestra. Andiamo.
Dalla
perlustrazione nel cortile ebbero solo buone notizie: la nebbia si era fatta spessa e i due lampioni ricordavano
pallidi cerini prossimi a spegnersi. Nessun temerario in giro con il cane e
imposte serrate, salvo quelle dell’appartamento di Ersilia: dopo i lavori
Martina aveva chiuso solo le finestre. Con il plaid arrotolato sul braccio Mariò sferrò una gomitata: aveva appena colpito
un blocco di ghiaccio e il dolore lo attraversò da nord a sud.
-
Cazzo, ci sono i doppi vetri
-
Non ricordavo, li abbiamo messi tutti…
per il freddo.
-
Ci vuole una mazza o un punteruolo con
un martello.
-
Già, così risolviamo il problema:
chiamano la polizia e parliamo dal vivo
con Moruzzi.
-
Ti intendi di porte d’appartamento?
-
Quanto basta, apro e chiudo a tripla
mandata, metto il catenaccio.
-
Appunto, avete tutti la porta blindata?
-
Certo, ma per aprirla senza la chiave
si fa ancora più rumore. E non abbiamo tempo.
-
Seguimi, paparazzo pessimista.
I
due varcarono il portoncino e fronteggiarono la soglia dell’appartamento di
Ersilia; Mario prese il portafoglio ed estrasse la carta di credito. La inserì
tra le due ante, all’altezza della serratura, e armeggiò.
-
Prima lei, signor Munnacci. – aprì la
porta e accese la luce.
-
Chirurgo, casanova da strapazzo e
ladro, di bene in meglio.
-
Dimentichi il giocatore di poker: Martina
non ha chiuso le imposte, era stanca e affamata. Speravo avesse fatto lo stesso
con la serratura, sono andato a “vedere” con in mano solo quella carta e ho
vinto la mano.
-
Basta chiacchiere e diamoci da fare, ci
serve un indirizzo.
I
due aprirono cassetti e armadi mediando tra velocità e rispetto del luogo,
attenti a non mettere a soqquadro: ovunque regnavano ordine e pulizia. Abiti,
coperte, scarpe, stoviglie e provviste, ma nessuna traccia di documenti o
carte.
-
Dove cazzo tengono i vecchi le bollette e i documenti
bancari ? – Bruto controllò l’ora – Sono le otto passate.
-
Ragioniamo: era una persona ordinata e
pulita, sembrava prevedibile ed era anziana.
-
Il letto o il divano?
-
Ho detto ordinata, non stupida.
-
Che cazzo ne so…il barattolo del caffè
o dello zucchero.
-
Si, tutto in microfilm: era la vecchia
della Spectre e tu sei 007. Stesso fisico e medesimo sarto.
-
Dove vanno a cercare i ladri?
-
Comodini, cassettone…i soliti posti.
Mario
prese a passeggiare in lungo e in largo, aveva bisogno della “fame” che pompasse
adrenalina ai muscoli e ossigeno al cervello. Non era arrabbiato, nessun
crimine turpe o mostri che vagassero nel quartiere; rivisse i fatti passati,
traffici e omicidi. La ragazza persa e
la ragazza salvata, libera nel mondo. I muscoli reagirono, serrò i pugni e
calcò i passi: il cuore pulsava e gli ingranaggi giravano a mille, ben oliati.
-
Una donnina precisa. Fate la raccolta
differenziata: vetro, plastica e carta?
-
Ognuno raccoglie e deposita per proprio
conto, secondo i consumi.
-
Una vecchietta sola, consumi
ridotti e acquisti limitati: dove avrà
tenuto i
contenitori?
-
Non parliamo di spazzatura puzzolente,
direi nello sgabuzzino.
Gli
appartamenti sovrastanti avevano la medesima planimetria, piano per piano: nel
piccolo locale adibito a sgabuzzino da Munnacci regnava il caos primordiale. Lo
stato era quello del disordine sospeso prima del big-bang, o della creazione,
in base al credo. Ersilia si rivelò certosina, quanto imprevedibile: nessuno
scassinatore avrebbe mai frugato nel deposito della carta da riciclare.
Sotto fogli di carta arrotolati e
deposti a casaccio i due ladri gentiluomini scovarono il premio alle loro
fatiche: estratti-conto bancari, contratti e pagamenti, qualche foto e un’agenda
di sei anni prima.
-
Bingo, vediamo se troviamo qualcosa; –
Bruto sfogliò le pagine – nomi, telefoni e indirizzi. Pochi, ma chiari e
ordinati - Signora, eri una bancaria mancata!
-
Cerca sotto la M, muoviti.
-
Non c’è un cazzo, forse la B come
badante.
-
Il digiuno ti manda in cortocircuito il
cervello.
-
Non dirmi che tu non hai fame, io
sbranerei un vitello.
-
Ho fame , ma non come credi tu. Più
tardi andremo a rimpinzarci; il cognome di Martina, lo conosci?
-
Buio totale, per me è solo Martina la
badante figa.
-
Leggiamo tutto, non ci vorrà certo una
vita.
Rintracciarono
l’indirizzo e dopo una beve quanto vana discussione sulla scelta del mezzo di
locomozione, Mario indossò il casco over-size e montò in sella sullo scooter di
Bruto che smanettava sull’acceleratore.
-
Andiamo intrepido cavaliere appiedato,
il mio destriero è pronto per entrambi. Via al galoppo in ricerca della
donzella.
-
Spero tu abbia il radar, non si vede a
più di venti metri.
-
La bestia qui conosce la strada a
memoria, Yuppieeeee.
Partì sferrando colpi di sperone al
cavallo metallico che, docile e pronto a dispetto del carico, imboccò la pista
per Monza, Milano, Italia.
Martina raggiunse il suo quartiere senza fretta, intorno alle
ventuno, dopo aver proseguito a zonzo attraverso una città attutita dalla
fredda e umida coltre nebbiosa: lasciati metro e bus imboccò senza esitazione
la strada che veniva inghiottita dal buio opaco. Come una falena attirata dalla
più fioca delle luci si lasciò afferrare dalle lusinghe della paninoteca:
consumato il primo pasto caldo di una giornata che pareva interminabile,
riconquistò la libertà e si diresse al nido.
-
Non puoi correre di più, Nadini?
-
Commissario è buio e la nebbia si è
fatta spessa.
-
Questa volta non ho visto al di là del
mio naso, dovevo controllare meglio.
-
La scena era quella di un incidente
domestico, una tragica fatalità.
-
Voglio parlare con la ragazza, fra poco
sarà tutto chiarito.
-
Sicuro che sia tornata a casa?
-
È sola, non ha più un lavoro e si è
fatta una notte in cella. Tu che dici?
-
Di certo io non sarei uscito, se non mi
avesse chiamato lei.
-
Guarda, ci sono altri pazzi per strada:
per fortuna noi viaggiamo al coperto.
L’ispettore
Nadini scartò un poco verso il centro
della carreggiata per superare i due tipi sullo scooter: il passeggero, un tipo
magro che indossava un casco improbabile, si teneva ben stretto a un pilota in
evidente sovrappeso che inveì e gesticolò scomposto.
-
Finalmente a casa, che razza di
giornata. Un match in cui le ho solo prese.
Martina sfilò le scarpe usando la punta
dei piedi, senza sedersi, le lanciò in un
angolo e navigò a vista sino alla finestra. Aprì le imposte
e si affacciò, per ospitare un frammento della notte che stava anestetizzando
la città; armeggiò nel mobilio della cucina, preparò la moka e la piazzò sul
fornello acceso.
-
Mi sta venendo sonno, un caffè non
guasta.
Si svestì nella camera da letto e recuperò un completo
da fitness, con calze antiscivolo. Versò
il caffè in una
tazza grande con
latte e zucchero di
canna bevette
l’infuso con gusto e iniziò il riscaldamento. Qualche minuto di corda,
addominali, flessioni.
-
Vediamo se riesco a recuperare, prima
del prossimo gong.
Il
campanello la chiamò mentre si dedicava
agli esercizi con l’attrezzo,
andava veloce, era calda, tutti i muscoli rispondevano all’appello.
Raggiunse il citofono e aprì, solo quattro parole.
-
Secondo piano, interno 7.
Prese il cellulare, raggiunse la
poltrona dell’ingresso e sedette, sorridendo.
Don Chisciotte e Sancho Panza raggiunsero Monza circa due
ore dopo la partenza: il cavallo mostrava parecchie ammaccature e i due eroi
non erano da meno. Mario esibì uno strappo nei pantaloni, da cui faceva
capolino la coscia che pareva massaggiata con carta vetrata; zoppicava
tenendosi il gomito destro con l’altra mano. Bruto, tolto il casco, sputò
sangue e un frammento di dente: con le dita esplorava diversi buchi nel
giubbotto.
-
Siamo arrivati troppo tardi. – sibilò
Mario, sconsolato.
-
Che cascio è suscessso? – Bruto spruzzò
ancora sangue e dentatura.
L’ambulanza
stava parcheggiata, aperta e senza personale a bordo, sotto la dimora di
Martina. Anche l’auto civetta, silenziosa e con l’occhio blu che girava, era
deserta, solo il gracchiare della radio di bordo.
-
Scialiamo a vedgere, ti aiuto.
-
Faccio da solo, tu vai avanti.
-
Okay, ma togli il casschio: scembri ET
da grande.
Quando
Mario terminò l’arrampicata incrociò i soccorritori che trasportavano un uomo
ammanettato alla barella.
-
Quella vacca mi ha rotto il naso. Ehi,
qualcuno mi ascolta?
Il tizio premette sul volto il
sacchetto refrigerante; su mani e
vestiti portava evidenti le
tracce del trauma. I barellieri, indifferenti, scesero le scale.
All’interno Munnacci sedeva con dell’altro ghiaccio sulle
labbra, l’ispettore Nadini se la godeva in un angolo, Martina e Moruzzi
discutevano accanto alla finestra della sala.
-
Lei non ascolta proprio, non mi ha
neanche lasciato parlare.
-
Cosa pretendeva dopo avere fatto
l’occhio nero a un poliziotto?
-
Ho anche rotto il labbro a
quell’idiota, ma avevo buone ragioni o no?
-
Cosa vuole da me?
-
Solo le sue scuse, non chiedo certo
interviste alla TV o la prima pagina dei giornali.
-
Scusarla di cosa? Di avere corso
pericoli inutili senza chiamare le forze dell’ordine?
-
Le ho chiamate le sue forze
dell’ordine! E ho trovato un altro
sbirro rincoglionito a forza di stare davanti al telefono. Più inutile di un
ghiacciolo in Alaska.
Si
voltò imbronciata, dando le spalle a Moruzzi. Non nascose la sorpresa nel
vedere il secondo cavaliere.
-
Mario che è successo anche a te?
-
Bruto non te l’ha detto? Un’ auto blu
in tangenziale ci ha sfiorato e siamo caduti.
-
A proposito, - gli occhi saettarono su
Moruzzi e Nadini – assomiglia stranamente a quella parcheggiata qua sotto
-
Ci sciono anghe io, ma non ignporta… -
Bruto, appoggiò di nuovo il ghiaccio e
tacque.
-
Se qualcuno volesse spiegarmi, ne sarei
grato. C’è del disinfettante? – disse Mario.
-
Ti medico io, sono abituata a farlo in
palestra
Sistemato Mario e consolato Bruto,
Martina propose di prendere un caffè e iniziò a spiegare come stavano le
cose.
Sul telefono di Ersilia, nascosto sotto il materasso, ho
trovato un numero sconosciuto: aveva chiamato due volte e lei aveva risposto,
più tardi, con un SMS. I due si sono visti intorno alle nove e due ore dopo
Ersilia era morta.
-
Corrisponde con l’ipotesi del medico
legale – intervenne Moruzzi.
-
Allora anche tra voi c’è chi capisce
qualcosa, abbiamo ancora speranza noi cittadini.
-
Spiritosa, spieghi piuttosto come ha fatto a capire.
-
Di nuovo non ascolta, Commissario. Mi
sono sentita con il tipo del SMS: eravamo d’accordo per vederci, ma non si è
fatto vivo. Lo scemo mi ha seguito sino a qua, credendo che non lo notassi: il
resto lo sapete.
-
Io veramente non so un bel nulla, se
qualcuno mi vuole illuminare…- Mario si grattò il capo.
-
Parli lei, Maigret. – Martina sfoderò
un ghigno di sfida – Io verso il caffè.
-
Il tipo che è uscito con il naso rotto
non è altri che il figlio di Ersilia: - attaccò Moruzzi - viveva a Bergamo da
anni e aveva accumulato un grosso debito di gioco. È sbucato dal nulla per
battere cassa, ha obbligato la madre ad
aiutarlo e le ha sottratto il libretto di risparmio. Poi l’ha uccisa.
-
Beh, avrà racimolato qualche centinaio
di Euro.
-
La signora non faceva investimenti, ma
aveva messo da parte circa sessantamila svanziche.
Mario
e Bruto osservarono Martina con aria sorpresa, lei rubò la scena a Moruzzi.
-
Non ne sapevo nulla, a me dava
cinquecento Euro: avrà avuto una buona pensione.
-
Affatto, - disse Moruzzi - ma il figlio per lei era diventato uno
straniero e non intendeva portarsi i risparmi nell’aldilà.
-
Comunque ho lasciato intendere al tipo
che volevo parlare e lui ha abboccato: forse credeva volessi dei soldi per
tacere.
-
Ti ha seguito per minacciarti? – Mario
l’ottimista.
-
Voleva scannarmi con un coltello a
serramanico.
-
Allora ti ha costretto a entrare in
casa dopo averti seguita?
-
L’ho fatto entrare io.
-
Giusto, per offrirgli un drink da buoni
amici.
Il ghigno di Martina si fece duro.
-
Per
farlo confessare: ho acceso il cellulare, attivato il registratore e lui
ha fatto il resto.
-
Che mi dici del naso rotto?
-
Lo scemo ha urtato contro il mio piede
e la mia mano destra.
-
Immagino che quando parlavi di sport
non intendessi ping-pong.
-
Karatè, cintura nera. Ieri mattina sono
arrivata tardi da Ersilia per l’esame con un maestro di Milano.
-
Martina, ti assciumo come gguargdia del
corpo.
La
risata del gruppo servì come scusa alla ragazza per svicolare in bagno. Fu poi
di nuovo il turno di Moruzzi, che sciorinò la propria versione.
-
Avevo sospettato di lei, inutile
negarlo: reddito basso, spese, università e solo un lavoro da badante. La
vecchia muore e i soldi spariscono.
-
Ma non sono sul conto di Martina.- dice
la ragazza, rientrando.
-
Il figlio è stato precipitoso, ma i
creditori non sono pazienti. Il problema era che non sapevamo dove trovarlo;
l’idea ce l’hanno data i tabulati dei telefoni. Lo scemo ha chiamato tre volte tra le diciassette e le venti,
spostandosi verso Monza. Ammetto di
avere pensato che Martina fosse la complice.
-
In che momento ha cambiato idea? –
disse Mario.
-
Quando ho visto il figlio di Ersilia in
ginocchio con il naso sanguinante.
Dopo la morte della donna abbiamo
cercato familiari o parenti: scovato il figlio eravamo in procinto di
chiamarlo, ma ci hanno insospettito le chiamate alla madre. Non quadravano,
dopo anni di silenzio e prima della morte: il penoso tentativo di incassare i
soldi (la banca ci ha avvertito) mi ha spinto ad agire.
-
Ma la ragazza era sospettata di essere
in combutta con il figlio, - intervenne Mario - e di avere inscenato la
colazione con incidente.
Martina fece ingresso nella sala
recando un vassoio con tazzine fumanti.
-
Non credo. Ricorda Commissario? Le ho
ripetuto le stesse parole due volte:
in cambio sono finita in cella.
-
La smetta, ha dormito al fresco perché
ha pestato un agente!
-
Ersilia era diabetica, non avrebbe mai
mangiato biscotti e marmellata.- posò il vassoio e incrociò le braccia.
Moruzzi
spalancò gli occhi, Nadini raggiunse la
finestra e guardò all’esterno, le spalle scosse da riso a singhiozzi, Bruto
esplose in una risata sguaiata spruzzando saliva rosa. Mario, dal canto suo,
intrecciò lo sguardo con quello di Martina che rispose ammiccando
-
Comunque la grana è risolta, – disse
Moruzzi con finta noncuranza – aspetto lei domani, signorina, per firmare il verbale. In quanto a voi due,
Stanlio e Ollio, possiamo darvi un passaggio al pronto soccorso.
-
Lassamo sctare, avete sgià facctto
ctroppi danni.
-
A lui ci penso io, grazie Commissario.
-
Ggrande Mario, mi ffai la fasccia bella?
-
Per quale motivo, hai un viso da
copertina.
Ma qui non c’è nessuno che ha fame?
Spaghetti, tonno e birra: - rise Martina – offre la casa.
-
Io passcio, ctropo male a boooca. Vado
gdomire.
Bruto recuperò il casco e andò, facendo
l’occhiolino a Mario.
-
Grazie signorina, ma siamo in servizio.
– Moruzzi fece un cenno a Nadini e si dileguarono.
-
Vada per tonno e spaghetti, ma la birra
solo per Martina.
La
cena fu divorata, i due erano affamati come minatori dopo l’intensa
giornata. Martina calò il jolly e versato
altro caffè, scartò un pacchetto confezionato a regola d’arte: pasticcini
assortiti, un piacere per la vista e l’olfatto.
-
Stupendi, presi in pasticceria?
-
Opera di nonna Ersilia, me li ha dati
la sera che io e te ci siamo incontrati.
-
E la storia del diabete?
-
Tutto vero, ma non rinunciava alla
passione di creare dolci. Li preparava a memoria, senza assaggiare nulla.
-
Una vera virtuosa, come i pianisti
blues di colore che non sapevano leggere la musica.
-
O come Beethoven, che era sordo.
-
Con questa citazione faresti colpo su
Munnacci, adora la musica classica.
-
Una
sorpresa continua, pensavo che non andasse oltre gli Abba.
La
tensione si era sciolta, Mario e Martina conversavano come una coppia affiata.
Lui assaggiò un paio delle delizie di Ersilia, fece due passi nel Nirvana dei
golosi e abbandonò il corpo sulla sedia.
-
Un applauso in memoriam, anzi una
standing ovation.
Si alzò, imitato
da Martina e
lasciò partire un applauso
delicato, seguito a
ruota da lei.
-
E con il secondo caffè ci scordiamo di
dormire. – sussurrò fissando Martina.
-
In fondo non è un peccato, possiamo
sfruttare la nottata.
-
Sono invalido, spero non userai le arte marziali.
-
Sarò l’infermiera più tenera che hai
mai avuto.
Non ci fu nulla di tenero, nelle ore a
seguire, Mario considerava il sesso alla stregua di un incontro di boxe: si
trattava di una lotta con scambio di umori, senza un pareggio. Martina,
esaurite le schermaglie, accolse l’invito e si prodigò in amplessi acrobatici,
mai uguali e profondi senza risparmiare energie e passione.
La mattina, il sole pallido e freddo, li chiamò per una
doccia insieme e una colazione abbondante nel bar sotto casa. Il cameriere osservò curioso i pantaloni di
Mario, da cui faceva capolino una vistosa medicazione, ma gli occhi di Martina
lo indussero a sparire appena serviti
cappuccini e brioches.
-
Dopo questa notte mi sono creato un
nemico.
-
Non direi, il giornalista è stato
l’unico a capire al volo cosa fare.
-
Qualcuno aveva già delle mire su un
medico fascinoso.
-
Hai
avuto un’ occasione, ma ti sei addormentato. E io avevo altro cui
pensare.
-
Parecchie cose, direi. Io comunque ti
devo le mie scuse: volevo farlo ieri, ma è passato l’attimo giusto.
-
Scuse? Per non avere portato champagne
e ostriche? Potrai sempre rimediare.
L’accenno
a un futuro possibile: vivere oltre la giornata non era tra le sue priorità. La
sola routine che amasse era il lavoro in sala operatoria e la lotta quotidiana
contro mostri generati dalla natura o da capricciose divinità. Una sola donna
aveva diviso la vita con lui per qualche anno e l’aveva lasciato, a Milano,
strappata alla vita da una sua simile con il cuore gelato. Parlò dopo pochi
attimi, sollevato.
-
Credevo onestamente che tu fossi
colpevole, non immaginavo con quali fini, ma l’ho pensato.
-
E siamo a due, credo che fonderò un
fan-club. – rise a denti stretti. -
Speravo fossi corso per salvarmi insieme alla guardia del corpo
sdentata.
-
Speravo con tutto il cuore di
sbagliarmi. – Mario fissò il terreno. – Non cercavo un’altra bad-girl.
-
C’è un “però”, o sbaglio?
-
Non mi piace pensare al domani, l’unica volta che ho accarezzato il sogno mi
sono svegliato solo e disperato.
-
Parliamo di una lei morta a Milano?
-
Quella è solo una parte del problema.
Martina
gli accarezzò la guancia con un bacio
leggero, poi le parole furono altrettanto lievi.
-
Nessuna scusa e niente rammarico: anch’
io devo leccare qualche ferita e ricostruire il mio bel castello di carte.
-
Scusami, io vado di corsa e le fermate
sono rare.
-
Abbiamo condiviso una bella notte e un’
avventura poliziesca. Hai il mio numero, se possiedi un telefono e vuoi fare
due chiacchiere sai come fare.
-
Ti chiamerò se mi molesteranno.
-
Per la body-guard si è già prenotato il
tuo amico giornalista.
-
Cazzo, devo chiamarlo subito: ho il
bagaglio a casa sua e devo partire nel primo pomeriggio.
Cercò
il telefono nel giubbotto, la mano entrò dalla tasca per uscire attraverso la
fodera interna.
-
Maledizione, chissà dove l’ho perso,
forse quando siamo caduti. – breve pausa -
Ti arrabbi se dico una cosa?
-
Ho le spalle larghe, forza.
-
Ieri sera Bruto ti ha mandato un SMS:
ti cercavamo per parlarti, prima di
rintracciare il tuo indirizzo.
-
Sono già pentita, Munnacci ha il mio
numero?
-
Era un emergenza, ma ti assicuro che
dentro il costume da orso vive un gentiluomo.
-
Se solo ci prova, qualche collega dovrà
scrivere l’articolo sul suo ricovero. Chiamalo, dai.
Con
una telefonata concisa medico e giornalista si accordarono per vedersi a casa,
mangiare un boccone e andare alla stazione. Con i mezzi pubblici, ovviamente.
-
Devi andare da Moruzzi a firmare delle
carte, facciamo la strada insieme?
-
Meglio salutarci adesso, ti chiamo un
taxi.
-
Grazie, ma offro io la colazione.
A pranzo, da Bruto, ancora sorprese:
ossobuco con risotto e vino rosso, oltre all’acqua minerale, crostata di mele e
caffè alla napoletana. Il commiato dell’amico e la rivincita del giornalista:
un pranzo degno della migliore trattoria milanese ascoltando ussorgsky.
La stazione di Milano si rivela prevedibile anche nei saluti
per le partenze, ripetitiva e monotona: il canto dei treni, le voci degli
annunci, le luci degli spot. I baci delle coppie, le lacrime e i sorrisi. Gli
abbracci.
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Mollami bestione, non mi fai respirare.
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Che vuoi dottore, mi è venuto il
cuore tenero.
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Mi hai messo addosso delle cipolle? Ti
scendono le lacrime.
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Fanculo, mi ha fatto bene vederti. Poi
mi pare che nel nostro piccolo abbiamo fatto qualcosa di utile.
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Si, scassinare una porta e frugare in
casa di una appena morta.
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In cuor mio non credevo che Martina
fosse colpevole.
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Tutto faceva sospettare di lei, ma non
volevamo che fosse colpevole.
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Una tipa tosta.
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Una tipa sola, che dovrà raccogliere i
cocci e cercare di nuovo la strada.
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Speriamo non si perda.
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Dalle tu un occhio, Pulitzer. Intesi?
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Ci sentiamo, Frankenstein. Fa’ buon
viaggio.
Sette giorni dopo a Genova, una pausa
al PC, tra un intervento e l’altro.
Caro chirurgo traditore, ti chiamo per
aggiornarti sulla cintura nera di Karate.
Non ho parlato con lei, ci tengo alle
ossa: ho incontrato Moruzzi e mi ha riferito
che la vecchia Ersilia
ha lasciato i suoi soldi a
Martina.
Non credo all’erede matricida spetti una parte,
ma la ragazza pareva sconvolta e sorpresa. La Polizia ha assicurato che è tutto
Ok e il notaio ha dato il via libera.
Dopo lo choc sembra che Martina abbia
accettato e voglia gestire una palestra; tra le altre cose intende gestire
corsi di autodifesa per donne.
Che devo dire?
Un saluto
Bruto
:P
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Mario, ti dai una mossa? In sala c’è il
ragazzo con quel problema al torace.
Jorge, l’infermiere e braccio destro,
non molla la presa. Mai
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Cos’ è questa fretta, abbiamo tutta la
giornata.
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Tu, non io. Stasera vado a ballare. E
cos’hai da sorridere?
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Nulla, pensavo che anche nel cemento
qualche volta cresce un bel fiore.
Considero questo un primo ciclo di disavventure del medico con il senso per i guai. Ringrazio ancora tutti i lettori a cui può aver lasciato qualcosa e Mimma per l'ospitalità; chi avesse voglia e tempo trova la sua prima e importante disavventura tra Genova e Milano online in ebook (Gemelli diversi - Occhi dal passato). Grazie ancora
RispondiEliminaMarco Moretti