A passo di tartaruga (Arcoiris, Salerno, 2016) è un
libro che fin dal titolo evoca sensibilità e delicatezza; qualità che ne
onorano indiscutibilmente le pagine e l’autrice. Loretta Emiri - latinoamericana per scelta - ci consegna
un’autobiografia imbizzarrita, capace di coniugare impegno sociale e disincanto
allo stesso tempo, scrivendo solo in parte di sé e della sua incredibile esistenza
tra gli indigeni Yanomami del Brasile amazzonico, perché quel che emerge dalle
pagine di questo volume, composto da venticinque racconti magistralmente
scritti, in perfetta sospensione tra poesia e rigore etico, è piuttosto il
racconto critico di un’intera società, la storia di quel mondo complesso cui
inevitabilmente tutti noi apparteniamo.
Di qui il senso di disincanto che
pervade l’opera e che scaturisce proprio dalla frattura tra questo mondo –
l’Occidente cannibale - e l’interiorità dell’autrice che a sua volta trova una
magica rispondenza solo nell’universo intimo della foresta pluviale. Il cuore di tenebra, come ben compreso e
narrato da Conrad a suo tempo, lungi dal trovare riparo nell’impenetrabile
fortezza naturale delle selve primordiali, batte e si agita spasmodicamente nel
profondo della civiltà del (presunto) progresso, tra false strette di mano e
ghigni sotto i baffi, verità insabbiate e loschi affari mascherati da buone
intenzioni. Aveva dunque ragione Caliban, con il suo disprezzo fiero, a male-dire coloro che gli avevano
insegnato a parlare, ma la realtà è ben diversa dall’adattamento che ne
restituì Aime Cesaire nella sua versione anti-coloniale sull’onda della
liberazione algerina, poiché nessuna maledizione né magia di sorta potranno mai
avere la meglio sull’avanzata implacabile dei dominatori e i dannati della
terra resteranno sempre tali. È a partire da questa consapevolezza, acquisita
tramite un’esperienza ventennale tra gli indigeni dell’Amazzonia brasiliana,
che un altro cuore, fragile ma coraggioso, determinato ma non immune alle
emorragie, il cuore di Loretta, soffre e si addolora, patendo inesorabilmente di
quella saudade per qualcosa che non è
stato. Sono tristi i tropici di questa donna che ha investito forze, impegno e
passione nella lotta per la rivendicazione dei diritti del popolo indigeno,
conquistandosi il loro rispetto e la loro fiducia, imparandone la lingua, gli
usi, le tradizioni, i sogni e le paure, dedicandosi infaticabilmente a un
complicato lavoro di alfabetizzazione e di crescita culturale, intesi non certo
come strumento di dominio, ma al contrario come unica arma di difesa ed
emancipazione possibile, affrontando e combattendo ostracismi istituzionali e
burocratici, familiari ed emotivi che il destino e il potere le hanno opposto;
infine, tornando in patria – ma quale patria, ormai? – come straniera di se
stessa, con quel cuore a brandelli, trascinato a mala voglia come un peso morto.
“Addio selvaggi! Addio viaggi”, scriveva Lévi-Strauss a conclusione delle sue
memorie amazzoniche, dopo aver constatato con amarezza la responsabilità
dell’Occidente civilizzato nel contaminare con la nostra sozzura l’umanità più genuina e pura. Lo stesso sentimento,
straziante, di impotenza e rabbia tormenta l’autrice di questo libro che è una
veste strappata, il ricordo doloroso dei tempi vissuti nelle maloche, le case comunitarie degli
indigeni yanomami, e il trauma del ritorno forzato. Esiliata nella sua terra,
in quella società dell’opulenza, dello spreco e dell’apparenza, di relazioni
umane fittizie e opportuniste, Loretta Emiri cerca un equilibrio e un riparo
nel cuore di tenebra italiano, sotto il sole delle Marche e sopra le macerie del
terremoto, perché la natura non ha pietà nel ricordarci che il destino non
appartiene al nostro dominio.
A passo di tartaruga è un insieme di racconti che si
fanno strada nel tempo e nello spazio: dall’infanzia dell’autrice al timore
verso un futuro dominato dall’individualismo più esasperato, passando per
l’esperienza solidale della convivenza con gli indigeni; dai territori vergini
del Brasile amazzonico all’Italia centrale dell’Umbria e delle Marche,
rispettivamente luoghi di nascita e di residenza della scrittrice, passando per
infiniti luoghi di transito, da Modena a Verona, da Sao Paulo a Porto Alegre.
Sono storie di incontri, speranze, attivismo, sogni, condivisione e lotta, ma
anche di incomprensioni, fatiche, delusioni, sconforto e frustrazione; storie,
in ogni caso, in cerca di lettori attenti e sensibili, capaci di immedesimarsi
e trovare nelle parole di Loretta Emiri lo spirito di resistenza e militanza
che anima gli esseri più autentici.
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