Salani editore - pagg. 496 - € 18,90
Zuleika apre gli occhi è il romanzo d’esordio rivelazione della nuova
letteratura russa.
Il romanzo-rivelazione sulla Rivoluzione russa,
acclamato dalla stampa e vincitore di tutti i più
importanti premi in patria,
in corso di traduzione in 24 Paesi.
Questo romanzo non è solo uno squarcio
su un periodo della storia russa, né è soltanto la storia straordinaria di un
amore filiale forte come pochi nel panorama letterario contemporaneo. Zuleika
apre gli occhi è la Storia nella storia, in una miscela talmente rarefatta e
intensa da catapultarci fuori del tempo, fra antichi usi, sopraffazioni
radicate, una suocera-arpia, un marito-despota e Zuleika-Cenerentola.
Difficile credere che dietro a questo
osannato e pluripremiato romanzo-rivelazione ci sia una scrittrice esordiente,
ma così è: al suo debutto letterario, Guzelʼ Jachina riesce nellʼintento
di innestare nelle spire sovietiche di una Storia devastante come fu la
dekulakizzazione degli anni Trenta del Novecento (con le sue centinaia di
migliaia di deportati) la piccola – banale, ma esemplare – vicenda di una donna
come tante. Altrettanto difficile è credere che possa averlo fatto con una
scrittura che il romanzo storico, pur se sui generis, mai aveva conosciuto.
Intima e distesa, la narrazione ricorda la voce calda e profonda dei ‘fuori
campoʼ dei vecchi film epici; sapide e affilate, le descrizioni
introducono in una realtà altra nel tempo e nello spazio senza nulla concedere
allʼesotismo da cartolina; fresca nonostante lʼargomento rovente, agile
nonostante il piombo degli eventi narrati, visiva, cinematografica quasi (e
dalla cinematografia viene infatti lʼautrice), la scrittura offre con una
leggerezza quasi straniante lʼorrore di ciò che accade.
In mezzo allʼorrore, tuttavia, si
accende una luce: quella ‘bontà illogicaʼ, quellʼ‘umano nellʼuomoʼ che si
ostina a sopravvivere anche là dove dellʼumanità sembra non restare più
traccia. Fra la neve delle lande russe più desolate si fa dunque strada
unʼeroina indimenticabile, degna erede delle grandi donne della letteratura
russa.
“C’è qualcosa che la Jachina riesce a comunicare con
l’incredibile
esattezza di una lama: l’attitudine femminile all’amore.”
THE MOSCOW TIME
potentissimo all’amore e alla tenerezza anche all’inferno.”
LJUDMILA ULICKAJA
Guzel’ Jachina è nata a Kazanʼ, nel
Tatarstan, nel 1977. È giornalista, scrittrice e sceneggiatrice. Zuleika apre
gli occhi è il suo romanzo dʼesordio. In Russia ha riscosso un grande successo
e ha vinto premi importanti come il Big Book Literary Award e il Jаsnaja
Poljаna. È in corso di traduzione in 24 paesi. Da questo romanzo è in
preparazione una serie tv.
Qualche domanda all'autrice
D:
Ci parli della sua infanzia.
R: Sono nata a
Kazan e ho parlato solo il tartaro fino a 3 anni, poi all’asilo ho imparato il
russo. Ho avuto molta fortuna con i miei genitori che riunivano i due mondi.
Mio padre apparteneva all’intellighenzia tartara di famiglia nobile,
discendente degli ‘hadj’ la cui origine risale al 1804. In casa avevamo
tradizioni borghesi; i pranzi in famiglia, i giochi musical, mi ricordo di
grandi riunioni di famiglia che sono terminate con la morte di mia nonna
paterna nel 1989.
D: E da parte di
madre?
R: Era una famiglia
di contadini benestanti. Mia nonna era istitutrice e mio nonno professore di
tedesco, ma vivevano come il resto della gente del villaggio dove abitavano, e
quando si sono trasferiti a Kazan per dare un futuro migliore ai figli,
continuavano a vivere nello stesso modo. Avevano una casa di campagna in pieno
centro. Ho passato molto tempo con entrambi le famiglie e passavo da una casa
di campagna ad un appartamento dove si pelavano le patate ognuno con il proprio
coltello. Per il resto la mia è una famiglia sovietica banale, mia madre è
medico e mio padre ingegnere.
D. Questo contesto
familiare ha avuto un influenza sulla storia del suo libro?
R. E’ ispirato
dalla vita di mia nonna, istitutrice, che fu deportata in Siberia quando aveva
7 anni, i suoi genitori sono stati ‘degoulaghizzati’ e deportati sul fiume
Angara dove sono stati abbandonati in mezzo al nulla. Dovevano creare un
villaggio, hanno cominciato con lo scavare delle case nella terra poi hanno
costruito vere abitazioni e ci hanno vissuto per 17 anni. Mia nonna fu
deportata nel 1930 ed tornò nel 1946, date che corrispondono a quelle del mio
libro; l’inverno del 1930 rappresenta il picco delle ‘degoulaghizzazioni’ e il
1946 è la data in cui si cominciano a liberare le persone.
D. Come
descriverebbe il suo libro?
R. Se dovessi farlo
in due parole direi: amara felicità. Anche in condizioni inumane le persone
possono trovare la felicità, la sofferenza più profonda può nascondere un germe
di gioia futura. Se parlo in maniera concreta è un libro sulla
‘degoulaghizzazione’, sulle persone che hanno subito questa repressione. Ho
anche voluto dire che quando ci si ritrova tra la vita e la morte, non esistono
più barriere sociali o religiose, rimane solo l’anima pura e nuda, l’incontro
dei miei due eroi è l’incontro di due anime nude.
D. Ci parli di
loro.
R. Non sono della
stessa nazionalità. Ivan Ignatov è russo e dirige questa operazione di
‘degoulaghizzazione’ deve occuparsi di portare i deportati in Siberia e poi
viverci insieme. Lì comincia anche la seconda vita di Zouleikha, le capita una
cosa che mai si è sognata: dà alla luce un bimbo, va a caccia, maneggia armi,
si innamora di un uomo che ha scelto. E’ un romanzo sulla trasformazione di una
donna maltrattata in un essere umano.
D. Cosa vorrebbe
che colpisse il lettore?
R. Vorrei che il
lettore risentisse un’emozione, il mio compito principale è fare che il lettore
riesca a vivere insieme alla protagonista. Nell’arte la cosa più importante è
l’emozione, se la provoco nel lettore sono felice.
D. Come è venuta a
conoscenza della storia di sua nonna?
R. In casa non si
nascondeva nulla, faceva parte delle storie di famiglia, anche se lei non
gradiva sempre parlarne. Ho cominciato a documentarmi sul soggetto e all’inizio
volevo soprattutto scrivere un romanzo giallo che si svolgeva negli anni ’30 e
avevo immaginato una figlia piccola di Zouleikha che ritornava a Kazan per
scoprire la storia di sua nonna negli archivi. In questo modo il lettore
avrebbe potuto scoprire il processo creativo, la costruzione dei personaggi, lo
studio storico e poi ho pensato di descrivere maggiormente il figlio di
Zouleikha come pittore celebre. Quando poi ho scritto tutto questo mi sono
detta che gli anni ’30 mal si sposavano con la nostra epoca, e allora ho tenuto
solo la parte storica.
D. Cosa si augura
per il suo libro?
R. Vorrei fosse
tradotto in altre lingue e immodestamente che fosse portato al cinema, perché
questo romanzo era in origine una sceneggiatura, è molto cinematografico, molto
dettagliato. In Russia c’è una grande distanza tra il cinema d’autore, che
poche persone possono comprendere, e il cinema di massa, creato per una
fruizione ampia che non lascia spazio alle storie di qualità. Qualche speranza
viene dalle serie televisive con dei progetti comprensibili e pieni di senso.
Conosciamo le serie americane, inglesi, scandinave, ma ce ne sono anche di
russe. Ripongo grandi speranze nel fatto che queste serie tv possano riempire
il divario.
D. Le piacerebbe
che il suo libro diventasse una serie tv?
R. Certamente. Amo
le storie umane. In effetti non ci sono grandi differenze tra la narrazione di
una serie tv e la narrazione di un romanzo.
D. Qual è il suo
sguardo sulla Russia di oggi?
R. Oggi vivo tra
Kazan e Mosca, e amo molto viverci. Ho vissuto in Germania, e la mia famiglia
pensava che ci sarei rimasta quando invece non l’ho mai pensato. Questo non
significa che mi piace quello che sta succedendo in Russia, ma vorrei
rispondere parlando della mia generazione. Siamo una generazione fortunata,
abbiamo vissuto tutto quello che è possibile vivere, siamo stati dei pionieri
che camminavano in fila e montavano la guardia davanti ai monumenti. Abbiamo
vissuto la Perestroika essendo già adulti, e abbiamo assaggiato la libertà, i
soggetti politici erano in prima fila, era l’epoca in cui i professori a scuola
potevano fare tutto ciò che volevano. Per esempio non abbiamo mai aperto un
libro di storia perché il nostro professore aveva un approccio particolare,
innovatore, studiavamo su documenti d’archivio, su racconti, su testi
letterari, facevamo temi su soggetti liberi o su opere teatrali, abbiamo fatto
cose impossibili, lo so perché mia figlia ha 11 anni e a scuola non si sente
più libera.
Gli anni 2000 sono
arrivati e abbiamo consumato tutto ciò che era possibile consumare, e siamo
stati vaccinati contro il consumo, cosa che non è ancora possibile per quelli
che hanno dai 5 ai 10 anni meno di noi. Tutti questi stravolgimenti ci hanno
arricchito.
D. Pensa che il
concetto di libertà si sia deteriorato?
R. Non parlerei di
deterioramento della libertà. Ma la vita cambia. Non augurerei gli anni 90 a me
da adulta, ma vorrei che mia figlia entrasse a scuola la mattina negli anni 90
e ne uscisse all’ora di pranzo nell’anno in corso, ma non mi auguro il ritorno
di quegli anni. Non posso dire che non ci sentiamo liberi ma posso dire quello
che non amo e cioè questo isolamento e il paragone col mondo tutto intorno e le
tensioni che aumentano ogni giorno. Visto che sono sempre stata in contatto con
degli stranieri nella mia vita è un soggetto a cui sono molto sensibile, faccio
fatica con i giudizi anti russi che arrivano dai paesi stranieri e anche con i
giudizi dei russi sui paesi stranieri, faccio il tifo per un dialogo
amichevole.
D. Cosa prevede per
il futuro? Un aumento o una diminuzione delle tensioni?
R. Credo che
qualsiasi pensiero sull’argomento sia pura speculazione.
D. Quali sono le
sue speranze?
R. Per la politica,
che questa situazione di confronto finisca, credo che molti altri russi lo
sperino insieme a me. Spero che il mio libro sia tradotto e che diventi un film,
spero che mia figlia ami vivere in Russia, oggi come fra 10 anni. Non c’è nulla
di più triste delle persone che perdono la speranza nella loro patria e che non
trovano nulla per sostituirla. Nella metà degli anni '90 ho incontrato in
Germania dei russi che vivevano questa dolorosa condizione.
D. Ha mai
incontrato immigrati felici?
R. In maniera
basica si, se uno desidera solo una casa e da mangiare, ma le persone pensanti,
che riflettono, no, non ho mai incontrato immigrati completamente felici. Penso
sia importante dialogare con i propri antenati;
camminare fianco a fianco con loro non è la stessa cosa che camminare
soli in un posto totalmente nuovo.
E’ una questione
dolorosa perché abbiamo tutti delle radici che sono state tagliate, delle
macchie nel passato dei nonni o dei bisnonni che nascondevano qualcosa. Alcuni
sono passati dalle prigioni e altri sono stati deportati.
In Europa non si
vive così, quando vivi in una città che ha duemila anni, tuo nonno costruisce la
casa, i mobili, e il tuo bisnonno ha disegnato il ritratto sul muro, in Russia
ci manca questo sentimento di connessione, d’appartenenza.
D- Rimpianti?
R. Nessuno.
D- Crede in Dio?
R- Ho molto
rispetto per le religioni ma non vado né in chiesa né in moschea, sono
cresciuta a Kazan in una città piena di chiese e moschee ma non ho abbracciato alcun credo.
D- Cosa le sembra
essenziale in una vita?
R- Vivere senza
rimpianti.
D- E come si fa?
R- Bisogna pensare
di più.
D- A cosa? Stalin
pensava molto
R- Non sono in
grado di dispensare ricette, ognuno ha la sua.
Intervista molto interessante! Corinna
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